è un periodo che i bigliettini di quelli che acquistano auto vecchie o danneggiate li prendo sul personale

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È un periodo che i bigliettini di quelli che acquistano auto vecchie o danneggiate li prendo sul personale. Li trovo infilati nei cristalli lato guidatore o nella maniglia, gli do un’occhiata per vedere se è lo stesso dell’ultima volta ma vedo subito che no, quelli che acquistano auto vecchie o danneggiate sono tantissimi e probabilmente è la professione del futuro. Poi mi guardo in giro nel parcheggio e vedo decine di altri santini gettati via da altra gente che come me si vede che la prende sul personale.

Non so se esistano veramente, non ho avuto mai la fortuna di vederne uno dal vivo infilare i suoi bigliettini nelle macchine altrui. A questi misteriosi commercianti di usato la mia auto ha trasmesso un’idea di malmesso, di vecchio, di indegno di stare al mondo nel mondo occidentale popolato da auto sempre nuove, sempre più accessoriate, sempre più intercambiabili, sempre più costose ma con sempre più meccanismi per pagarle nel tempo e darle indietro quando ci va ma dopo averci smenato un botto di soldi, con un turn over che nemmeno i programmatori software ai tempi della prima bolla Internet.

Facile chiedersi quali siano i parametri all’interno dei quali un autoveicolo è considerato merce di serie B. Intorno a questa zona grigia della compravendita di seconda mano aleggiano le credenze popolari e le leggende metropolitane più cupe. Di bigliettini ce ne saranno milioni di tipi, e magari noi non lo sappiamo ma si tratta di una raccolta come le figurine della Pixar dell’Esselunga o addirittura come i miniassegni, e tra venti o trent’anni varranno un sacco di soldi. Ci sarà magari anche il Gronchi rosa dei bigliettini di quelli che acquistano auto vecchie o danneggiate e ci malediremo di averli buttati nella spazzatura dopo averli tenuti qualche mese in macchina, accumulati nel vano della portiera insieme al disco orario e il grattino del ghiaccio.

Dicono che le nostre macchine vecchie o danneggiate, una volta in mano a questo esercito di intermediari invisibili, prendano la via dell’est europeo su uno di quegli autoarticolati targati Romania o Ucraina che si incontrano lungo le arterie autostradali che portano verso il confine con la Slovenia o l’Austria. Le centinaia di migliaia di Citroen Xsara Picasso del 2005 come la mia ex-macchina che abbiamo dato via solo perché eravamo esausti di viaggiare su una specie di uovo, oggi corrono lungo le strade dei dintorni di Timisoara o di Kiev gioiose di essere guidate da padroni altrettanto poveri come quelli per cui hanno prestato servizio nella loro prima vita a quattroruote.

Poi ci sono quelli più pessimisti che sostengono che gli scarti di trasporto della nostra società avanzata vengano sezionati ancora vivi per l’asporto di parti destinate al mercato dei ricambi, che detta così sembra una storia tratta da un reportage sulle organizzazioni che trafficano organi di esseri umani.

Ma il punto è che i bigliettini di quelli che acquistano auto vecchie o danneggiate li prendo sul personale perché è un periodo che ho la coda di paglia ed è come se questi procacciatori del loro tornaconto dicessero a me che sono vecchio o danneggiato. Prendo il biglietto infilato nel cristallo lato guidatore, leggo l’ennesima offerta di affari e poi mi guardo riflesso nel vetro per vedere se davvero sono conciato anch’io così male.

il tutto con adeguato abbigliamento di sicurezza

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Ci dev’essere una diminuzione della professionalità della forza lavoro su molti fronti, se per attività diverse e più o meno di concetto sono impiegate almeno due persone. Una che la esegue e l’altra che controlla, senza far nulla, che la consegna sia portata a termine nel più corretto dei modi e, probabilmente, nei tempi messi a preventivo. Un fenomeno a cui è facile assistere in strada: il manovale in tuta da fatica che spruzza il liquido che annulla gli effluvi di street art dei giovani ribelli suburbani e il suo diretto responsabile dietro, con le braccia conserte dallo zelo, intento a osservare il grado di cura con cui l’opera di damnatio memoriae si sta eseguendo. O il pilota dietro i comandi della macchina per schiacciare l’asfalto, che probabilmente ha anche un suo nome tecnico ma non è proprio il mio settore, che percorre in un senso e nell’altro la fresca gettata di materiale rovente e il geometra con le scarpe anti-infortunistiche su completo in misto acrilico che spera che il risultato dell’operazione sia il più compatto possibile.

E se hai un bar che dà sulla via che oggi ha le sembianze di un cantiere seppure temporaneo, e si spera, lo spettacolo non è nei ghirigori dei cappuccini, sulle prime pagine dei quotidiani free press, nei sorrisi all’orientale dei gestori o nella televendita su cui è sintonizzata la gigantesca tele appesa al muro. In piedi, sorseggiando un caffè, si guarda fuori il miracolo della specie umana impegnata a redimere il proprio habitat secondo i canoni di convivenza universalmente accettati. Una signora che preferisce consumare al tavolino armeggia con il suo smartcoso, lo spegne e lo riaccende a ripetizione memore della regola numero uno dell’uso popolare dei dispositivi elettronici. Alla fine ha vinto la macchina sull’uomo, perché la si vede arrendersi e avvolgere con rassegnazione gli auricolari intorno al telefono e a riporlo in borsa.

Ma è la coppia di colleghi che sta scegliendo la farcitura del cornetto a rubare la scena, almeno per quanto riguarda i contenuti. “Non ho mai vinto niente in vita mia, nemmeno un gratta e vinci” sta raccontando la donna all’uomo che ha optato per una pasta con la crema. “Così ho partecipato a un concorso di Radio Popolare, hai presente?”. Lui non ha presente, vista l’espressione con cui risponde, tanto che lei si sente in dovere di fornirgli maggiori dettagli. “Ma sì, ci sono speaker troppo sfigati, e alla mattina presto fanno un programma di musica progressive. A me, tra parentesi, fa schifo. Ma si vede che ha pochi ascoltatori. Hanno indetto un concorso, in palio c’erano due biglietti per un concerto a Padova”. Lui interviene dopo il primo sorso di latte macchiato. “Non dirmi che hai vinto tu?”. E lei tutta entusiasta: “Sì, li ho vinti io! Il concerto è degli Area e del Banco del Mutuo Soccorso, i biglietti costavano sessanta euro. Ma so già che alla fine spenderò un casino per un viaggio per andare a vedere un concerto di musica che non mi piace, non so nemmeno chi siano quei gruppi”.

D’altronde, cosa non si farebbe per essere protagonisti, anche così di striscio. A chi non verrebbe la voglia di essere toccati dalla fortuna lì, nello stesso bar dove si ritrovano prima di una giornata di lavoro anche gli operatori di un noto network televisivo e sparano aneddoti a ripetizione sui conduttori di un reality di punta come se quello fosse il vero terno al lotto, godere dello strascico della notorietà altrui. Ma è facile tornare con i piedi per terra. Dal portone carrabile a fianco dell’esercizio pubblico esce uno squilibrato sbraitando improperi contro un avversario che vede solo lui. L’uomo ce l’ha proprio a morte, i passanti si spaventano e cercano riparo proprio nel bar mentre gli avventori escono fuori incuriositi dalle grida a vedere che succede. Il folle che ha l’aspetto assai trasandato veste un maglione di taglia molto abbondante, che gli ricade sulle spalle mettendo in evidenza l’estrema magrezza, accentuata anche dal viso scavato, la barba non lunga ma incolta e i capelli appiccicati sulla fronte. Un tizio, con la tazzina in mano, rientra nel bar e ragguaglia un amico, che è rimasto dentro, su un particolare importante. Quel maglione di lana a grani grossi e a righe orizzontali grigio e nero, era molto popolare negli anni ottanta. Lo si indossava quando ci si voleva dare un tono di autorevolezza e mettersi qualcosa di più elegante rispetto all’abbigliamento preferito, nessuno avrebbe mai detto allora che sarebbe potuto diventare un capo da dress code di risulta. Si ricorda di averne avuto uno proprio così molto tempo prima, di averlo prestato a un amico che aveva freddo, una volta, e che non gli era mai stato più restituito.