cinquanta sfumature di bianco e nero

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“Non ricordo quale animale in natura veda in bianco e nero”, è la domanda senza punto interrogativo di Linda dopo che ha constatato che il Brionvega portatile arancione rotto in vendita a settanta euro nella bottega di modernariato del centro non è proprio un affare. Non volevo abbatterle il morale suggerendo che comunque, con il digitale terrestre, un apparecchio televisivo come quello non servirebbe a nulla se non come componente di arredo.
“Che senso avrebbe seguire le tue serie americane su uno schermo così ridotto e per di più in scala di grigio?”, le chiedo. Ma per infierire, considerando poi come è andata a finire, avrei potuto aggiungere che, se proprio ci tiene, è facile cambiare le impostazioni della tv togliendo i colori. Basta smanettare un po’ con i pulsanti del telecomando. “Ma non è la stessa cosa”, ecco la sua risposta mentre pensa che gli uomini sono proprio tutti uguali, hanno il materialismo che gli occulta i sensi e vedono tutto misurabile nemmeno la vita fosse un libro di esercizi di geometria.

Non c’è stato il tempo di motivare del tutto il mio scetticismo sugli elettrodomestici vintage che hanno avuto un senso solo fino a Windows 98. Il frigo bombato con il maniglione, lo spremiagrumi Atlantic, la Polaroid. Quante ne so. Linda però ha dato un taglio con la persone pedanti, me compreso, ed è un peccato non aver potuto condividere tutte le mie teorie a partire dal fatto che il colore nella tv è stato un bisogno da soddisfare ancora una volta economicamente. Vorrei che mi avesse seguito a casa di zia Pina a seguire le partite della Nazionale alle qualificazioni ai mondiali argentini del 78. La maglia azzurra sul campo verde lasciava una scia colorata che se l’avessero vista i grillisti avrebbero subito accusato la RAI di usare espedienti chimici per lobotomizzare gli spettatori.

Ma né io tantomeno Linda eravamo i protagonisti di un episodio di Quantum Leap. Forse ho abbozzato però in extremis alla nostra conversazione una tesi sulla quale non potrete non darmi ragione. Le nuove generazioni, use al full HD, non capiscono il senso di aver investito in una tecnologia in grado di restituire una realtà in bianco e nero. Non capiscono nemmeno perché si possa essere interessati in una decolorazione delle cose.

Per fortuna di Linda ci ha però interrotto il mio amico che fa il portiere di notte, bianco come lo sfondo di un documento di testo e vestito da operatore cimiteriale. Lui è fissato con una band elettronica in cui ho prestato servizio nell’84 o giù di lì. È riuscito persino a convincere un’etichetta di nerd della musica goth a ristampare l’unica cassetta che si trova in giro e che ogni volta che mi presto a sentirne le tracce digitalizzate su Soundcloud mi vergogno come un ladro. Se ci incontriamo non mi parla d’altro, e se già mi annoio io figuriamoci chi non ha nessuna fiducia nella new wave. Comunque, se vedete in giro Linda, ditele che si dice che i cani, in natura, vedano in bianco e nero. Ma io non ci ho mai creduto, perché mai dovrebbero?

retromaniac

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Non esiste una data esatta, il momento in cui inizia il tutto. Ma è un processo di cose, il tempo che passa con le sue evoluzioni e involuzioni, coincidenze forse. Sta di fatto che ad un certo punto inizi a vedere i giocattoli con cui hai passato momenti indimenticabili da bambino sui banchi dei mercatini, nei negozi di modernariato, nelle boutique per i cultori del vintage. Contemporaneamente, il mezzo pop per eccellenza, la tv, si autocelebra incarnando la propria essenza di 20 anni prima. Quindi ti capita di vedere una trasmissione dedicata alle trasmissioni che seguivi alla ormai scomparsa tv dei ragazzi (quella di una volta). A quel punto, scatta il trend: la musica, la moda, gli autori, il cinema. Tutto torna, quasi a colmare i vuoti che quello che dovrebbe esserci nel momento (e non c’è) non colma. Perché era sempre meglio prima. Si tratta di un fenomeno antico come l’uomo, l’uomo inteso come individuo che quando invecchia diventa protagonista della storia e si trova nel passato prossimo ricordato da nostalgici, critici, modaioli che al tempo non erano nemmeno nati, fanatici e così via. Fenomeno che accade sempre più velocemente, è chiaro. A me è capitato ormai più di 10 anni fa, al tempo dell’esplosione del revival 70/80.

[Apro una parentesi. È che per me i 70 finiscono nell’82, e gli 80 iniziano di conseguenza. Lì si che c’è una data certa: 11 luglio 1982. Lo spartiacque. L’Italia esce dal buio, l’oblio dato dalla vittoria, il consolidamento della tv commerciale, la voglia di mettere a tacere almeno 15 anni di tensioni, senza sapere quante ne devono ancora nascere. Il nuovo 25 aprile. La coppa del mondo è una buona motivazione: si può anche vivere felici e far finta che tutto quello che è successo sia una fiction (un termine che ai tempi non si usava). Parentesi chiusa].

C’era stato qualche sentore dal basso: i gruppi che fanno cover delle dei cartoni animati, i bluvertigo. Poi Anima mia, la trasmissione di Fazio. Il revival continua negli anni successivi, spostandosi verso gli 80. E secondo me inizia a prevalere la confusione. Perché si cerca la sintesi per facilitare la comunicazione e i messaggi. Ma non puoi fare una sintesi di 10 anni.