quel post che si chiama come un pezzo degli U2

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Sono stato in uno di quei locali dove i ragazzi arrivano in gruppetti da quattro o sei, si siedono intorno a un tavolo dopo aver tolto la giacca e averla appoggiata sullo schienale della sedia, normalmente lasciandosi la sciarpa che non fa mai tutto ‘sto caldo. Quindi, come primo gesto tirano fuori lo smartcoso, lo mettono davanti a sé e cominciano a pigiare sul touchscreen. Sotto sotto c’è il log-in su foursquare, c’è da rispondere a qualcuno su whatsapp, leggere gli ultimi commenti su Facebook, controllare tutti gli altri socialini. Lo spartiacque è il cameriere che viene a prendere le ordinazioni, una distoglie gli occhi dall’iPhone e nota le All Star con il pelo che per lavorare e portare bicchieri e tazze tante ore al chiuso sembra una scelta discutibile. Dopo, ognuno dice la sua, questo serve un po’ da diversivo così i ragazzi si scambiano pareri incrociati sulle cose scelte, questo mi piace questo no, perché altrimenti il massimo dell’interazione sarebbe un consiglio su cosa scaricare, come configurare, quando utilizzare, fammi vedere come hai fatto tu, guarda cosa ha scritto tizio. Stanno così qualche minuto, poi passano a raccontarsi qualcosa sul film che hanno appena visto insieme, poco dopo arrivano le tisane e i caffè, fuori continua a vedersi poco perché al buio si è unita la nebbia. Passa una che conosco, la saluto e il suo accompagnatore si presenta dicendo prima il cognome e poi il nome come si faceva a naja, tra l’altro ha l’accento veneto e mi sembra una delle reclute che ho conosciuto al c.a.r. In una manciata di minuti ho assistito a una cosa modernissima e un’altra che poteva accadere ai tempi di mio nonno, e se voi la leggete vuol dire che ieri, in fondo, è andato tutto bene. Nel mio piccolo mi sono sforzato di non citare Wim Wenders da nessuna parte, negli ultimi giorni, perché va bene “Fino alla fine del mondo”, ma su Paris Texas mi ero quasi addormentato. Ottimo, si è concluso un ciclo, speriamo che quei popoli che abbiamo sterminato nella loro terra fossero dei discutibili calcolatori in eccesso.

la vera storia del millennium bug

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Siamo alle solite, tanto rumore per nulla. La preoccupazione latente e trasversale sul tema “apocalypse later”, quella del 2012, mi ricorda il panico da millennium bug. Un pubblico vasto va manifestando segni di follia collettiva allo stesso modo in cui gli addetti ai lavori nell’IT nel 1999 prospettavano scenari, probabilmente più a ragione, catastrofici. Intere architetture di rete bloccate dal cambiamento di un cifra, strumenti di difesa informatici allo sbando per scenari apocalittici. Una gamma completa di disastri, che andava dal furto di dati e di soldi virtuali negli istituti di credito a vere e proprie guerre intergalattiche nucleari dovute a sistemi militari impazziti. E dopo il 2000 c’era chi sosteneva che il vero bug si sarebbe manifestato in realtà con il 2001, l’anno ufficiale d’inizio del nuovo millennio. Fortunatamente oggi siamo qui a parlarne come un b-movie di sci-fi, niente di più. Perché, in realtà, non è successo un bel niente. L’unico a cambiare, in quella notte di fine anno, secolo e millennio, è stato il signor Aldo.

Aldo ha passato gli ultimi tre anni del secolo scorso letteralmente terrorizzato da quella convenzione generale che è l’indicazione del tempo. Voglio dire, che importanza ha se oggi è il 2.000 o il 1.441 o è il 4.357, un numero che in una notte d’inverno aumenta di una unità? Ma Aldo ha vissuto nell’angoscia compulsiva che il cambio di data comportasse l’azzeramento della sua esperienza nel secolo agli sgoccioli. Il novecento. Secolo breve, ma pur sempre denso di accadimenti. Aveva il sentore che il baco riguardasse la memoria collettiva, una sorta di formattazione generalizzata dell’hard disk universale. Come se ogni secolo si presentasse come un vaso non comunicante con quello dopo, raggiunto l’orlo del quale si sposta la canna dell’acqua per riempire quello successivo, da zero. Nulla di quanto successo prima viene passato al seguente, questione di un secondo e… zac. Tabula rasa. Per Aldo bisognava fare qualcosa, tracimare tutto il bagaglio di esperienze che nel suo caso, a sessantanni suonati, non erano poche.

Un’impresa ciclopica e titanica allo stesso tempo. Se non che Aldo ha posato i piedi per terra, per fortuna, e pensato di farsi carico solo di una piccolissima parte della conoscenza, quella che riguardava molto da vicino la sua giovinezza. Ha ristretto il suo campo alla letteratura sulla Resistenza. Perché, come se non bastasse il revisionismo e il sangue dei vinti (forse mescolato all’inchiostro soltanto dopo il cambio di secolo, non ricordo, e non chiedetemi di cercare Pansa su Wikipedia), il suo timore era quello che poi tutto scivolasse via, diluito nella brodaglia della riconciliazione. In uno stato che aveva passato gli ultimi ventanni a mettere i puntini sulle i, che cosa era rosso e che cosa era nero. Tsk. Vedere le cose col cannocchiale del tempo, un cannocchiale rovesciato, si vedono piccolissime e di pochissima importanza. Meglio avere un futuro che avere un passato, no? Ma Aldo non ha voluto farsi fregare. Se cancelleranno la Resistenza dai libri di storia, la racconterò io.

Così, uno via l’altro, tutta la bibliografia, tre anni circa sui libri scritti durante e dopo, Fenoglio, Vittorini, Calvino, Viganò, Pesce, Pavese eccetera eccetera. Un’operazione a volte forzata, per i testi meno oggettivi. A volte commovente, per i passaggi più ricchi di pathos, mi immagino le lettere dei condannati a morte. A volte colma di sdegno, per le nefandezze subite dalla popolazione civile.

Ed eccoci dunque al 31/12, i titoli di coda di un vasto quanto eterogeneo blobbone storico che va da Gaetano Bresci a Columbine. Il secolo che ha visto i più veloci cambiamenti della storia. Il signor Aldo è in casa con la sua famiglia, quando, al conto alla rovescia del Pippo Baudo o del Carlo Conti della situazione, inizia a sudare freddo. Ha memorizzato miliardi di parole e informazioni, ha poco spazio libero, ormai. Il suo livello di storage è quasi al collasso. Pochi dati e potrebbe succedere l’irreparabile. Anche un semplice guasto alla ventola, una caldana o un colpo di freddo, un eccesso di umidità. E infatti, al meno uno, va in tilt. Lui, non il sistema informativo globale. Quel pesante secondo in più al compimento del quale sono mutate in un solo colpo migliaia, centinaia, decina e unità, è stato fatale per il suo equilibrio. Il sistema operativo del signor Aldo è andato in crash, al pensiero di “è tutto perduto”, mentre il mondo cambiava solo la data e la realtà continuava come se niente fosse.

La mattina seguente, è il primo gennaio del duemila, Aldo si è svegliato nel suo letto, al fianco di sua moglie. Non ricordava nulla di quanto successo, chi l’avesse portato in camera. Vuoto. Nessuno sapeva della sua missione; da sempre grande lettore, non aveva destato preoccupazione nei suoi familiari, solo qualche domanda della consorte, leggermente colpita da questa frenesia monotematica ma non più di tanto, vista la passione di Aldo per le gesta dei partigiani e gli avvenimenti ad esse legati. Come prima cosa, sua moglie dormiva ancora, ha indossato le pantofole e si è diretto in sala, verso la libreria, per vedere se la sua collezione privata fosse ancora integra. Sì, l’intera bibliografia sulla Resistenza non si era dematerializzata, era ancora lì, in bella vista e in ordine alfabetico. Quindi ha aperto la porta, ha ritirato il Corriere, a cui è tuttora abbonato, dalla cassetta della posta, e ha dato il benvenuto al nuovo giorno, la prima tacca del nuovo secolo, il contenitore di storia nuovo di pacca, certo che non ne vedrà il riempirsi fino all’orlo. A meno che i Maya non abbiano ragione e che non ci si trovi dentro un secolo brevissimo.