Qui da noi il secondo tempo c’è già stato, e probabilmente avremmo anche vinto se uno della nostra squadra non avesse fatto un clamoroso autogol facendoci perdere prima della fine della partita contro quegli altri, quelli che facevano sgambetti e tiravano calci e avevano così tanti soldi che si sono comprati pure l’arbitro e il guardalinee. Grazie a loro siamo retrocessi in serie B, poi in serie C e a un certo punto a malapena avevamo le risorse per iscriverci al campionato, non eravamo nemmeno sopravvissuti ai tempi supplementari, il golden gol era così prezioso che se l’erano pure rubato. E solo di recente c’è stato un ripescaggio, l’ex allenatore è nel pieno dello scandalo delle scommesse, e ora c’è appena stato il calcio d’inizio e noi tutti siamo sugli spalti a tifare questa squadra che nel frattempo ha cambiato tutti i giocatori, l’allenatore è un tecnico che ha imparato nuove strategie con squadre europee, dicono che con questa formazione rischiamo pure di vincere.
Mario Monti
lo stesso tono, ripetuto
StandardSolo una nota: inutile dire che il clamore dello scivolone di Monti, che poi scivolone non è, mi fa sorridere perché siamo alle solite. Si prende la battuta e la si decontestualizza. E non venite a dirmi che sono di parte, che quando gli scagnozzi di quello che c’era prima speculavano filosoficamente sulle sue, di battute, era lo stesso identico modo di comportarsi che hanno quelli che, come me, minimizzano. “I giovani devono abituarsi al fatto che non avranno un posto fisso per tutta la vita. Del resto, che monotonia un posto fisso per tutta la vita, è più bello cambiare e avere delle sfide, purché siano in condizioni accettabili. E questo vuol dire che bisogna tutelare un po’ meno chi oggi è ipertutelato, e tutelare un po’ di più chi oggi è quasi schiavo nel mercato del lavoro o proprio non riesce a entrarci”. Queste sono le parole di Monti. Ora, la situazione la conosciamo tutti. In un mondo ideale uno fa il lavoro che vuole cambiando quando vuole, oggi a malapena se ne trova uno. Lo scenario ipotizzato nella frase incriminata necessita di una predisposizione alla flessibilità solo se consentita da come vanno le cose, nessuno dà dello sfigato – tanto per rimanere in tema di strumentalizzazione – a chi non trova alternative al proprio posto di lavoro che magari occupa da dieci anni, tantomeno trapela un dileggio a tutto il resto della popolazione occupata a progetto e a quella che il lavoro non ce l’ha. Quella frase condizionale introdotta dal purché spiega tutto quanto espresso prima. Ma il caso non avrebbe fatto altrettanto notizia, non sarebbe stato degno nemmeno di una sola nota.
per fascia di età
StandardC’è chi si disorienta, ne sono sicuro. Chi ne prende atto e lascia che seguano il loro corso. C’è anche chi si fa entusiasmare dall’evoluzione delle cose, intese come i fatti e gli avvenimenti ma anche come le cose nell’accezione latina del termine, che con l’avanzare degli anni acquistano significati differenti e vengono percepite in modo sempre nuovo e diverso a seconda dello stadio di crescita. E ci mancherebbe altro, direte voi. Sai che noia vedere tutto sempre con gli stessi occhi di quando si era giovani e poco realisti. Vengo al punto.
Un paio di sere fa ho seguito qualche frammento di un programma tv che va molto di moda e che si intitola “Le invasioni barbariche”, condotto da una ex presentatrice del “Grande Fratello”, ma se è vero che le persone crescono e cambiano, come ho appena sostenuto poco fa, potremmo anche metterci una pietra sopra e dare all’ex presentatrice del Grande Fratello una seconda possibilità. L’incipit è stato un quadretto che mi ha messo a disagio per l’imbarazzo, un tete a tete tra Saviano e Jovanotti, quello di “Sei come la mia moto” per intenderci. Ma ho pensato che se l’avessi seguito a diciott’anni – non ai miei diciott’anni perché non credo che Joe Strummer si sarebbe giammai reso disponibile per un programma di quel genere, ma ai diciott’anni di un diciottenne di oggi – probabilmente mi sarei riempito di orgoglio per questo tipo di dialoghi tra icone pop che piacciono tanto al pubblico delle “Invasioni barbariche”. Vuoi la sovraesposizione del primo, vuoi l’onnipresenza sopra le righe del secondo, ho fatto un bel sospiro, ho chiuso gli occhi e deciso di portare pazienza sperando in tempi migliori.
Poi c’è stato il momento dell’intervista dell’ex conduttrice del “Grande Fratello” a Saviano, e ho pensato che se avessi avuto venticinque o trent’anni – non i miei venticinque o trent’anni perché non credo che Sergio Zavoli avrebbe condotto un’intervista così, ma i venticinque o trent’anni di un uomo di trent’anni circa di oggi – tutto quel compiacersi dell’essere nel posto giusto al momento giusto mi sarebbe sembrato manna da intellettuale, l’avrei persino videoregistrato in qualche modo per fermare quello scambio di mimiche speculari e tentarne addirittura un’esegesi dal punto di vista delle tecniche di comunicazione del giornalismo d’intrattenimento televisivo in ottica PNL.
Così finalmente sono entrato nell’età adulta giusto in tempo per l’ora di intervista di Lucia Annunziata a Mario Monti di ieri, e ho immaginato che a quarant’anni – non con i miei quarant’anni perché dubito che Enzo Biagi avrebbe fatto quel tipo di domande con quel tipo di presunzione ma con i quarant’anni di un adulto di oggi – mi sarei sentito finalmente tranquillo con un’autorità di quel calibro al governo, e avrei comprato Repubblica il giorno dopo per leggere gli approfondimenti (magari di D’Avanzo) e scoprire le reazioni del panorama politico.
E infine c’è ancora quella stessa intervista di Lucia Annunziata a Mario Monti seguita però da un quasi quarantacinquenne, un quasi quarantacinquenne di oggi, che riesce incredibilmente a separarne la fruizione vedendo e ascoltando solo le convincenti affermazioni del Presidente del Consiglio più preparato e competente delle ultime legislature. Il resto, le domande e i tentativi fuori luogo di primeggiare nel faccia a faccia da parte della giornalista, miracolosamente svaniscono come tutte le altre cose minuscole, osservate da questo privilegiato punto di vista.
camera con vista
StandardOra non vorrei sembrarvi monotematico, ma la chiave di lettura dell’affaire Malinconico e dei suoi soggiorni nelle strutture alberghiere è: avercene di dirigenti e figure apicali della Pubblica Amministrazione che hanno il potere, e la fermezza, di lasciare a casa o persuadere a dimissioni manager pubblici in odore di corruzione o che agiscono contro il bene dell’organizzazione cui appartengono. Come scrive Andrea Sarubbi, “Malinconico sta a Scajola come Monti sta a Berlusconi”.
il ritorno del secolo breve
StandardC’è un’analisi di Aldo Grasso oggi, sul Corriere, dedicata alla partecipazione di Mario Monti a “Che tempo che fa”, che oltre a ribadire i concetti già di dominio dell’opinione pubblica sui modi da preside, professore eccetera – che, voglio dire, io mi sento più rappresentato da un Presidente del Consiglio che si esprime come un preside rispetto a uno che si esprime come un bidello, senza offesa eh – è altresì ricca di spunti, uno fra tutti la demolizione dell’identità tra politica e tv nata e affermatasi nel corso dell’escalation brutale e volgare del ventennio appena messo da parte, alcuni dicono temporaneamente altri, come i più sperano, definitivamente. E chi parla di tono da prima repubblica non sbaglia affatto, soprattutto nel rimarcare che un conto è lo stile, un conto è la deriva che poi quella classe politica ha intrapreso, con i debiti distinguo. Ma per i fan più accaniti del secolo scorso, io mi metto in prima fila, è tutto Grasso che cola (pessimo gioco di parole). Comunque bentornato novecento, bentornato buon gusto.
ti smontiamo subito
StandardE invece ho capito come ti saluteremo, quando il tuo mandato terminerà e noi saremo così scellerati da non prolungare il contratto a tempo indeterminato che ci lega a te per altri cinque, dieci, venti anni o almeno finché la tua post-politica non avrà risanato i fondamenti della vision di ognuno di quei gruppi organizzati che ora stanno seduti nell’emiciclo di fronte a te, alcuni dei quali composti da membri con serie difficoltà nel comprendere te e il team che hai scelto per farci risalire la china. Sappi che nessuno ci ha mai parlato così, e il tuo operare probabilmente sarà ricordato come il più rivoluzionario degli ultimi decenni. Stai sovvertendo un sistema, stai ripristinando dei valori, stai costruendo, almeno sul piano del senso comune. Ma noi non capiremo tutto questo, perché i simboli sono più appealing della sostanza, anche se si tratta di quella che non abbiamo mai visto perché ci hanno sempre e solo promesso nuove accezioni dei significati dei simboli stessi o, al massimo, qualche restyle grafico.
Così ho capito cosa ti diremo il giorno del commiato, e non sono stato il solo. Tutti noi abbiamo avuto l’illuminazione sentendoti parlare anche questa sera nel modo in cui avremmo voluto sentire parlare ognuna delle persone a cui è stata delegata, nel tempo, una qualsiasi risposta a una decisione comune. E quel giorno lì, quel momento che la componente pessimista e distruttiva (sempre la maggioranza) di noi purtroppo non riesce a non calendarizzare, avremo il coraggio di dirti che è finita, Mario. Devi rientrare sul tuo pianeta da quelli come te. Raccontagli di dove sei stato, racconta a loro di noi, digli che viviamo in un posto di merda e che abbiamo un modo di vedere le cose demenziale per la nostra ubicazione geografica, economica, storica. Puoi dirglielo pure, senza giri di parole, che siamo spacciati.
Monti di Reggio Emilia
StandardNon se se vi è capitato di sentire il discorso di Mario Monti ieri in occasione del 215esimo anniversario del Tricolore (la bandiera, non la fiamma) a Reggio Emilia. A parte immaginarsi come avrebbe potuto condurre un intervento del genere la persona che lo ha preceduto nella stessa carica, per usare una locuzione veltroniana. Ma questo è il punto: l’aver trattato un insieme così apparentemente eterogeneo di temi riconducendo nello stesso discorso la storia, il presente e il futuro dell’Italia, immaginarsela non solo nel 2021 ma anche nel 2051, l’economia e il risorgimento, la manovra e la bandiera. E ogni volta che gli sento proferire qualche passaggio a proposito della caducità del suo mandato, e lo ha fatto anche in questa occasione, sento che mi manca già. Sarà difficile tornare indietro dopo questa esperienza, sarà un vero trauma quando riprenderà la campagna elettorale.
l’italia chiamò
StandardDomattina vorrei uscire di casa con il tricolore sulle spalle, a mo’ di mantello, legato al collo. Vorrei battere i luoghi dove passo quotidianamente ogni mattina da dieci anni conciato così, a partire dall’ingresso della scuola tra i bimbi e gli accompagnatori. I primi mi additerebbero sicuramente divertiti da un carnevale fuori stagione, gli altri altrettanto meravigliati dalla lunga coda di giubilo per il successo di una nazionale sportiva, una delle tante, magari la più fresca di titolo mondiale di qualcosa. Poi, lungo la strada verso la stazione, il ragazzone affetto da sindrome di Down, quello che incrocio con addosso sempre i Ray Ban a specchio e le cuffie da walkman vecchio stile e che camminando balla e canticchia una musica tutta sua, si meraviglierebbe da quella botta di colore sul mio abituale monocromatismo, forse lui mi chiederebbe che succede. E che dire del goffo impiegato militante di un noto gruppuscolo di subumani di estrema destra, ogni giorno sul mio stesso treno, che in prossimità del vessillo nazionale probabilmente scatterebbe sull’attenti sfoggiando il saluto a braccio teso e che, dopo ore di sforzo intellettivo magari a fine giornata riuscirebbe a darsi una spiegazione del fatto che la bandiera è anche la mia. Poi la scia di gente che lavora, la fiumana di persone nell’ora di punta mattutina che potrebbe decidere dietro a quel segnale di libertà di riemergere dall’esistenza sotterranea verso una luce diversamente rischiarante. Quindi, prima di sedermi e accendere il pc, appenderei dietro la mia postazione quello strascico di entusiasmo da risveglio post-incubo, il mantello che di certo non fa di me un supereroe, semplicemente il cittadino di un nuovo mondo.
e ora qualcosa di completamente diverso
StandardMonti Python senatore a vita.