E se lo avete fatto o pensate di farlo in futuro, prima date un’occhiata qui. E poi non dite che non ve l’avevo detto. Questo è un pazzo, tenetevelo bene a mente.
M5S
sondaggio: meglio la rivoluzione o il colpo di stato?
DigressioneRivoluzione e colpo di stato sono termini talmente inflazionati da avere un potenziale persuasivo pari agli adesivi della lega di cui sono cosparsi i pali dei cartelli stradali nelle periferie padane o, se vivete ad altre latitudini, garantiscono una redemption di eguale entità rispetto a quelle minuscole pubblicità autoprodotte che stanno appiccicate ai caselli autostradali, quando ti fermi a prendere il biglietto senza contare la percentuale di utenti Telepass che al casello non ci si ferma nemmeno. Tutti che invocano la rivoluzione che si deve fare, tutti che gridano al colpo di stato che non ci sono arrivati prima loro a farlo, poi quelli che dicono di aver subito il colpo di stato chiedono di essere supportati nella rivoluzione, e manco a farlo apposta quelli che non hanno fatto in tempo a scendere in piazza per la rivoluzione pensano di aver sventato o intercettato le manovre per il colpo di stato. Ma le vestigia dell’uno o dell’altro gesto estremo non sono facili da riconoscere nelle situazioni di tutti i giorni. Voglio dire, la rivoluzione non sono certo quei quattro gatti con i forconi che stazionavano all’incrocio sotto casa nei giorni feriali, e il colpo di stato non è nemmeno qualche schermaglia tra maggioranza allargata e opposizione esagitata, l’asse che nasce di qui o di là per un fittizio fronte comune, o il Presidente della Repubblica che interviene a cazzo o a ragione. Converrete con me che comunque da qui, sul divano e con il portatile accesso, è difficile distinguere l’uno o l’altro. C’è un po’ di rivoluzione nel colpo di stato, e un po’ di golpe nella rivolta. Facciamo un po’ di ordine, però. Di qui si mettano quelli che pensano di fare la rivoluzione, di là quelli invece che vogliono il colpo di stato. Avvisatemi solo in qualche modo se c’è bisogno di me. Nel frattempo, metto su un disco.
quando ci saranno Loro, cari voi
StandardAllora, amici del cinquestelle, come sono andate le prime deportazioni? Vagoni piombati ma finalmente treni in orario? Scherzo eh, è che poi ci credo che uno diventa vittimista a furia di stare sempre con gli altri destinati a perdere le elezioni, ad arrivare ultimi in classifica, a essere tra quelli fuori moda, ma anche quelli nelle minoranze dei partiti più o meno vincenti fino a quando poi arriva il primo bischero da Firenze che ti soffia l’ultima possibilità di fare le cose a modo tuo. Insomma che un tempo eravamo quelli sorpassati a sinistra, poi quelli della sinistra del centrosinistra, poi quelli del centro-sinistra del PD, alla fine va bene anche Renzi basta che si vince e zac, che t’arriva Alba Canuta con i suoi leader dai capelli sfibrati ad attirare con le loro facilonerie tutti i malcontenti.
Ah, la gente, basta che non gli fai perdere tempo che voterebbero cani e porci, con tutto il rispetto sia per i cani che per i porci. Che della democrazia, come del maiale, nel dubbio io non butto via proprio niente. Nemmeno un comma di una virgola di un decreto, piuttosto che procedere per approssimazione sulla scia chimica di un entusiasmo fallace. E non è un caso che vedo amici che nel 94 hanno plaudito la discesa in campo di un miliardario solo perché sapeva di fresco ed oggi fanno esattamente la stessa cosa, ed esattamente vent’anni dopo, con un nuovo miliardario che io al fresco ce lo manderei ma per circonvenzione di incapace nei confronti degli svariati milioni di persone che hanno dato fiducia a gente che si è formata politicamente su Yahoo Answers. E ho letto che c’è qualcuno che ha twittato ad Augias, l’altra sera, quella del rogo di libri, di studiare la storia. Hai capito? Quindi “boia chi molla” non è affatto un motto fascista, e allora la svastica è solo un motivo ornamentale delle ville pompeiane e allora via, giù mazzate e una bella notte di cristalli infranti non ce la toglie nessuno.
Proviamo a proiettarci allora tra quarantanni, dopo il ventennio di egemonia di questi fanatici della disinformazione sostenibile e magari un lustro di guerra dei mondi condotta contro i grandi complottisti del pianeta – banche, potenze che vogliono cambiare il clima a botte di scie chimiche, sirene e cerchi di grano – ci sarà qualcuno che, quando tutto sarà tornato alla normalità dei comuni mortali, sosterrà che quando c’erano Loro, i pentastellari, ecco allora sì che funzionava tutto. Ma quel giorno lì si potrà solo appurare che tutto oramai è tristemente ridotto ai minimi termini, ai processi binari, al consenso roboante frutto di opinioni forgiate da caps lock e da punti esclamativi. Che già una guerra la stanno conducendo, quelli dei cinquestelle. Hanno una paura fottuta della verità e dell’intelligenza, ecco perché se la prendono tanto con i giornalisti e, al massimo, mandano un Raoul Bova da discount come Di Battista (che già, voglio dire, Raoul Bova è abbastanza di basso profilo) a fare il piacione dalla Bignardi, come se avessero bisogno di consenso facile.
un blog a zero stelle
StandardPotete accusarmi di qualsiasi pensiero contraddittorio e dimostrarlo con i fatti è facile, basta cercare una cosa e poi il suo opposto in questo spazio e sono certo che troverete tutto quello che vi serve. Ma su una cosa non ricordo di aver cambiato idea: potete tranquillamente mettermi tra i più veementi oppositori della semplificazione e della conduzione delle guerre attraverso i simboli. Mi spiego meglio. La semplificazione, che è diversa dalla sintesi che avviene nella politica, si manifesta quando si raccolgono tante, anzi, troppe istanze e le si riducono ai minimi termini per giustificarne la compresenza. Nel M5S credo sia accaduto un po’ questo: sviluppatosi su tentativi di fornire risposte terra terra a problemi piuttosto pratici, alla fine i suoi rappresentanti sono stati costretti a mettere in pratica dei bignami metodologici per non disorientare l’elettorato di riferimento. Che poi è una dinamica che ha sempre funzionato, dai canti all’unisono durante i cortei fino alla comunicazione politica come la si fa sul web. Ed ecco che il link con l’altro aspetto, la guerra dei simboli, è facilmente intuibile.
Ora, dimenticatevi per un istante, se siete seguaci di Casaleggio e Grillo, del perché vi siete lasciati travolgere da questo fenomeno di dissenso ipovedente e provate a pensare a quali connotazioni sta assumendo la sua massa di simpatizzanti con le sue due principali armi persuasive, che combinazione sono proprio la semplificazione, e mi riferisco a cose come “regalano i soldi alle banche!!!11!” oppure “c’è la mafia nel parlamento” e altre numerose generalizzazioni a cui sembra dovremo abituarci perché alla gente la generalizzazione piace, è facile da imparare e ricordare e non richiede uno sforzo poi tanto maggiore a quello che si impiega nell’assistere a un programma televisivo.
Sui simboli, il rogo dei libri di Augias che si sta consumando con tanto di selfie su Twitter o i “boia chi molla” che poi no, non è una frase fascista tanto quanto con la svastica i Romani ci decoravano le ville a Pompei e allora sfido voi del M5S a mettervi le piastrelle con la svastica in bagno e poi vediamo se inviterete ancora qualcuno in casa vostra. Ecco, io che preferisco metterci un po’ di più di analisi, almeno quanto serve per distinguere le cose anche nei confronti di chi, anziché impegnarsi nel cambiamento di un partito di centro-sinistra ha sbattuto la porta e ha preferito la strada a quattro corsie della rivolta ignorante, io trovo davvero disdicevole gettare via una storia democratica con questo modo grossolano di decostruire un patrimonio istituzionale che, attenzione, è vostro, mio, loro, di tutti. Mi ritengo raffinato, almeno da questo punto di vista, e su queste pagine state tranquilli che non troverete mai un plauso verso la faciloneria e il pressapochismo ideologico. Comunque, Grillo merda, raga.
grillo suca
Standardtrema destra
StandardMa probabilmente gli storici scriveranno che negli anni dieci del ventunesimo secolo guerre e rivoluzioni erano così. In qualche punto della città c’era qualcuno che combatteva contro qualcun altro e la media di sirene dei mezzi soccorso che passavano al giorno nelle strade era solo un po’ più elevata rispetto alla normalità. Gli uffici erano al completo con gli impiegati seduti ai computer a usare i programmi della suite di Office come gli era stato insegnato ai corsi di specializzazione. Un occhio sempre pronto a sbirciare sui siti di informazione lo stato delle cose, i tweet in tempo reale per avere in anteprima, rispetto alla stampa, qualche aggiornamento fondamentale. Un sistema che era già stato sperimentato ai tempi del bombardamento di Belgrado, quando grazie a ICQ i ragazzi in pace inviavano solidarietà ai loro coetanei in pericolo di vita o sotto il tiro delle missioni umanitarie. Una cosa simile era accaduta anche durante i fatti di Genova, quando la popolazione che protestava era stata brutalmente contrastata dalle forze dell’ordine a dimostrazione che cortei espressamente di sinistra erano soggetti a trattamenti ben diversi, da polizia e carabinieri, rispetto ai movimenti di ben altra matrice, come quelli del dicembre 2013. Non c’erano contatti tra la gente comune e i rivoltosi, non si assisteva a isterie di piazza come quelle esplose nei paesi arabi qualche mese prima, ognuno portava avanti la sua vita senza nessun ostacolo particolare. C’erano stati lo stipendio e la tredicesima, le partite di coppa si svolgevano regolarmente e se venivano interrotte accadeva per motivi ordinari come un’abbondante nevicata. Le famiglie di immigrati, anche di culture e religioni così distanti dalla nostra, continuavano ostinatamente nel tentativo di integrarsi trascorrendo pomeriggi in posti come l’Ikea per salutare una maggiore stabilità economica, ottenuta grazie a qualche datore di lavoro ben disposto e straniero come loro, attraverso uno sforzo di adattamento alle linee e a un’estetica così ancora lontana dai colori e dai tagli dei loro abiti tradizionali. La sera alla tv era tutto un gridare di anchor man d’assalto, corrispondenti da presidi e blocchi ai caselli autostradali, punti ristoro con salsicce alto-atesine e vin brulè, su riprese con smartphone delle poche vittime sacrificali a giustificazione che dall’una e dall’altra parte tutto quel rumore non era affatto per nulla. I disoccupati aggiornavano i loro profili Facebook con le foto dei loro cartelli sgrammaticati e gli adolescenti più temerari applicavano strategie apprese su videogame sparatutto in soggettiva. C’era stato qualcuno, pochi giorni prima, che avrebbe voluto dare un nuovo nome al futuro ma nessuno si ricordava più, alla fine, come si era deciso di chiamarlo.
gli italiani in piazza per una nuova moneda al posto dell’euro
StandardMio suocero che è del ventotto una volta mi ha raccontato di quando, nella Milano del 44, quella di “Senza Tregua” per capirci, passava davanti alla sede della decima mas. Anzi non passava proprio davanti, ma come tutti cercava di stare alla larga dalle pattuglie di guardia, ragazzini con mitra e pistole con cui era facile mettersi nei guai. Il regime di Salò raschiava il barile del consenso tra volontari e non che, a quindici o sedici anni, potevano avere pasti caldi e libertà di fare fuoco arbitrariamente in cambio di una divisa. Sono racconti che mi tolgono il sonno nel vero senso della parola. Stanotte ho dormito poco e male. Ero tormentato da scenari apocalittici da golpe cileno in cui la gente rivoltosa unita a forconisti post-grilleschi con il patrocinio di qualche scheggia impazzita delle forze dell’ordine, camionisti, pentastellari, evasori fiscali in cerca di una scusa per giustificare le loro manchevolezze, movimenti di estrema destra, black blocks, un velo di criminalità organizzata di stampo mafioso, studenti che non vedono l’ora di saltare scuola e lanciare qualche sanpietrino, oltre agli immancabili apparati deviati dello stato, insomma tutti insieme appassionatamente all’attacco della democrazia. Uno esce dall’ufficio in questa temperatura polare e sulla strada di casa passa per caso in mezzo a questi legionari del duemila alimentati a gadget tecnologici da centinaia di euro e con in mano qualche pistola. Ma non è un videogame, nemmeno un gioco di ruolo. Quello che transita di lì fa una domanda per capire che succede, quell’altro gli spara. Poi è suonata la sveglia e, per fortuna, di tutto quello c’era solo – almeno apparentemente – la temperatura polare.
tutto quello che dovete sapere sulla rivoluzione della prossima settimana
StandardPensate le peggio cose che avete fatto a diciassette anni e mezzo o giù di lì. No, non ditemele. Pensatele e basta come quei giochi delle carte che fanno i maghi. Dopo vi dico il perché. Prima però permettetemi un consiglio: è ora di staccare un po’ dalla rete. Troppa Internet e troppi socialini fanno male, come al mio collega che da ragazzino ha giocato troppo con non so quale console e gli sono venute le convulsioni, addirittura gli è successo due volte. Errare è umano, perseverare è un po’ da cretini.
Non vi dico il bisogno come cresce in questi giorni di vigilia, e non mi riferisco alle imminenti festività natalizie. I giorni precedenti le primarie del PD è tutto uno scatenarsi di appelli, coming out, intenzioni di voto, sondaggi, satira, accuse, un intero campionario di contenuti pubblicati da emeriti sconosciuti come il sottoscritto. Mi sono prestato a un po’ di contributi decostruttivisti dei miei, avete presente quando faccio di tutto con scarso successo per essere simpatico e arguto, mi sono imbarcato in alcune sterili discussioni anti-Renzi e pro-Civati, ho tentato timidamente di convincere qualcuno a seguirmi in questo cammino ma i risultati sono stati inqualificabili. Qualche like da persone che erano già convinte della loro preferenza e basta. Per il resto non credo di aver mosso una sola particella di animo politico in un senso o in un altro.
In questi giorni si consuma anche un’altra vigilia, quella della famigerata rivoluzione dei forconi forcaioli che dovrebbe avverarsi, secondo siti ufficiosi e canali ibridi tra il pentastellarismo, il casapoundesimo e le quote latte proprio a partire da domenica sera, ovviamente il risultato delle primarie credo sia indifferente sugli umori di questa fetta di popolazione. Una data attendibile tanto quanto quella dei Maya lo scorso dicembre. E uno viene a conoscenza di queste notizie quando sonda la dialettica proprio dei v per vaffanculo su Twitter. Ecco, non fatelo. Non fatevi mai tentare dall’intavolare scambi di tweet con i grilleschi. Come i più biechi squadristi di un tempo verreste subito accerchiati e messi all’angolo. Che poi a me, a quarantasei anni, sa che mi frega di spiegare a sti pischelli invasati che la legge elettorale non si può trattare come una scia chimica qualunque. Per fortuna ci sono isole di serenità anche sul web, così alla fine torno nel mio socialino preferito che è FriendFeed, dove alla peggio c’è qualche cuperliano e la cosa si chiude in caciara. Ah, la sicurezza dei propri simili.
E ora lasciamo finalmente spazio ai comportamenti più truci che avete tenuto da adolescenti, ma giusto perché sono reduce da una conversazione di quelle di circostanza con il mio barbiere, stimolata da un argomento trattato a Studio Aperto dopo la rivoluzione dei forconi della settimana prossima. Il mio barbiere, mentre mi sistemava i capelli, mi ha raccontato che suo figlio di diciassette anni e mezzo ha preso ad andare in discoteca con gli amici. Un ragazzo che non ha mai avuto sin’ora la passione per i locali notturni si è lasciato convincere dalle turpitudini dei coetanei e ora fa come la massa. Il mio barbiere si alterna con i genitori degli altri ragazzi nell’accompagnarli alle ventidue davanti al locale – devono attendere una media di un’ora di coda per superare il verdetto degli addetti alla selezione all’ingresso – e nell’andare a prenderli alle quattro. Il ragazzo, che ha un ottimo rapporto con il padre, gli racconta anche di quante ragazze riesce a limonarsi nel corso della serata, almeno due o tre. Ragazze che limonano e si fanno tocchignare con facilità, oltre a sfoggiare abbigliamenti (a detta del mio barbiere che è un testimone oculare) estremamente succinti e provocanti.
Avete capito dove voglio arrivare. A diciassette anni e mezzo, in Paesi in cui le fasi della vita hanno una differente scansione rispetto a qui, si rischia di inventare social network da fantastiliardi. Io a diciassette anni e mezzo mi riempivo di canne (scusa mamma se lo vieni a sapere così) e pensavo solo a suonare e invano a quante ragazze avrei potuto rimorchiare suonando e offrendo loro una canna. Il figlio del mio barbiere e i suoi amici fanno a gara a quante limonate riescono a collezionare. Mia figlia tra sette anni e mezzo avrà questa fatidica età, e tutti voi dovreste impegnarvi insieme a me a cambiare il mondo in modo che non solo mia figlia non vorrà andare in discoteca, ma troverà un mondo senza discoteche in cui i suoi coetanei avranno altro da pensare che tentare di metterle la lingua in bocca. Posate i forconi e pensate a un obiettivo diverso per rivoltarvi. Ma fate presto.
Ma per fortuna che c’è mia moglie che mi tranquillizza sempre in questi frangenti. Mi porta come esempio la figlia di una coppia di amici, gente molto più impegnata di noi che siamo abbastanza rilassati da questo punto di vista, una ragazza che a diciassette anni e mezzo ha trascorso buona parte dell’estate in un campo di volontariato e assistenza al seguito di una onlus in Romania. Ecco, la morale è che per un figlio di barbiere discotecaro c’è un adolescente con il sale in zucca, come per ogni grillino che si trova in rete c’è un interlocutore ragionevole. Io, per me, nel dubbio, la chiudo qui, anche se non mi avete ancora detto come sto con i capelli corti.
prendiamoli a testate nazionali
StandardA pranzo alla mensa di uno dei principali gruppi editoriali, ospite di un amico, mi appunto mentalmente due particolari che so che prima o poi utilizzerò da queste parti. Delle esperienze non si getta via nulla, come il maiale. Il primo è la visione di Paolo Mieli, così è facile anche capire a casa di chi sto scroccando un piatto di zuppa di lenticchie. Lo seguo in fila alla cassa con un completo blu. Il direttore prende il vassoio e si mette in cerca, come tutti, di un tavolo libero.
Noto quindi un paio di dipendenti più giovani della media motivati verso il comune obiettivo. Due venti-e-qualcosenni che si fanno spiegare dal barista come funziona il meccanismo della mensa, probabilmente sono alle prime esperienze non solo professionali. Valutano se prima occorra munirsi di scontrino o del vassoio, se la macedonia sia alternativa al dessert o al caffè. Considerando il momento storico, mi viene voglia di andare a disturbarli per congratularmi con loro di essere lì e di esserci da poco, ma non vorrei generare ulteriore confusione nel loro tentativo di osservare la procedura, sapete come sono i primi giorni negli ambienti professionali inesplorati. E vorrei anche estendere loro i complimenti per la tenacia con cui probabilmente ci sono arrivati. Ci sono più possibilità di vincere un conclave in Vaticano che di lavorare nei media e nei giornali di quel livello, quindi è encomiabile che ci siano ancora giovani che scelgono volontariamente una vita di stenti, precariato e incertezze, e credo di essere stato fin troppo clemente nell’attribuzione dei termini per qualificare il settore.
Mentre li osservo sfoggiare il giovanilismo in eccesso del loro outfit – una delle peggiori piaghe del nostro tempo che imbruttisce individui di ogni età, io parteggio per il completo blu di Paolo Mieli – mi sovviene la consueta metafora dei funamboli su un crepaccio per ottenere la più opportuna rappresentazione visuale di un lavoro molto difficile che è già difficile in partenza, quando cioè lo cerchi. Tutti vi ambiscono non solo perché si sta seduti, uno può farlo un po’ come vuole, dove e quando preferisce. Senza contare che ogni volta che un mezzo di comunicazione diventa popolare tutti fanno credere che c’è bisogno di gente specializzata, questo è successo prima con i giornali poi con la radio quindi con la tv e ora sul web. Dev’essere così che funziona l’economia. Ma lo spunto che mi ha dato l’opportunità di raccogliere queste riflessioni l’ho avuto ieri sera, quando durante il programma di Rai3 Gazebo sono stati trasmessi alcuni stralci dalla manifestazione dei pentastellari di domenica scorsa a Genova, iniziativa nota ai media – demerito quindi anche degli operatori di stampa e tv – come vaffaday o qualcosa del genere.
In più occasioni, ma non è la prima volta che accade, il movimento mascherato dal basso che più basso non si può ha dimostrato una paura immotivata nei confronti dei giornalisti, altrimenti non si spiegherebbe l’accanimento con cui in ogni occasione vengono additati dai megafoni al soldo della coppia di capelloni canuti come i primi della lista dei nemici del popolo, mettendo nel mucchio dall’opinion leader più sovraesposto – uno come Paolo Mieli, per esempio – all’articolista meno blasonato, in un settore in cui oggi tra rete, freepress e cani sciolti c’è un livello di confusione senza precedenti.
Nella mia esperienza quotidiana, ma se cercate in giro troverete conferma di ciò, il numero di lettori di quotidiani è soggetto a un calo mai visto. Fino a qualche anno fa in una qualsiasi carrozza sul treno dei pendolari del mattino qualcuno con il Corriere o Repubblica si intravedeva. C’era persino chi ti sbatteva in faccia la sua, di faccia, una faccia molto da cazzo coperta dal Foglio, dal Giornale o da Libero. Molti di questi sono stati soppiantati con altrettanta cieca supponenza dai lettori del Fatto Quotidiano, e come non mai abbiamo cominciato a percepire il vento della cospirazione durante le trasferte quotidiane, anche con i finestrini aperti e lontano dalle toilette chimiche. Dalle ultime elezioni a questa parte, non so se sia casuale, mi accade di trascorrere intere settimane senza vedere nemmeno un lettore con un qualsiasi quotidiano aperto davanti. Ecco, il fatto che M5S abbia così paura dei giornali, oggi che i giornali non se li incula più nessuno, rimane un’incognita.
boia chi flatula
Standard[Nota del blogger: prevedendo una schiacciante vittoria dei pentastellari alle prossime politiche, non certo per merito loro ma per demerito altrui, inizia da oggi un tentativo di captatio benevolentiae smaccatamente finalizzata a saltare sul carro del vincitore, così da prenotare un posto di riferimento nella blogosfera che verrà secondo le linee guida del sistema operativo imposto dal nuovo ordine dei cavalieri dai capelli lunghi, gigiastri e sfibrati. Buona lettura e buona vita, come direbbero loro]
Non la farei così tragica. Il commento su Facebook del cittadino Crimi tutto sommato lo avrebbe potuto fare chiunque, rientra in quei canoni di umorismo un po’ grezzo con cui si divertono di nascosto quelli come me che non brillano in quanto a finezza e eleganza intellettuale. La differenza è che io sono un cittadino normale mentre Crimi è un cittadino++, e quando occupi anche se provvisoriamente ruoli chiave della democrazia rappresentativa può essere utile chiedere consiglio a qualcuno prima di pubblicare qualunque tipo di opinione. Sono convinto però che certi equivoci diplomatici potrebbero essere evitati se sia il cittadino Crimi che il futuro ex-senatore Berlusconi – benché vittime di differenti ipertrofie – imparassero a contenersi di più.