La gente non è più rassicurante come una volta. Al lavoro le persone sono sempre meno meticolose ma anche nella sfera privata non scherzano. Indossano minacciosi occhiali a goccia e rimangono impassibili ad attendere le cose imminenti con le braccia conserte senza dare il minimo indizio al prossimo su quale partito siano pronte a votare o se siano vittime di qualche routine, probabilmente a causa delle lenti dal colore inaccessibile. Sono pronto a scommettere che oggi come oggi, se hai le possibilità di spendere, alla fine siano molto più affidabili gli elettrodomestici, un paragone che vi farà sorridere ma con certe marche potete stare tranquilli. Luciano, un amico che voleva avere il meglio della tecnologia, per dare un’idea di quello che aveva speso per la cucina diceva sempre che aveva donato un rene per permettersi dispositivi di tutto rispetto. Poi un dottore gli ha davvero scoperto che uno dei due reni non gli funzionava per una specie di malformazione che si portava dietro dalla nascita, una cosa su cui ci rideva su perché, fortunatamente, non gli aveva mai causato nessuna complicazione. Come Luciano, anche io, investendo un po’ di più di quanto avrei dovuto – e apparentemente senza nessuna implicazione sul mio apparato urinario – ma sfruttando il vantaggioso sistema delle rate a tasso zero, mi sono dotato di elettrodomestici che mi danno molta più affidabilità di certe persone. Intanto lavatrice e lavastoviglie tedesche che si spengono da sole una volta terminato il loro ciclo di lavaggio. Mi accontento di poco, direte voi. Il frigo l’ho scelto invece della stessa marca dei più celebri smartphone perché mi ha colpito, in fase di scelta, un vistoso cartello con le parole più belle che non sono ti amo, come diceva Woody Allen, bensì no frost. Infine, ma questo grazie ai punti delll’Esselunga, ho abbandonato la tradizionale moka per una di quelle caffettiere elettriche con il nome di donna che ti fanno trovare il caffè pronto la mattina all’ora a cui l’hai programmata. Il caffè è davvero buono anche se la caffettiera ha una vergognosa lacuna: purtroppo non si carica di miscela e acqua da sola, e se vi capita di vedere la pubblicità di questo prodotto concorderete con me che per la gente, la stessa che non è più rassicurante come una volta, non è affatto un aspetto così scontato.
luoghi comuni
cosa ce ne faremo un giorno, con tutte queste nanotecnologie, noi occidentali di mani così grandi
StandardCosa ce ne faremo un giorno, con tutte queste nanotecnologie, noi occidentali di mani così grandi? Queste dita grosse e legnose, questi polsi saldi e forti con cui abbiamo soggiogato la natura, divelto querce, abbattuto carnivori predatori, deviato fiumi e conquistato i cieli e persino lo spazio, prima o poi saranno la causa della nostra estinzione. Non abbiamo nessuna speranza di sopravvivere al futuro che è fatto di movimenti che prevedono spostamenti al millimetro, pressioni al micron, dimensionamenti al pixel. Ieri ho assistito alla posa di una pellicola protettiva sul touchscreen del nuovo smartcoso di mia figlia a opera di un vero e proprio artigiano cinese in una specie di cattedrale delle cover – che se non sbaglio si chiama addirittura così – in via Paolo Sarpi, che per i non milanesi è chinatown. Uno spettacolo miracoloso che, per tre euro pellicola compresa, consiglio a tutti. Altro che kolossal e maxischermi con digital surrond. Il vero prodigio si manifesta nel piccolo, una versione hi-tech della botte con il vino migliore. Ero in coda per pagare quando ho notato questa specie di prestidigitatore del sol levante che solo con le sue dita, una spatolina di plastica e dei pezzi di nastro adesivo che strappava di volta in volta a seconda della necessità, ha rimosso grani di pulviscolo uno ad uno, sfiatato bolle d’aria del diametro di un capillare e messo al sicuro dai graffi per sempre la superficie di un iPhone 6 maxi a una coppia di ragazzi con una precisione senza eguali. Italiano lui, americana lei, anch’essi entusiasti di gratificare il mago delle pellicole protettive a un prezzo più che congruo, peraltro seguito dalla consegna di regolare scontrino fiscale. Mi sono immediatamente proposto per fargli fare il bis, non ne avevo bisogno ma ne valeva troppo la pena. Mi sono immaginato così questa nuova specie umana che non ha bisogno di tenere in mano manici di vanga o di piccone, falci e martelli perché in grado di spaccare nuclei a mani nude, separare protoni da elettroni, costruire molecole aggregando atomi come pezzi di lego. Probabilmente la chiave per superare il problema della sovrappopolazione non è tanto controllare le nascite ma occupare tutti un po’ meno spazio con il nostro fisico, cosa che qui in occidente non abbiamo ancora imparato perché se vedete i ragazzi delle nuove generazioni sono tutti grandi e grossi e prima o poi su questa parte del pianeta avremo delle difficoltà di stoccaggio delle nostre vite. Invece di là no, sono miliardi e anche quando vengono qui nei loro quartieri non diresti mai della granularità della loro presenza. Qualche indizio però, a ben vedere, lo si può evincere dalla quantità di roba che si trova nei negozi di via Paolo Sarpi. Traboccano di vestiti, bigiotteria, giocattoli, cover per smartphone. Centinaia e migliaia di capi stipati nei negozi e viene spontaneo chiedersi se riusciranno a venderla tutta, quella roba, poi di questi tempi in cui i consumi calano un po’ ovunque. A meno che al sistema di commercio orientale non interessi solo produrre ed esportare perché la loro crescita economica conta solo sul fabbricare tutti quei pezzi e trasportarli in tutti i negozi che hanno aperto all’estero, estero rispetto a loro. Ma se è così, e chissà se lo è perché davvero non mi spiego pareti traboccanti di cover per ogni modello di smartphone esistente sulla terra e tanti di quegli orecchini che non basterebbero tutti i lobi di un’intera nazione come la nostra, se a loro interessa solo fabbricare ed esportare e se poi l’esercente anche se non vende amen, a me che non capisco davvero un cazzo di economia, in questa piramide economica c’è qualcosa che non mi quadra.
indovina chi viene a pranzo
StandardDue signore sono impegnate in una discussione sul fatto che in Italia sia sin troppo semplice distinguere un afro-americano da un africano perché qui le persone “diversamente chiare”, come le definiscono loro per aggirare l’ostacolo della correttezza lessicale ai confini con l’ipocrisia perché il modo con cui lo chiamano dentro di loro stesse traducendo quella locuzione con uno sguardo ammiccante e perfido al contempo fa un rumore più fastidioso di tutto il resto, dicevo qui ingrossano le schiere della povera gente e si riconoscono dall’abbigliamento. Cioè, ed entrano nell’argomento, li vedi per strada e vedi come sono vestiti e capisci subito che non possono essere cittadini statunitensi, turisti, studenti o manager di multinazionali in trasferta o giocatori di basket perché possono essere solo giocatori di basket, o ballerini o rapper o al massimo esponenti di quell’altra categoria, l’unico luogo comune mancante a questa lista meno appariscente senza una osservazione più approfondita. Cioè se vedi un senegalese in tuta che corre non fa jogging, non può farlo con quelle scarpe tarocche, sta semplicemente rischiando di perdere l’autobus.
L’altra, che segue fintamente interessata la dimostrazione della discutibile teoria perché muore dalla voglia di intervenire e dire la sua, sta lì con la bocca semi-aperta per fornire il suo fondamentale contributo. Lo stesso criterio vale per le altre nazionalità, dice. Prendi cinesi e giapponesi. Le cinesi si vestono con le loro cose da cinesi. Le giapponesi sono qui per fare le loro vacanze shopping, possiedono tutte l’iphone e le vedi fare le turiste messe giù in modo provocante, così sostiene il mio ragazzo, aggiunge come inciso, con le mani piene di borse di marche di moda.
I sudamericani no, con quelli non si corre questo rischio, continua la prima. prendi per esempio quelli del San Isidro Volley Club. L’altra la interrompe con un fare interrogativo, evidentemente non capisce di cosa sta parlando l’amica. Il San Isidro Volley Club è un gruppo di famiglie di sudamericani, potrebbero essere del Perù o dell’Ecuador, non li distinguo, che si riunisce ogni domenica in cui c’è bel tempo in un parco vicino a casa mia. Pranzano lì tutti insieme, saranno almeno una cinquantina tra adulti e bambini che ogni domenica di sole fanno un picnic. Poi montano due reti da pallavolo e trascorrono la giornata a giocare, finché non fa buio. Tutto il tempo. E anche loro sono persone semplici, dice proprio così. Non hanno proprio l’indole, ci sono solo loro che vogliono trascorrere i giorni di festa così, come se fosse la cosa più divertente che possono fare.
L’altra vorrebbe giungere a una conclusione, il dehors è pieno e qualcuno potrebbe ascoltare inavvertitamente la conversazione. La tua tesi però non regge, anzi non è proprio una tesi, dice. Anche gli italiani, voglio dire anche gli italiani riconosci a che ceto appartengono dalla qualiltà degli abiti che portano e dalle cose che fanno. Lo sguardo di entrambe si posa sul tavolo da due posti di fronte al loro, dove un tizio tutto trasandato, almeno per i loro standard, riporta velocemente gli occhi giù sulla sua cotoletta, visibilmente in imbarazzo.
a casa loro
StandardDunque, ricapitolando, i romeni sono specializzati nei furti nelle ville e non vanno nemmeno troppo per il sottile con le donne. I rom ti tirano sotto con i SUV rubati che è un piacere e facilmente te li trovi in casa che ti portano via oggetti facili da rivendere, oro, piccola tecnologia. Mentre gli zingari ne costituiscono una variante e prendono anche i capi firmati, ma oltre a lavare vetri e chiedere elemosina, quando possono al supermercato rapiscono i bambini. Poi ci sono i nord-africani che spacciano e rubano autoradio, quando non addestrano terroristi. Gli africani invece occupano tradizionalmente il mercato (nero) della merce contraffatta, le borse di marca provenienti fresche di fabbricazione da Gomorra. I cinesi ti mettono nel piatto involtini scaduti provenienti dai container che sostano sotto il sole dei centri intermodali occupati in parte anche dai loro concittadini che, quando sopravvivono, vanno a prendere il posto e l’anagrafica dei clandestini che nel frattempo sono morti, ma raggiungono il top con l’omonimo ciarpame stipato in magazzini ubicati nelle chinatown di ogni città e cucito a mano in stabilimenti da connazionali soprattutto in età scolare, che lavorano diciotto ore al dì sotto il ricatto di strutture criminali super organizzate. Lato sfruttamento della prostituzione, il primato è sempre degli albanesi (quando non riempiono le fila in nero dell’edilizia) mentre si ha l’impressione di un calo delle nigeriane e relativi protettori. Russe e slave invece vanno a soddisfare un diverso target, più da club privée e circuiti vip e sono di difficile catalogazione. Chiudono i sudamericani, quelli più giovani, che si uniscono in bande che si menano tra di loro e non sarebbe un problema, se non che ogni tanto organizzano spedizioni di raccolta smartphone e gadget hi-tech contro i giovanissimi che aspettano di entrare in discoteca. Ecco, mi pare che la mappa sia completa. A dire il vero ci sono pure gli italiani che sono corrotti e corruttori sin nel dna e che fanno da cornice ma qui il discorso si fa lungo e articolato. Vedete, poi uno dice delle complessità che sono sempre maggiori e sempre in aumento, di come sia cambiata la società e perché noi si andava a scuola da soli già in seconda elementare mentre al giorno d’oggi li si accompagna fino in terza media, i nostri ragazzi. Dove è finito quel piccolo mondo antico in cui c’erano solo i tossici che scippavano le vecchiette e rubavano le bici in stazione?