giù il gettone

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Si vince facile a misurare l’evoluzione di un popolo dall’entertainment estivo “for the masses”. Animazione e spettacoli, quelli che campeggiano su manifesti sgargianti e organizzati per soddisfare il turista che arriva e l’abitante che è rimasto. Si uniscono i punti, si sommano gusti, età, estrazione, abitudini. Si dà un’occhiata al budget e si vede cosa c’è sul mercato. L’offerta pubblica ai tempi del patto di stabilità al massimo può garantire i balli di gruppo o il teatro dialettale. Chi è fortunato può contare sugli operatori privati, chioschi o locali o grandi eventi la cui portata è direttamente proporzionale alla spendibilità turistica del luogo. E solo a quel punto è possibile tracciare la riga e scrivere sotto il risultato, che per la mia cara amica Tinapica che è in vacanza a Gallipoli significa avere l’imbarazzo della scelta tra Subsonica e Caparezza, per me che mi trovo per un paio di sere al paesello natio è una roulette russa tra il concerto di Umberto Tozzi e il luna park.

Il tutto scoperto per caso, direi quasi subìto, altrimenti saremmo corsi ai ripari optando per una sana e antisociale programmazione serale tv con bollino verde, agevolata dal carnet completo dell’abbonamento Sky dei nonni a disposizione. E invece no: spinti da un eccesso di sregolatezza stagionale, ecco due fatal error, uno via l’altro, con un pizzico di imprevisto finale per un esito di portata tale da minare anni di sforzi volti a plagiare il senso estetico di una figlia.

Intanto il passaggio nei pressi della performance di Umberto Tozzi proprio durante il clou dell’esibizione: Notte rosa e Ti amo. L’area spettacoli gremita, un paio di maxischermo per chi non è riuscito a posizionarsi sotto il palco, gente di ogni età che ripete i testi e le rime baciate del pop sempreverde a memoria. “Papà, ma non mi piace questo cantante, che lagna.” Quanto hai ragione, cara. Poteva andare meglio, mi sarei accontentato di Stella stai o Zingaro voglio vivere come te, vere chicche per palati fini.

La seconda fatica è stata attraversare il lungomare occupato da giostre, autoscontri e calcinculo vari, più trabiccoli indistinguibili da un solarium, tanta luce emanano, e dispenser di zucchero filato e schifezze ipercaloriche varie. Ogni attrazione con il suo impianto hi fi, la canzone meno truzza alla fine risulta essere Loca di Shakira, ragazzetti con le mutande in vista e tripudio di polo con i colletti ritti su nudità varie e bruciacchiate.

Non c’è nulla di più deprimente di un luna park, vero? E allora via anche da lì, rifugiamoci in uno dei numerosi bar aperti, ma in quello scelto a caso ecco l’odiata animazione latinoamericana, i movimenti sexy e maracaibo, pubblico anziano che sorseggia chinotto Lurisia e beveroni a base di acqua tonica, umanità vestita di marche tarocche e gel con effetto bagnato in quantità spropositata, anche sui bambini in età prescolare.

Ho capito, è meglio tornare a casa senza consumare. Il rientro, per evitare il percorso tentacolare appena fatto a ritroso, si articola così attraverso un paio di vie dagli scorci tipici: muri scrostati tappezzati da annunci mortuari, insegne dei negozi scelte senza un minimo di criterio omologante, la gelateria con dehor in mezzo al parcheggio e le agenzie immobiliari tutte illuminate anche di notte, che quando abitavo lì non c’erano ancora.

E ora, prima di addormentarmi, ecco il consueto rituale del camion dell’immondizia rigorosamente indifferenziata e del lavaggio strade, giustamente schedulati per transitare nelle vie centrali della cittadina in piena notte, in estate, quando tutti dormono con le finestre aperte. Bel posto di merda, mi vien da pensare. Bel posto di merda.