Ma quindi passano ancora lenti i treni per Lourdes? Potete aggiornarmi e per un istante evitare che vi ritorni la voglia di vivere a un’altra velocità? I treni per Lourdes erano una visione notturna per quelli che aspettavano l’ultimo locale per tornare a casa in qualche stazioncina di provincia, quelle dove non fermano né diretti né espressi tantomeno gli Intercity. Avrete capito che mi riferisco a treni di un’altra epoca, altro che Tav e Freccia Rossa. Era proprio il tempo di Alice e Franco Battiato e della loro partecipazione all’Eurofestival dell’84. Si aspettava l’ultimo locale di mezzanotte, dopo aver dato a chi so io l’ultimo bacio della sera, sulla panchina di uno dei due binari, poi suonava la campanella – ve la ricordate la campanella? Ci sono ancora ad annunciare il treno in arrivo? – ma anziché l’ultimo locale di mezzanotte arrivava inaspettato quanto deludente il treno per Lourdes, facilmente riconoscibile da lontano per via del locomotore, troppo potente per un treno locale.
Un convoglio con le sembianze di un treno a lunga percorrenza che si differenziava dagli altri, e mentre rallentava con lo stridore dei freni per fermarsi lì davanti a persone assonnate in attesa di tutt’altri vagoni, era lì che si capiva che era un treno straordinario, perché era popolato solo da tre tipologie di viaggiatori. Suore o suore/infermiere, comunque sacerdotesse addette al culto della salvezza umana con la divisa bianca da crocerossine che si affacciavano al finestrino per capire perché il treno straordinario faceva fermata lì, con i loro visi acqua e sapone racchiusi dentro al velo o al cappello di ordinanza.
Ci guardavamo loro dall’alto in basso, con l’espressione di chi non capisce quel che succede, noi dal basso verso l’alto perché sapevamo benissimo che cosa stava accadendo, con quei dannati treni straordinari che scombussolavano gli orari dei treni regolamentari, come i trasporti eccezionali sulle strade in cui è già un casino sorpassare veicoli normali. Per me era essenziale che il semaforo consentisse al treno per Lourdes di ripartire in fretta sgomberando il binario per favorire l’arrivo del mio locale, probabilmente fermo alla stazione precedente in attesa del via.
Oltre alle suore/infermiere c’erano vari accompagnatori in abiti laici o vestiti da preti nel tempo libero, spesso persone molto anziane ma in salute e amanti del colore grigio. Quindi ecco la carrozza con i viaggiatori più accreditati su quella linea taumaturgica, ovvero malati, moribondi, gente sulla sedia a rotelle o infermi sdraiati nelle cuccette, la cui ombra si intravedeva da fuori svelandone la sofferenza velata da un pizzico di speranza, quella di scendere trasportati da qualcuno alla stazione di arrivo e di prender posto sulla carrozza del ritorno invece autonomamente.
Ma per me, deluso dal treno sbagliato che significava il prolungamento dell’attesa, il miracolo non era certo quello e al limite poteva avere le sembianze di un capotreno che apriva una porta e mi lasciava salire lo stesso, magari non per spingermi fino a Lourdes ma per la mia quotidiana destinazione. Fantasticavo su un viaggio a bordo di uno di quegli Orient Express del dogma. Sentivo le voci dentro, accenti del sud, risa femminili, qualcuno che si lamentava del dolore nel buio del proprio scompartimento, fino al fischio definitivo che sanciva la fine di quello spettacolo estemporaneo. Il treno ripartiva per Lourdes portandosi via tutto il suo vento, l’aria che prende il posto delle cose ingombranti che prendono velocità. Il binario restava vuoto. Di lì a qualche minuto sarebbe suonata ancora la campanella, mi era stata concessa una seconda possibilità.