La storia ci insegna a essere molto rigorosi con gli anni 80 musicali, per questo non dovreste dare retta a quelli che fanno pasticci mettendo nelle stesse compilation i Cure con i Thompson Twins o, forse ancora peggio, la roba dell’81 con la musica dell’89. Dovendo seguire fedelmente il filone new wave e post-punk abbiamo schifato ben più di un lustro di cose collaterali, ai tempi, e non sono pochi quelli che più o meno all’altezza di “Music for the masses” – era l’87 – sono rimassi perplessi da come si mettevano le cose. Tutta la roba che avevamo ascoltato vestiti di nero oramai non esisteva più o si stava raschiando il fondo del barile. C’era chi tramava per mettere fuori moda i sintetizzatori e le creeper, per di più l’estetica azzimata degli animi più gotici stava diventando la caricatura di se stessa. Per farla breve c’è stato un fuggi fuggi generale dal punto di vista degli ascolti grazie anche a link artistici che dalle cose chiuse di cui eravamo devoti sostenitori, prendete per esempio un David Sylvian, ci portavano a generi che mai ci saremmo sognati di ascoltare ai tempi di Bela Lugosi’s Dead, per esempio certe incursioni nella fusion e nel jazz o persino nella musica etnica. In molti ci siamo tagliati i capelli superando l’obsolescenza delle chiome cotonate di Robert Smith e abbiamo iniziato ad aggiungere colori inusitati al nostro guardaroba. Io ricordo di aver avuto una sorta di rigetto che è stato fondamentale perché mi ha consentito di sperimentare tutte le cose nuove che tutti i colpiti dallo stesso rigetto stavano producendo. Nel 1988, per dire, è uscito un album che se non mi ha salvato la vita siamo lì. Non avrei mai detto che una nuova speranza potesse venire dalla Francia e avesse il timbro scanzonato della fisarmonica e del melting pot. Spero che Mlah dei Les Négresses Vertes abbia un posto di rilievo anche nella vostra discografia di tutti i tempi.