Permettetemi l’ultima parola, sono già tante le volte in cui l’ho detto ma ora non ce la faccio davvero proprio più. Non è possibile fare lavori come il mio per più di quindici o vent’anni, a quasi cinquanta sono stufo di spremermi in guizzi creativi, strutture narrative, editing sfrenato, titoli e slogan pubblicitari. Ci mancava pure lo storytelling. Vi prego, portatemi un giovane brillante che voglia prendere il mio posto, non prima di avermi dato l’opportunità di ricoprire le mansioni di un neo pensionato in qualche lavoro più tranquillo, dietro le quinte, senza aspettative, senza corse, senza scadenze, senza brief, senza consecutio temporum. Io ve la lascio volentieri questa scrivania, questi clienti che vogliono sempre cose nuove, questi spazi di visibilità in video, articoli, banner, post, social media, pubbliredazionali, infografiche, tag, headline, commenti e moderazioni. Io lo so che di questi tempi è già tanto averlo, un lavoro, e che ci sono centinaia di migliaia di ragazzi che fanno lavori per i quali sono fin troppo qualificati e altre centinaia di migliaia che il lavoro nemmeno ce l’hanno. Ma troviamo un sistema per salvaguardare queste due o tre generazioni sfiancate dal terziario estremo, dalla schiavitù della comunicazione, dalla dittatura del marketing, dalla digitalizzazione selvaggia. La chiave della ripresa economica è tutta lì. Il segreto risiede nel liberare tutte quelle persone che come me lascerebbero volentieri lo spazio che occupano immeritatamente, lungo un sistema viziato da dinamiche che non esistono più, la carriera che c’era un tempo per cui entravi fattorino e andavi in pensione dirigente. Oggi inizi come copywriter e finisci come copywriter con esperienza. Se finisci. Lanciamo quindi tutti insieme una campagna per scambiarci il lavoro in questo gioco che si occupa la casella successiva almeno per l’impegno intellettuale per non far più lavorare i neuroni quando sono tutti protesi su ben altre preoccupazioni. Genitori anziani, figli adolescenti, acciacchi della mezza età. Per me è finito il tempo di compiacersi con le frasi ad effetto e i testi ammiccanti. Aderite numerosi a questa iniziativa, se volete trovo io qualche frase ad effetto che è il mio mestiere. Poi però basta eh, venite a darmi il cambio e mettetemi a far attraversare la strada ai bambini davanti alle scuole.
lavoro
codice sorgente
StandardSe vieni da fuori e non sei abituato, partecipare a un evento in quell’hotel o motel con vista sulla tangenziale ovest fa un po’ sfigato. Nessuno pensa al vantaggio invece dell’ubicazione a ridosso di uno svincolo che quando esci dall’autostrada sei subito lì. Io e Marco ci diamo dentro con il coffee break di metà mattinata e poi lo accompagno fuori, lui fuma e io no ma resto a osservare l’ampio parcheggio all’ingresso e le conseguenze degli spostamenti d’aria causati dal passaggio di autotreni e autoarticolati (non chiedetemi la differenza) sulla strada che è proprio oltre quel dehors.
Marco ha la mia età ma è il mio datore di lavoro, uno dei tre soci della software house che mi dà da vivere, ed è stato carino a invitarmi con lui alla presentazione della nuova release dell’applicativo che utilizziamo per sviluppare i nostri prodotti. Sa tanto di investimento sulla mia professionalità e di iniziazione al vero mondo dei programmatori, anche se lui è un ingegnere e io un laureato in lettere che smanetta con il codice. Lui ha preparato una tesi su una specie di protesi, una mano virtuale completamente comandata tramite computer ed è giusto che ora faccia quel tipo di lavoro. Io ho scritto qualche centinaio di pagine sulle Metamorfosi di Ovidio e boh. Dopo la sigaretta torniamo dentro, ho ancora fame e faccio il bis con il pain au chocolat e un altro cappuccino, che è una cosa che accomuna tutte le persone agli esordi della loro carriera. Un po’ come la scusa che adducono i genitori quando ti dicono che comprano tanta roba da mangiare perché sono cresciuti in tempi di guerra e si sentono più sicuri con una scorta di genere alimentari adeguata. Si mangia gratis, e nessuno si tira indietro.
Ci sono sessioni parallele con i guru italiani che ti spiegano i loro trucchi, mentre i product manager illustrano tutte le novità e gli upgrade della versione che sta per essere immessa sul mercato. Marco si vede che ama quel lavoro e, soprattutto, la sua micro-azienda. Poche sere prima abbiamo fatto tardi come al solito, si lavora giorno e notte e fine-settimana senza nessun problema etico quando c’è una consegna di mezzo. L’ufficio dà su una piazzetta del centro storico che è il centro della movida notturna, e Marco, distratto dal vociare di quei lazzaroni alle prese con birra e mojito, si è sfilato gli occhiali da vista, ha dato un’occhiata alla moltitudine di ragazzi sotto, e massaggiandosi il solco rimasto lungo il setto nasale ha pensato di consolarmi dicendo che intanto quelli là non sanno scrivere cicli, strutture di controllo, flussi di esecuzione. Ho collegato così questa osservazione a qualche settimana prima quando la sua fidanzata, che è socia pure lei, una volta che abbiamo chiuso a mezzanotte passata mi ha chiesto se volevo fermarmi a dormire a casa sua per non perdere tempo con il viaggio per tornare a casa e poi tornare in ufficio presto la mattina dopo. Per fortuna avevo amici che mi aspettavano e sono riuscito a salvare la situazione con una buona scusa.
Quando le demo dell’applicativo finiscono, ci troviamo tra centinaia di persone che fanno il nostro stesso lavoro e che sono venute in quell’iperluogo da tutta Italia. Marco mi fa notare la rappresentanza del nostro principale competitor, uno studio molto più strutturato a cui approdo quando poi Marco, la sua fidanzata e il terzo socio – un ciccione presuntuoso con velleità artistiche che oggi è ai vertici marketing di una delle principali riviste del nulla internettiano e duepuntozero – mi fanno aprire la partita iva per regolarizzare la collaborazione ma interrompendo così la continuità retributiva mensile con il passaggio a una consulenza su progetti. Una bella fregatura, in poche parole, perché mi pagano lo stesso stipendio ma spalmato su più mesi.
E infatti tutto finisce una sera quando, aspettando la conclusione dell’interminabile back-up, lo metto al corrente del misto di sorpresa e perplessità di svolgere quel lavoro, per me che sognavo di fare altro e che tutto sommato vivo con l’ansia di fare una cosa per la quale ho una preparazione da autodidatta. Una cosa umana e normale, non trovate? Ma non è così. Certe confidenze non si fanno ai datori di lavoro, anche se li crediamo dalla nostra parte solo perché ti portano a eventi di lavoro, anche se si ha l’accortezza di rifiutare proposte dubbie per evitare complicazioni, anche se poi a forza di programmare pensi che sia sufficiente un’operazione di debug per sistemare e risolvere tutti i problemi del mondo.
investimenti per migliorare il proprio stato sociale
StandardLe classi sociali ci stanno dividendo di nuovo, molto più dell’amore in barba a quello che cantavano i Joy Division, ma tutto torna a nostro vantaggio perché altrimenti ci riverseremmo in città a prendere posto al lavoro tutti alla stessa ora e allora sai che bordello. Invece grazie a questa ripartizione meritocratica quelli che svolgono i lavori più umili prendono i mezzi all’alba e ritornano a un orario in cui i più abbienti, che già fanno capolino in ufficio alla mattina dopo le nove e trenta, sono già stati al Virgin Club e sorseggiano uno spritz a base di Champagne mentre innaffiano svogliatamente il giardino con il cucciolo di labrador che gioca abbaiando agli zampilli.
Io che appartengo alla middle class e che quindi solitamente mi muovo tra le otto e trenta e le nove quando mi trovo con quelli che invece si mettono in marcia per tirare su la serranda per essere pronti in tempo per accogliere quelli della middle class come me nel loro orario di pertinenza mi rendo conto del privilegio di lavorare nei servizi e non nella produzione. Così osservo gli altri tra i quali ci devono pur essere anche quelli più sfortunati che sono costretti ancora agli orari di chiusura dalle tredici alle quattordici e trenta come toccava a tutti gli impiegati di una volta, ma che ora non si può certo tornare a casa per pranzo.
Allo stesso modo, la sera tardi ci sono quelli che fanno anche dieci ore al giorno perché il lavoro oggi mica conosce regole, così dopo aver programmato app o smanettando su template con il cms più in voga in agenzia, tirano fuori il portatile e si rilassano programmando app e smanettando su template con il cms più in voga ma per loro conto.
Penultime a uscire sono le commesse del centro. Vincono invece per lunghezza della giornata lavorativa quasi sempre gli avvocati giovani, costretti a tenersi ben saldo il posto che magari, uscendo troppo presto, qualche arrivista gli soffia la posizione di primo tirocinante. Gli avvocati giovani escono con il buio e la valigetta, la cravatta allentata se sono maschi, poi mangiano qualcosa al volo fuori per non dover ammettere di avere ancora il frigo vuoto in una casa vuota.
Trovarsi per sbaglio in classi sociali diverse causa disorientamento e può essere letale, e non sto scherzando. Stamattina un’impiegata amministrativa precaria in una società di revisione dei conti palesemente in ritardo – anche loro iniziano alle sette e staccano alle diciannove – non capiva il perché di così tante mamme ferme all’angolo dopo aver lasciato i figli a scuola alla campanella di ingresso mentre lei è costretta al pre-scuola per timbrare in tempo. Pensava che ci fosse il verde al semaforo dietro a tanto movimento e invece c’era un’utilitaria nel controviale che l’ha presa in pieno.
Io ero fermo perché c’era rosso per i pedoni, l’ho vista passare al mio fianco e non ho capito le sue intenzioni. Ho pensato che avrei potuto afferrarla per il braccio prima che si accartocciasse con il fianco sul cofano dell’automobile, mentre l’autista sgomento continuava a parlare nel microfono dell’auricolare, probabilmente avvisando l’interlocutore che aveva appena investito, senza colpa, un passante. La donna si è alzata aiutata da un paio di vigili che controllano l’incrocio, considerando che c’è una scuola.
Lei non voleva l’ambulanza ma poi l’hanno convinta perché non si sa mai. Subito non si sente nulla ma poi chissà, potrebbero esserci lesioni agli organi interni anche se fuori sembra tutto normale. Mi sono spaventato moltissimo e mi sono ripromesso che non camminerò mai più cercando di catalogare le persone e di indovinare l’entità del loro patrimonio familiare, o magari riflettendo su tutte le volte in cui sento utilizzare, in ufficio, il termine “abilitatore” a sproposito.
quando ottengo un aumento ho come un presentimento
StandardBella rima, vero? Ma se non vi piace parlare di soldi fate come me. Mettetevi calmi alla vostra scrivania e aspettate che il vostro principale si accorga di voi, di quanto siete bravi, di quanto valete, di quanto è vantaggioso investire sulla vostra professionalità, di quanto vi sentite di meritare e così via. Che è un po’ come aspettarsi che la polizia locale comprenda che dovevate solo prendere la tachipirina in farmacia e non c’era posto ed è per quello che avete parcheggiato dalla parte della strada in cui c’è divieto di sosta o, più realisticamente, che la vostra divinità preferita si manifesti in qualche forma e vi fornisca in rendiconto di quanto vi è dovuto, negli anni a seguire della vostra vita, per tutte le ingiustizie che avete subito. I trattamenti sperimentali di ionoforesi a scuola, i due minuti a partita nella squadra di basket ma solo nel terzo tempo e se c’era uno scarto sufficiente a vostro vantaggio, il fidanzamento rotto dalla vostra partner durante il servizio militare, le angherie del vostro padrone di casa che però non perdeva il vizio di usare il vostro bagno con la scusa della prostata per fare cosa non si scoprirà mai, giusto per mettere nero su bianco quello di cui uno come me sta aspettando un rimborso ancora adesso.
Ma se vi risulta faticoso fornire al prossimo una valutazione di quanto pesi il vostro cervello o il vostro corpo, a seconda di quale parte di voi il lavoro che svolgete richiede l’impiego e di quale possa essere il vostro prezzo al chilo, ecco mi dispiace deludervi ma qui non troverete una comoda tabella da consultare per avere una percezione pronta all’uso della retribuzione che vi spetta. Da me che poi mi sento a disagio persino a chiedere uno sconto con quell’orribile espressione “mi fa il primo prezzo” non sentirete mai proferire nemmeno una cifra seguita dalla valuta di riferimento. Non credo però di essere come uno di quei luminari della medicina evasori totali che non toccavano una banconota manco a pagarli e con un gesto teatrale demandavano il saldo del consulto all’infermiera segretaria che la fattura non sapeva nemmeno da che parte incominciare. Credo sia un problema di indole. A volta capita, comunque, di essere gratificati anche da questo punto di vista. Secondo me spetta al datore di lavoro capire quando è il momento di puntare sulla retribuzione come acceleratore di entusiasmo professionale. A volte no e, in quel caso, vi tocca prendere provvedimenti.
la grande bellezza del capitale umano
StandardVa bene, datevi una calmata, ho capito, ho capito. Conosco i miei limiti e lo so, la mia gestione delle risorse umane è inqualificabile. Sono consapevole del fatto che per mettere insieme uno stipendio dignitoso occorra adattarsi, in taluni casi turarsi il naso, e poi fare quello che ci viene assegnato senza discutere, altrimenti quella è la porta. Ciò non risolve i problemi. Certe mansioni, quelle in cui entrano in gioco fattori individuali che hanno una matrice comportamentale, psicologica, o comunque derivante dal vissuto personale, non è che si imparano. Chi vi dice di aver frequentato dei corsi ad hoc sappiate che ha solo alimentato il fumoso sistema della formazione manageriale. O, come nel mio caso, ci si può anche sforzare a una loro esecuzione scolastica ma il risultato che ne deriva è sempre in quella zona grigia tra la sufficienza e i valori negativi. Non c’è una dinamica causa-effetto che permetta la composizione di una formula matematica. Prendo sei uova, le metto nell’apposito contenitore, passo il tutto al collega successivo nella catena di montaggio che timbra la data di scadenza e così via. Si, lo so, oggi nemmeno queste operazioni si fanno più manualmente, ci sono fior fiore di macchine per il packaging industriale nella costruzione delle quali, peraltro, noi italiani siamo leader nel mondo. No, con gli stati d’animo e i rapporti interpersonali non funziona così. Vi prego quindi di avere pazienza se lascio spazio quando dovrebbe prevalere la mia volontà, se non riesco a non ascoltare quando non ci dovrebbe essere voce in capitolo altrui, se nella scelta dei fornitori prevale l’affinità elettiva al valore professionale, senza contare che mi fido solo se e quando le cose le faccio io perché sono certo che delegando il risultato non sarebbe analogamente appagante, e vi giuro che non è per presunzione ma solo per esperienza. Nel lavoro di team sono uno di quelli che si fissa sul lato estetico, che non si sa spiegare, che si lascia prevaricare, che vorrebbe essere altrove, che disegna facce sempre uguali sul blocco degli appunti mentre parla chi dovrebbe stare zitto. Chiaro che non lo dico a nessuno, non voglio mica rischiare il mio posto, né mi lamento o chiedo di essere sostituito. Vi chiedo solo di essere un po’ più comprensivi, farò tutto il possibile per migliorare.
il regista che scegliereste per un film sulla vostra vita
StandardProbabilmente i vostri genitori, come i miei, hanno trascorso trenta o quarant’anni nello stesso posto di lavoro, magari iniziando con altri colleghi stanziali quanto loro, in forza alla stessa organizzazione o azienda da chissà quanto e magari in quelle dinamiche di una volta in cui entravi fattorino e, a furia di studio e impegno, andavi in pensione direttore di qualcosa. E forse i vostri genitori, come i miei, hanno assistito ai primi segnali di cedimento della baracca, nel senso del sistema Paese e del lavoro su cui per costituzione era stato fondato, la modernità fatta di quel carrierismo misto a inappetenza professionale e a trasformazione sociale ed economica con una spruzzata di informatizzazione, per cui la gente dopo qualche tempo si spostava, cambiava reparto, se ne andava e chi si è visto si è visto.
E non ditelo a me, che in quasi vent’anni ho cambiato sei posti di lavoro. So bene cosa vuol dire imballare le proprie scartoffie, il portapenne e i gadget che nell’ufficio successivo saranno soppiantati da complementi d’arredo obbligatori e che quindi destinati a finire in cantina. Portare la focaccia e i pasticcini in onore di tutto il tempo trascorso insieme, le battaglie, le sconfitte, i caffè alla macchinetta, i dialoghi superficiali nei tempi morti, le pause pranzo surreali quanto qualunque altra attività naturale come masticare del cibo con commensali con cui non ci si trova così a proprio agio. Per fortuna, o per disdetta, si tratta di situazioni sempre più rare, vi sfido a trovare qualcuno che sua sponte cambia lavoro di questi tempi in cui butta davvero male.
Restano però le esperienze professionali chiuse per motivi anagrafici, come quella che chiamiamo pensione e alla quale non sappiamo più se avremo diritto o meno. Cerco di immaginare così come possa essere l’ultimo giorno di lavoro per professioni particolari, o almeno molto diverse da un banale impiegato quale sono io. Il bagnino che provvede a chiudere ombrelloni e sdraio l’ultima sera e poi si avvia a una cena a base di pesce presso lo stabilimento balneare in cui lavora. La guida che racconta il dipinto nella sala che conclude il percorso del museo in cui svolge la sua attività e magari, proprio in quella descrizione finale, riesce a cogliere un particolare che, nella riproduzione mnemonica dei suoi studi di storia dell’arte, non aveva mai notato in tutta la sua carriera. L’arbitro che fischia la fine dei tempi supplementari di una finale e si avvia definitivamente tra gli insulti del pubblico vero gli spogliatoi, una metafora mica male per una vita professionale.
Ma leggevo poco fa di un tizio della NASA che, a ottant’anni e in pensione da un pezzo, amava tanto il suo lavoro da continuare a voler trascorrere le sue giornate portando i turisti a spasso per Cape Canaveral e di come ha condotto l’ultimo giro per i suoi visitatori prima di doversi ritirare per sempre. Ho pensato che uno così potrebbe essersi procurato, come me, il documentario che tenta di spiegare che il primo allunaggio in realtà è stata tutta una messa in scena, una specie di complotto cinematografico ordito contro gli avversari della guerra fredda per il quale è stato scomodato come regista addirittura Stanley Kubrick. Ecco, magari l’ex impiegato della NASA ha pensato di celebrare il primo giorno di lontananza dall’ambiente astronautico con un programma televisivo che avrebbe potuto aprirgli un nuovo punto di vista su quello che è stato il lavoro di una vita e dare una inedita chiave di lettura dei valori che ha cercato di trasmettere da sempre a migliaia di americani. Per poi scoprire che in quel documentario non c’è niente che possa essere considerato veritiero, come è successo a me, e cambiare canale dopo un po’, fino a spegnere la tv e a cercare un altro modo per passare il tempo.
uomini che odiano le bozze
StandardSe per ogni volta in cui spiego che si tratta di una versione provvisoria e mi sento dire che manca questo o quest’altro e io devo giustificarmi dicendo che manca questo o quest’altro proprio perché è una versione provvisoria ma alla fine questo o quest’altro ovviamente ci saranno guadagnassi mille lire, come diceva il Liga (mai nella vita avrei pensato di utilizzare una sua metafora, spero di non deludere nessuno), che vecchiaia che passerei.
La questione delle fasi di approvazione intermedie di un lavoro è annosa, ostica e antica come l’uomo stesso ed è complessa perché mette in gioco diversi aspetti spesso confliggenti: il tempo che si perde nel dare una parvenza di prodotto finito da parte di chi sta realizzando quel prodotto, la difficoltà di dare l’idea di come sarà il risultato alla consegna, la capacità di astrazione di chi fa da tramite tra chi sta realizzando il prodotto e chi lo ha acquistato, le aspettative di chi, appunto, ci ha messo i soldi.
Questo in tutte le diverse varianti a seconda di quale prodotto stiamo parlando, naturalmente. Se si può avere uno schizzo disegnato o un modello digitale o un mock-up in cartone o uno storyboard dipende dal materiale o dall’immateriale che costituisce la sostanza del prodotto. Ma sono altresì convinto che, in ogni frangente e con qualsiasi variabile in gioco, accade sempre che chi realizza fisicamente il lavoro difficilmente mette a disposizione un prototipo sufficientemente rispondente al prodotto finale o non è in grado di spiegare efficacemente che lì sarà così e dietro sarà cosà. Chi fa da intermediario, quello che nel mio ambiente professionale si occupa di tenere i contatti con il cliente che ha commissionato il lavoro, non ha gli strumenti per sostituire con l’immaginazione ai “placeholder” gli elementi definitivi – che siano parole al posto dei lorem ipsum o parti in alluminio al posto del cartoncino provvisorio o che un video abbia il voice over registrato a cazzo anziché dallo speaker che presterà la sua voce nella versione finale. E chi ci ha messo i soldi, dal canto suo, ha una visione del suo brand o dell’articolo che vuole commercializzare o anche solo pubblicizzare che trovarsi di fronte a una versione parziale quasi lo offende.
A volte né profondersi in spiegazioni, costruire plastici, recitare, mimare, disegnare nell’aria o fare gesti a corollario delle parole serve a granché. E a me è davvero capitato di tutto, in tutte e tre i ruoli che nel mio lavoro ricopro, cioè sia come autore, che come account manager che come cliente. Chiaro che avere una visione completa come la mia è un privilegio e mi consente di non preoccuparmi più se manca questo o quello, se la grafica non è quella definitiva, se la copertina della brochure è assemblata con la colla che tiene insieme i pezzi anziché la rifinitura che ho commissionato allo stampatore.
Ci sono invece persone che alle versioni provvisorie preferirebbero la morte. Chiamare un file con il nome “bozza” può essere considerato un crimine contro l’umanità, per questo eccedere nella fiducia verso l’intelligenza di saper vedere da un embrione un qualcosa di definitivo sarà un’arma di distruzione di massa, la soluzione finale per ogni stress professionale.
posizioni aperte
StandardMentre scorro la lista delle inserzioni di lavoro ho la terribile sensazione che, con le competenze linguistiche richieste dai più, uno dovrebbe svolgere la propria professione dall’alto, in quota, a bordo di un aeroplano per esempio. Attraverso la curvatura terrestre e della sua atmosfera è possibile infatti ottenere l’equidistanza tra più punti, sfruttando peraltro l’approssimativa considerazione in cui nell’economia globale viene tenuto il luogo dove un prodotto o una parte di esso viene realizzato. Il cosiddetto lavoro di concetto, per non usare l’odioso termine intellettuale o, peggio, creativo, rientra tutto sommato in questi stessi parametri. Ritrovarsi sospesi in cielo a cavallo tra spazi internazionali e nell’aria di nessuno, la cui pertinenza è aleatoria per antomasia, chi può dire o stabilire quale sia la lingua ufficiale e i comportamenti in uso? A svariati chilometri di altezza uno si immagina ricoprire posizioni nodali, giacché l’impiego del termine apicale sarebbe oltremodo didascalico in questo contesto, a fare capo a una invisibile quanto immaginaria rete abilitata alla trasmissione di informazioni in un idioma convenzionalmente neutrale. Un quadro in cui la popolare immagine del rimboccarsi le maniche ed esercitare la propria forza fisica mista a precisione qui non ha più nessuna importanza, nel nostro essere vettori di disposizioni impartite chissà dove. Non ci è nemmeno chiesto né di tradurle né di aggiungervi valore. In teoria, se abbiamo la fortuna di gravitare in una classe superiore a quella economica, possiamo anche permetterci un drink e confidare nel fatto che quassù andrà tutto bene anche se, probabilmente, non atterreremo mai più ed è una fortuna, non riconosceremmo infatti il posto da cui siamo partiti.
la coda per i posti chiave, ma almeno questa volta mi sono svegliato in tempo
StandardRitorno sull’argomento solo per ricordarvi che questo eccesso di rilassatezza non è degno di noi che sin dagli anni remoti della nostra comparsa abbiamo iniziato a dominare il mondo e costruito civiltà eterne, fino a evolverci a un ritmo senza precedenti per poi non essere in grado nemmeno di far funzionare correttamente un sito su Internet Explorer 8. Come ci comporteremmo di fronte a una mandria di animali preistorici infoiatissimi per la carne cruda umana noi che di mestiere ci occupiamo di social media e storytelling aziendale? Ma senza andare agli albori della nostra storia, che cosa faremmo a pochi metri dalle trincee nemiche con una baionetta montata su un fucile di fabbricazione americana noi che siamo abituati a riavviare le cose per risolvere i problemi più contingenti? C’è troppa gente che fa queste cose per noi e nelle cui mani mettiamo la nostra vita. Neurochirurghi, elettrauto, psicologi, personal trainer e responsabili di palinsesto hanno la nostra salute e il nostro equilibrio in pugno e noi ci fidiamo perché non potremmo fare altrimenti. Se siamo fabbri del nostro destino, non potremmo essere anche idraulici delle nostre emozioni o carrozzieri del nostro benessere fisico? Pensate se un giorno chi tira le fila del nostro progresso decidesse di ritirarsi in pensione e aprire un chiosco a Puerto Escondido, che poi quanti cazzo di chioschi gestiti da europei frustrati ci sono in Messico, a dar retta agli status di Facebook almeno un italiano su dieci è pronto a far armi e bagagli e partire. Pensate se chi ci prescrive le pillole per l’ipertensione chiudesse bottega e tanti saluti, come l’officina dove portiamo l’auto per la revisione. O se dopo gli scioperi degli impiegati di banca, che poi che avranno da scioperare, i piloti degli aerei di linea si scoprissero tutti sofferenti da vertigine e addio voli internazionali. Noi che non contiamo nulla e non apparteniamo a nemmeno mezzo ordine professionale perché in soldoni non siamo in grado di produrre niente saremmo spacciati. Prova tu a cambiare lo spinotto di un paio di cuffie. Ce l’hai un saldatore? Sei capace a usarlo? Ecco. Se fossi investito della responsabilità di garantire un domani ai miei e ai vostri figli perché tutto ciò che diamo per scontato non lo è più, be’ ragazzi non saprei proprio da dove cominciare. La mia utilità in questo sistema di cose su cui siamo saliti in fretta e in furia è pari a zero. Il mio ruolo di imboscato come certi impiegati dal lavoro garantito prima o poi verrà smascherato. E c’è poco da ridere, so benissimo di non essere il solo e anzi, tutti voi che mi date corda dovreste saperlo. Quindi facciamo che ci reggiamo a vicenda il gioco ancora per un po’, almeno fino a quando ci sarà permesso e qualcuno di qualche stanza dei bottoni reale o virtuale ci scoprirà e ci chiederà un report di quello che abbiamo combinato in tutto questo tempo. Quanto a me, potrò sempre dire di essere un tipo simpatico, di saper scrivere in un italiano più o meno decente, di saper strimpellare la pianola, di essere in grado di tirare su bambini almeno fino ai nove o dieci anni, di badare ad animali domestici purché non esotici, di conoscere molta della musica degli ultimi quarant’anni, di sapere a memoria il testo di Fight da Faida di Frankie Hi-nrg MC e, se costretto, di saper sostituire i lampadari. Mi basta una scala e il cacciavite quello più piccolo, quello adatto alle viti per collegare i fili elettrici. Previo distacco della corrente, ovvio. A voi la palla, vediamo chi ci sta a costruire il nuovo ordine mondiale a partire da domani e con quali mansioni.
un pacchetto da dieci di lavoro oro
StandardAllora facciamo finta per un istante che il mondo del lavoro non è così conciato male e che ognuno di noi può chiudere gli occhi e sfregarsi il naso o fare qualunque altro gesto scaramantico e in quattro e quattr’otto ci squilla il telefono e ci chiamano per l’impiego dei nostri sogni. Vi piacerebbe, eh? Io l’ho detto e ripetuto in più frangenti e in tutti i socialcosi in cui ho una presenza costante ma lo ripeto per quelli che si sono sintonizzati solo ora sulle frequenze di radio plus1gmt international e non è una cosa detta così per caso, nelle ultime settimane ho notato un sensibile aumento dello share che nel mondo dei blog si chiama clic quindi ecco un cenno di benvenuto ai nuovi lettori.
Dunque la classifica dei miei lavori preferiti vede al primo posto il tastierista dei Subsonica, al secondo il traduttore di uno degli scrittori americani che amo di più come Paul Auster, Percival Everett, Douglas Coupland che in realtà è canadese e Amy Michael Homes, al terzo lo scrittore americano tradotto in italiano da un traduttore come me e al quarto il maestro elementare watson. Bella, eh? Ehm.
Dicevo, giochiamo che abitavamo in un mondo in cui la crisi economica non c’era e sceglievamo cosa volevamo fare della nostra vita, ma solo per renderci conto di quanti lavori di merda in realtà svolgiamo e che se la disoccupazione non ci avesse dato un bel mestiere, mestiere di merda eccetera eccetera davvero mai e poi mai ci saremmo sognati di fare le cose facciamo. Social media manager. Web content architecht. Mavappianterculo dài. Ora lo so che molti di voi fanno il lavoro che faccio io o cose simili a scrivere trovate per la comunicazione on e off line aziendale per far vendere gente che sta dall’altra parte dell’oceano. Anzi, ci tengo a mettere nero su bianco che se tu che leggi sei un neurochirurgo, un assistente sociale, un insegnante o uno che fa cose manuali come far scatenare le formule chimiche (ciao raelina e complimenti per il diploma di maturità), i muri o gli impianti elettrici, ecco tutti gli altri si mettano una mano sulla coscienza e sempre in quel mondo platonico in cui non esiste la disoccupazione alle stelle possiamo parlarci chiaro e dirci che basta. Basta, davvero.
Qual è il valore aggiunto che rechiamo al mondo, ai nostri simili, ai nostri animali domestici, alle foreste minacciate dalle multinazionali, al buco dell’ozono, alla questione palestinese e a tutto quello che si aggira nell’orbita terrestre? Zero. E se vi raccontano che no, non è vero, l’economia mondiale risente anche del centesimo in punteggio di rank dei motori di ricerca conquistato grazie ai nostri contenuti redatti in ottica SEO e SEM, voi non credeteci. Per un miliardo di dollari guadagnato da una delle fortune 500 mondiali, a voi non arriva nemmeno l’ipostasi di qualche moneta sufficiente a pagare un cono gelato due gusti a vostro figlio.
Quindi sentitevi liberi di mandare affanculo se vi fanno pesare una scadenza non rispettata di qualche giorno a meno che, a causa di una vostra inadempienza, non sia morta una madre di famiglia sotto i ferri, un vostro alunno non abbia compreso i principi della consecutio temporum, un adolescente non acquisisca gli strumenti per difendersi in un mondo di tamarri con i genitori proprietari di SUV o non sia stato scoperto in tempo il vaccino di una malattia epidemica. Tutto il resto può tranquillamente aspettare che voi terminiate la vostra settimana di ferie. Sempre facendo finta che il mondo del lavoro non è così conciato male e che ognuno di noi può chiudere gli occhi e sfregarsi il naso o fare qualunque altro gesto scaramantico e in quattro e quattr’otto ci squilla il telefono e ci chiamano per l’impiego dei nostri sogni.