Il digitale ha messo in discussione molte delle certezze su cui il mercato – in ogni ambito – si è sviluppato dalla rivoluzione industriale in poi. Senza tirare in ballo il luddismo applicato all’informatica, pensate a quante cose oggi diamo in pasto ai microchip anziché usare l’olio di gomito, con risultati in velocità e abbattimento del rischio dell’errore umano imparagonabili. Molti prodotti e servizi fisici o intellettuali che siano costano una sciocchezza o addirittura pretendiamo siano gratuiti perché la loro virtualizzazione li ha resi alla portata di tutti, di immediata realizzazione, riproducibili all’infinito, privi di consistenza materiale e, giustamente, svuotati del loro valore perché legati a un elemento di alimentazione energetica privati del quale puff, tornano a essere invisibili. Oggi il malessere che trovate in voi e nella gente con cui vi accompagnate deriva dalla inconsistenza di certi generi di prima necessità. Abituati al loro scarso valore, di conseguenza le cose materiali si sono dovute necessariamente adeguare a quelle immateriali per consentire margini di sopravvivenza di chi le fa, e l’impressione generale è che questa corsa al ribasso riguardi tutto, anche noi stessi, quello che pensiamo, il modo in cui ci esprimiamo, i sentimenti stessi che proviamo e di cui parliamo in Internet, i nostri corpi e la nostra salute, l’intelligenza, la politica poi non ne parliamo, persino pratiche come il sesso o lo sport. Tutto dura sempre di meno, è sempre più sottile ed è sempre meno coinvolgente perché le cose, per stupirci o anche solo interessarci o durare nel tempo devono volare altissimo ma solo a certi livelli, certi prezzi, un certo tenore di vita e un certo reddito è possibile emanciparsi dai bassifondi generali. I nuovi ricchi e i nuovi poveri sono sotto gli occhi di tutti, tutti i giorni. In questo quadro roseo e ottimista è facile immaginare le condizioni di tutto ciò che già prima dell’era digitale fermentava depositandosi nel fondo e nel sottobosco del nostro regno animale. Pensate alla stupidità, alla grossolanità, alla cialtronaggine, alla demenzialità, al qualunquismo e all’ignoranza di un tempo. Sarò di parte per questioni generazionali, ma mi sembra che comunque anche la bassa manovalanza del pensiero umano, prima di Internet e di Facebook, avesse una sua dignità. Non so. Oggi mi sembra che così pessimi, davvero, non lo siamo mai stati, questo da una parte e dall’altra, compreso il mezzo televisivo che trasmette il peggio in diretta e l’Internet che, appunto, lo fa arrivare persino nei più remoti interstizi della nostra società.
la fine del mondo
la fine del mondo come lo conosciamo
StandardCi sarà qualcuno con il mal di testa perché si è abbuffato a dismisura e ha appena preso un’aspirina, d’altronde la fine del mondo come lo conosciamo non è che si possa prevedere. Se avessi mal di testa qualche ora prima – ammesso che si conosca l’istante in cui tutto il sistema viene spento – io una pastiglia la prenderei lo stesso. Si tratta di un istante come tutti gli altri, lo abbiamo visto a Pompei con la gente sorpresa nelle più elementari attività quotidiane dalla lava. Ci sarà qualcuno che osserva scorci famigliari di casa sua e pensa a quante volte si è soffermato su quei dettagli ignorando il fatto che da lì, da quella parte di spazio ora provvisoriamente chiuso all’interno di mura domestiche, non ci passeranno più altre migliaia di anni di storia. E pensate a quante volte ce lo siamo immaginato con una colonna sonora come “Shine on you crazy diamonds” solo perché era circolata quella musicassetta con la registrazione del terremoto del Friuli, ve la ricordate? Un registratore di una volta che, malgrado il collegamento via cavo con il giradischi con su la facciata A di “Wish you were here” dei Pink Floyd, mantiene attivo un microfono che registra l’audio dell’ambiente. La scossa tellurica, la gente che grida, si chiama, corre via fuori al riparo. A noi era successo una cosa simile ma con un disco di Venditti, “Sotto il segno dei pesci”, e sopra una crisi isterica tra le mie sorelle rimasta registrata a loro insaputa, sapete come sono le ragazze. Il registratore era un Philips grigio (di colore) e mono di qualità, un regalo di Natale forse dello stesso anno del terremoto. Come colonna sonora dell’apocalisse preferiremmo tutti qualcosa di meglio di Venditti o di Ligabue che fa certe cover in italiano dei REM a tema, quindi state sempre pronti con il vostro pezzo da mettere sui titoli di coda a portata di mano oppure lasciatevi guidare dalla casualità del vostro riproduttore di mp3 o da Spotify, che ha sempre la canzone giusta per il momento giusto. Se invece sapete l’ora esatta per l’appuntamento decisivo con la fine del mondo come lo conosciamo, magari avete qualche antenato Maya che vi ha tramandato il pronostico, saprete dirci esattamente in quell’istante che cosa staranno facendo i vostri gatti domestici, tanto sono abitudinari. Per noi umani è diverso anche se abbiamo tutti le nostre routine. Molto probabilmente quando succederà non sentiremo nulla perché staremo correndo con le cuffiette ad archetto piantate nelle orecchie, o ancora staremo scrivendo qualcosa a proposito e speriamo ci sia dato il tempo almeno per termin