kids in America

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Questo pezzo è uscito quando dopo anni di studi di pianoforte classico mi stavo avvicinando all’esecuzione del rock, la mia vera rovina. Facevo più o meno le medie. Io e Giuliano, un compagno delle elementari con cui ero rimasto in contatto e che frequentava con me la scuola di musica sacra in cui venivano forgiati gli animi spirituali dei futuri organisti come ci volevano i nostri genitori, ci eravamo regalati il noleggio per qualche mese in comproprietà di un sintetizzatore monofonico Yamaha, che per farvi capire la nostra perizia con gli strumenti elettronici una volta arrivati a casa fui costretto a chiamare il negozio di strumenti musicali per chiedere come si accendeva. Comunque grazie a quello, unito a un Eko Tiger 61 che era un organo tipo Farfisa di cui ero in possesso per esercitarmi nei mesi estivi quando, in campagna, non potevo disporre del piano, ho iniziato proprio allora a sviluppare gusti circa l’uso delle tastiere nei gruppi che ancora adesso influenzano i miei ascolti e l’ideazione stessa degli arrangiamenti. Ma se quel pezzo qui sotto mi era piaciuto come nessun’altra canzone, ai tempi, era grazie al fascino incomparabile della cantante stessa. Che poi, se non erro, non è che abbia fatto altre canzoni pop altrettanto dirompenti, almeno io non me ne ricordo. Comunque oltre alla cotta per Kim Wilde, nella sequenza di synth sotto la strofa e negli accordi di apertura d’organo nel ritornello alla fine c’è buona parte del mio universo sonoro, e chi ha suonato con me vi può testimoniare che almeno in un pezzo o due quelle linee di tastiera lì ho provato sempre a scopiazzarle. Ma non si tratta di plagio, sappiate, bensì di citazione colta. Diciamo così.