la sintesi è che italo va a trecento all’ora ma noi no

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I più sensibili accusano conati che li piegano in due se parli di deiezioni e non solo all’ora di pranzo, come biasimarli. A me ha svegliato la puzza di quella cosa lì che non nomino, perché la mia mente che lavora sodo anche quando dormo ha avvertito un odore che la norma o l’abitudine, se preferite, non vuole all’interno della gamma prevista dal contesto.

Avete capito, no? Quando vi cimentate a trova l’intruso nei giochi enigmistici c’è quel particolare che la vostra acutezza coglie e vi accende l’intelletto, come il celebre riflesso di Profondo Rosso con la faccia della madre che non c’entra nel quadro. Io dormivo ma ho sentito il tanfo e qualcosa mi ha detto che nella carrozza Smart di Italo da Roma a Milano quel tipo di odore, pur familiare ma non per questo amichevole, non doveva stare lì. Ho notato, appena aperti gli occhi, quattro inequivocabili strascichi organici, diciamo così, con tanto di tracce di collegamento tra l’uno e l’altro proprio lì accanto a me. L’istinto è stato quello di disintegrare con lo sguardo la coppia che occupava i sedili dietro al mio, proprietari di un cane di grossa taglia, ricevendo di rimando un cenno esplicativo, come a dire che la composizione di quelli scarichi accidentali sul corridoio tra le due file di posti non poteva essere ricondotta all’espulsione della parte terminale di un intestino crasso canino.

È così comparso sulla scena del delitto un uomo che ha trascinato oltre le porte a chiusura automatica che dividono le carrozze un altro residuo, quello di una conversazione in un dialetto campano strettissimo – quelli riconducibili a fatica alla nazionalità italiana – e che munito di scottex e salviette profumate tentava di salvare una situazione imbarazzante. L’anziana signora in viaggio con lui non era riuscita a raggiungere in tempo utile la toilette e, insomma, avete capito che cosa è successo proprio a fianco del sedile su cui stavo sonnecchiando.

Ora, non mi soffermo sullo scempio che la natura fa del nostro corpo con l’età, tema su cui sto preparando un vero e proprio compendio sulla base delle mie esperienze personali più recenti. E sono certo che una persona non smarrisca la sua dignità allo stesso modo in cui viene meno il controllo sui suoi organi che la mettono in contatto con l’esterno, anche se son cose che succedono. Una perdita, diciamo così, non va certo a inficiare una vita trascorsa a sgobbare, tirare su figli, creare futuro per altri, assicurare il sostentamento e la sopravvivenza per un nucleo famigliare.

Ho solo sovrapposto questo impasse con la storia della zia Maria, che, molti anni prima, aveva pregato il capotreno di ritardare di qualche minuto la partenza a Roma Termini perché lei, diretta verso sud, voleva abbracciare almeno per qualche secondo suo figlio che era diretto a nord ma il treno che faceva scalo lì a metà percorso non si era ancora visto. E i due annunci si erano quasi accavallati, quello che avvisava di affrettarsi per la partenza dell’uno e quello che si scusava per l’arrivo in ritardo dell’altro. Zia Maria era angosciata perché, da quando suo figlio navigava lungo gli oceani, si sentivano solo per telefono, e della notizia che lui aveva fatto scalo Napoli e sarebbe ripartito la sera da Livorno – porto da raggiungere tramite ferrovia – aveva visto il bicchiere mezzo pieno. Stava rientrando in Sicilia e i due convogli sarebbero transitati contemporaneamente a distanza di poche banchine. Il capotreno aveva così accontentato l’anziana zia e nessuno dei viaggiatori si era lamentato, anzi, se ci fosse stato uno di quelli che traggono storie commoventi dal quotidiano per rivenderli ai programmi da prima serata tv ne avrebbe preso spunto gratuitamente e la scena sarebbe stata rifatta fintamente vera con comparse di dubbia capacità prese dalla strada in un programma alla Maria de Filippi.

Se non fosse che questa storia, che è una bella storia, ha però alcuni elementi che la rendono irripetibile. Oggi i passeggeri esasperati dalla qualità dei servizi di cui usufruiscono, trasporto pubblico compreso, unita alla presunzione di rivalsa acquisita grazie all’illusione della democrazia diretta e della psicosi dei complotti, non avrebbero mai accettato uno strappo alla regola così eclatante. La gente in Italia anela alla perfezione tedesca, o meglio, esige puntualità teutonica anche se è la prima a restituire pressapochismo mediterraneo malcelato da eccellenza eno-gastronomica, superiorità pseudo-creativa e altri primati farlocchi, che vediamo solo noi.

Ma la povertà due punto zero di questi tempi muove tutti in un’unica direzione. Tutti verso nord a trovare lavoro, tutti verso sud a tornare ogni tanto a casa. Altre cose sono cambiate, per esempio non ci sono solo più le FFSS, ve le ricordate, no? Oggi c’è anche Italotreno, è tutto più vario ma è anche tutto più complesso.

Così quando l’uomo, forse figlio o nipote di questa signora Maria, quella che non ha saputo trattenere la dissenteria, e non dimentichiamo che tutti noi nati prima che cambiassero le abitudini sui nomi di santi e appartenenti alla sacra famiglia abbiamo avuto almeno una zia o una madre che si chiama Maria – ha fatto del suo meglio per migliorare l’esperienza di viaggio mia e degli altri pagata a caro prezzo, ho pensato a questa nuova società, quella dei cani di grossa taglia che viaggiano in classe Smart su Italotreno e che annusano con sdegno le deiezioni di una zia o mamma Maria qualsiasi che non ha parole per giustificare quello che è successo e che osserva il proprio viso in cima a un corpo che non riesce a controllare più riflesso nel finestrino dopo che un figlio o un nipote che a stento parla l’italiano l’ha ripulita e cambiata nei bagni di Italotreno.

Una società che ha costruito una modernità che è bellissima solo fino a quando c’è qualcosa che la modernità stessa ha portato all’estremo, come l’età, e che comunque non funziona più e fino a quando qualcuno non cercherà un modo per evitare situazioni come queste, anche l’alta velocità di un competitor delle FFSS – e sai quanti ce ne vorrebbero in Italia – verrà percepita come una conquista superflua.