finale col botto

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La bomba sta per esplodere, e non è un messaggio in codice. Se ancora non ve ne foste accorti il conto alla rovescia è partito, non so dirvi come e quando ma il timer procede inesorabile verso l’ora x, e poi non avremo più scuse. Italiani contro italiani che a loro volta sono contro altri italiani, e tutti insieme a lagnarsi degli italiani. Gli italiani sono al governo, gli italiani sono cittadini che vivono tra elettori italiani e astenuti italiani. Tutti ce l’hanno con tutti, nessuno escluso. Ma chi l’ha votato quello lì, si sente chiedere continuamente. Gli italiani, rispondono italiani agli italiani che hanno rivolto la domanda. Poi un altro italiano chiosa che quello lì che è stato eletto è pure lui un italiano, che prima di essere un italiano ministro o parlamentare o presidente del consiglio è stato un italiano cittadino ed elettore, un italiano comune insomma. Allora gli italiani provocatori sono pronti a chiedere agli italiani so-tutto-io se è nato prima l’uovo o la gallina, ovvero se sono nati prima gli italiani ka$ta magna magna o gli italiani evasori totali? Ma chi ha votato gli italiani cittadini ladri in pectore elevandoli al ragno di italiani parlamentari magna magna? Questo o quello, che additiamo come esempio di italiano marcio spaghetti mafia mandolino, prima era come noi, con l’auto personale intestata all’azienda, con l’amico dell’amico dell’amico che IVA no grazie. Nessuno è sbarcato da Marte per conquistarci e imporci le sue nefandezze. Tutti italiani nati in Italia, nemmeno oriundi. Tutti a dare addosso a questi italiani e indicare altri italiani che, tempo qualche Expo o qualche consulenza o qualche grande opera, saranno italiani nuovi che si comporteranno come quelli da cui sono stati preceduti. Gli italiani che tifano contro gli italiani che giocano al pallone nelle competizioni mondiali e che stimano gli italiani che scelgono di non vivere più tra gli italiani, differenziando però quelli che si portano un po’ di Italia all’estero – da evitare come la peste a meno di non aver bisogno della loro ospitalità – da quelli che abiurano le loro origini e che poi, però, si rivolgono esclusivamente in inglese ai loro ex connazionali e se non hai studiato sono cazzi tuoi. Italiani giornalisti contro italiani nelle ONG, italiani che delocalizzano contro italiani che chiudono, italiani indignati contro italiani altrettanto indignati di italiani che se ne fottono della stima degli italiani tanto più dell’indignazione, che con l’indignazione non si mangia, non si sposta un voto e non si causa nemmeno un attacco di dissenteria all’italiano a capo del partito degli indignati, i secondi diciamo, quelli che si attirano l’indignazione di chi rivendica il pedigree dell’indignato doc. Un bel casino ma mettetevi comodi anzi state pure dove siete, che non dubito che non siate già spaparanzati sulla sdraio sotto l’ombrellone che ricorda le spiagge dei tropici. Rimanete lì a fare nulla ché tanto nulla si può fare perché siete italiani come me, parlatene di questo con il vostro vicino di fila, italiano come voi, leggete quello che scrivono gli italiani degli altri italiani sui giornali degli editori italiani magari senza nemmeno comprarli, gli scaffali dei supermercati traboccano di quotidiani intonsi con cui potete informarvi a scrocco, poi mettetevi in fila alle casse dietro un cittadino tedesco, in villeggiatura come voi, e osservate attentamente la spesa che si appresta a pagare e provate a chiedergli, in italiano che tanto ormai ci capiscono, vi piace venire in vacanza in Italia eh?

i sette pilastri dell’ignoranza

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Al settimo chilometro di corsa, sono circa le sette del mattino del giorno di ferragosto, mi taglia la strada un idiota vestito da Robin – sì, proprio il subalterno di Batman – che fa ingresso nel villaggio dei ricchi. Potete mettere la mano sul fuoco che né sono sotto doping, né dall’altro estremo della sopportazioni fisica ho le visioni per la fatica. Comunque il villaggio dei ricchi sta qui a fianco del mio campeggio, che io chiamo, come antitesi al villaggio dei ricchi, il campeggio dei tedeschi, quelli che ostentano giustamente la loro superioritá morale recandosi nei bagni comuni a piedi nudi. Giá due testimoni oculari assicurano di aver avvistato al villaggio dei ricchi Amadeus con il figlio, una di quelle dichiarazioni d’intenti altrui alle quali si potrebbe rispondere con una bestemmia senza intaccare il proprio punteggio utile per il passaggio nel regno dei cieli. Non a caso il fatto che in un posto così soggiorni uno che si chiama Amadeus – nomen omen – la dice tutta. La divinitá pop che permea un ambiente di eletti – almeno dal punto di vista dell’opulenza sprecata in posti come i villaggi dei ricchi – ed eleva il rango di un esercizio commerciale tanto da richiamare persino demiurghi del calibro degli eroi di Gotham City. Non si spiegherebbe il fenomeno soprannaturale del vento che spira dalla parte delle griglie a ferro e fuoco con i maialini sacrificali infilzati per il lungo – in barba a voi vegetariani questo campeggio potrebbe chiamarsi il villaggio dei dannati o, meglio, degli infedeli – e anziché portare emanazioni gassose di carbonella giunge la voce del sommo sacerdote, il solito animatore dall’accento smaccatamente toscano che ogni volta che lo sento mi verrebbe da dirgli che se avesse studiato anziché guardare i programmi su Italia 1 con Fiorello non farebbe quel mestiere lì. La sua voce urla che manca poco, e non so a cosa manca poco perché ora sono le dieci del mattino e la musica, al villaggio dei ricchi, pompa come se non ci fosse un domani. Manca poco a cosa? Sulla spiaggia del villaggio dei ricchi sta per fare la sua comparsa la coppia celebre, cioè non Amadeus e suo figlio ma i due altrettanto insopportabili e presuntuosi paladini della giustizia di Gotham City, o per lo meno due idioti vestiti come loro la mattina di ferragosto, nel sud della Sardegna, con più di trentacinque gradi e un’umiditá da sud est asiatico. C’è anche una postazione da dj radiofonici sulla spiaggia del villaggio dei ricchi in uno dei mari più belli d’Italia, una roba che sarebbe altro che da commissariamento europeo, a ridosso della quale ci sono persino sdraio e ombrelloni. Mi chiedo quale livello di ignoranza possa indurre a pagare fior di quattrini per farsi bombardare di decibel in vacanza in un posto così, quelle sdraio e ombrelloni proprio a fianco delle casse da cui si dirige il divertimento, solo per dire di aver soggiornato nello stesso posto di Amadeus e suo figlio, di un animatore dall’accento toscano e di due comparse stipendiate da un noto network di viaggi e turismo che ballano vestite da Batman e Robin. Penso così al numero sette perché qualcosa mi rammenta che ci devono essere sette livelli di ignoranza al mondo e tra questi, non saprei in quale posizione della classifica, si posiziona anche un tipo di vacanza così. Il sette è una specie di numero magico, no?

a dir la verità, non siamo nemmeno la geografia

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Vorrei fare il punto con voi per mettere in chiaro che non è che a partire da oggi o domani, quando avremo il pronunciamento della Cassazione, succederà qualcosa di eclatante. Il Deus ex Machina di cui attendiamo l’intervento da venti anni a risolvere la nostra anomalia non sarà la magistratura come non lo sono state attricette, neodiciottenni e pornodeputate. Potrà quindi esserci una deposizione forzata ma il fatto che già ne scaturisca una raffigurazione mistica proprio come quella di nostro signore dalla croce, la deposizione di Berlusconi da se stesso assumerà un valore patetico e statuario proprio come quell’altro appeso invece a testa in giù al fondo di Corso Buenos Aires. Ed è tutto lì il problema.

Ieri c’era chi parlava degli italiani che si innamorano delle persone sbagliate e non c’è niente da capire: siamo un popolo così, che già l’amore per una sola persona come transfert dell’amore per se stessi è morboso, no? Negli anni venti abbiamo seguito fino al sacrificio estremo Mussolini come dagli anni novanta ci siamo immolati al disastro economico accettando un nuovo progetto altrettanto personale come copertura della nostra disaffezione alla cosa pubblica. Questo per dire che comunque, anche se gli italiani un giorno che potrà essere oggi o domani o chissà quando saranno un popolo acefalo, il berlusconi che c’è in noi continuerà a vivere con le nostre gambe.

Perché non è che siamo diventati così a causa sua, come probabilmente non eravamo tutti fascisti a causa di quell’altro. Solo che a un certo punto abbiamo visto qualcuno che ci somigliava e lo abbiamo premiato. Abbiamo lasciato che una nostra sintesi più o meno approssimativa facesse quel che voleva, l’importante è che non rompesse le scatole nel nostro processo di arricchimento. Certo, poi il feeling instaurato ha consentito la distribuzione capillare di un palinsesto valoriale da brivido che ha trovato un humus perfetto per l’inseminazione del peggio, che nel precedente ventennio è stato poi il parossismo della presunzione di essere una potenza militare e oggi solo l’esacerbazione dell’essere desiderati sessualmente e seduttivi anche con il sacchetto delle feci addosso, che il solo pensarci fa venire voglia di chiudere gli occhi ma provate a immaginare questo in senso proprio e lato su tutto. Quindi vita professionale e sociale, per esempio.

Voglio dire, entrambi i nostri due beneamati leader ci hanno dato il colpo di grazia, ma non è che eravamo messi così bene prima. Quindi il made in Italy, i nostri geni e gli artisti e la creatività che diciamo tutti invidiarci, ecco apriamo gli occhi una volta per tutte che non siamo per nulla speciali e continuare con il marketing senza sostanza non ci porterà a nulla. O meglio ci ha spinto nel baratro della catastrofe bellica, come nella drammatica coda del primo ventennio, e a quella sociale e morale oggi, un po’ meno cruenta ma non meno epocale. Saremo sempre italiani nel senso negativo del termine, né più né meno di prima, e continueremo a cercare un modo per dimostrarlo a noi stessi e ai nostri vicini di casa. Che poi questo nostro comportamento trovi una sua corrispondenza tale da esporci al dileggio internazionale in massa anziché singolarmente,  con una personalità farsesca che continueremo a votare nonostante tutto anziché nel nostro modo alla Totò di portare il nostro italianismo in viaggio all’estero, che importa. L’Europa rimarrà sempre un altro continente, rispetto a noi, per loro fortuna.

chiedo l’aiuto del pubblico

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Fanno tenerezza i cittadini, solo quelli educati però, che si sentono disorientati dalle iniziative organizzate dal Comune. Non sono più abituati agli eventi gratis e per di più privi della star televisiva di turno, il Gabibbo, il vincitore di Amici, il sosia di Celentano o, non saprei cosa è peggio, il raduno delle Ferrari, e chiedono alla responsabile quanto costi un giro sull’asino per il loro figlio. L’evento è molto carino, si chiama Asinovia. Ci sono cinque asini che si muovono lungo un percorso in un parco boschivo, uno dei quali è carico di due gerle piene zeppe di libri per bambini, che fanno a turno sulla groppa. A guidare gli asini c’è un attore che, ogni tanto, ferma la carovana in una radura, mette giù due teli rossi, fa sedere i bambini all’ombra delle querce e legge una storia. I bimbi si sbellicano dalle risate perché l’attore, con un forte accento romagnolo, è proprio simpatico.

Chi ha scoperto l’iniziativa nei giorni scorsi, quelli più attenti a quel poco che il Comune riesce ancora a organizzare con quel minimo di budget che gli resta, non ci ha pensato su due volte a iscriversi. Sta di fatto che i posti disponibili, ventiquattro bambini per ciascuno dei tre giri di un’ora, si sono esauriti praticamente subito. Ma sapete come succede. La comunicazione pubblica è quella che è, alla gente bombardata da informazioni sfuggono i manifesti istituzionali. Non abbiamo tempo di leggere, se leggiamo è facile non capire un linguaggio spesso distante da quello che occupa la pubblicità commerciale, in ogni caso siamo abituati ormai ad avere chi lo fa per noi, alla tv.

Quindi intorno al gazebo informativo al centro del parco in cui era stato organizzato il punto di raccolta e partenza dell’Asinovia, c’è un viavai di famigliole a spasso come ogni domenica, ignare ma incuriosite dall’iniziativa, alle prese con i loro pargoli che premono per saltare in sella agli animali. E come si fa a dire di no ai proprio figli? Si impara: mi dispiace, caro, mamma e papà pensano solo al loro lavoro, non leggono il giornalino del Comune e non badano alle affissioni a meno che non ci siano donne nude o cellulari in offerta.

Poi ci sono quelli che si stupiscono che l’iniziativa sia completamente gratuita, abituati ormai a metter mano al portafogli per qualsiasi cosa. Questo è il Pubblico, signori miei, sarebbe da dir loro. Se tutti noi pagassimo le tasse sarebbe tutto gratis, magari saremmo anche informati meglio perché anche il Comune avrebbe un sistema di comunicazione più efficace e anche più moderno, tramite i social media o una web tv, non so, giusto per fare un esempio.

E, dulcis in fundo, arriva quello che chiede l’eccezione. Si può? No, mi spiace, i posti sono finiti. Ma un bambino in più cosa vi costa, aggiunge lui. Un bambino in più, una richiesta espressa con la mimica tipica dell’aumma aumma di nostra produzione: l’indice destro in verticale con il pollice che lo sorregge, le labbra protese nella pronuncia della vocale U, una posa che ricorda Totò, la faccia nazionale dello “sgamo”, il mento in avanti, gli occhi furbetti da questua. Uno in più, che cosa vi costa? Tanto più che siete nostri dipendenti, sembra dire il Totò con la bambina per mano, che proprio non ne vuole sapere di rinunciare al suo giro in asino. Niente da fare, non c’è proprio spazio e non sarebbe giusto per tutti gli altri genitori a cui è stata data una risposta negativa. Il problema è che di fronte a impiegati pubblici ci sentiamo in diritto di insistere. L’indice resta ancora un po’ lì, ritto, una posa plastica che però non regge. Vieni tesoro, dice quindi alla figlia, proviamo a seguire gli asini, lo chiedo al signore che legge le storie e magari riusciamo a salire lo stesso.

uber alles

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Gli aneddotti sugli stranieri in vacanza versus italiani in vacanza sono un tormentone estivo vecchio quanto l’unione europea, la libera circolazione dei cittadini comunitari o, almeno, la moneta unica. Ogni nucleo familiare ha i suoi, e sono certo ci siano quelli meno esterofili, che si concentrano sui sandali con i calzini, sulla pasta usata come contorno o sulle carnagioni che passano dal bianco latte al rosso prosciutto crudo senza tonalità intermedie. Ci sono quelli che invece sono più esasperati dai propri simili, un motivo per tutti è aver permesso, tramite il diritto di voto concesso indifferentemente, governi come gli ultimi eletti dal 94 a oggi, e si sentono, anche solo un po’, inferiori nei confronti di nazioni a caso che hanno integrato interi Paesi poveri da cui erano stati separati dopo la Seconda Guerra Mondiale e di averli assorbiti nel giro di poco tempo.

Per esempio, all’imbarco dei traghetti per la Corsica. Tu sei lì con la tua ovomobile stipata di trolley, giochi da mare in plastica, snack farciti di conservanti e coloranti, ma fiero delle tue Geox. Al massimo in tre, i genitori già over quaranta con un figlio/a sotto i 10 – spesso abbondantemente -, ti posizioni in una colonna di auto e scendi e, come prima cosa, ti stiri la schiena perché già tre ore di viaggio su quel cassone iniziano a farsi sentire. Ed ecco che arrivano loro, sul Transporter o sul Caravelle di colori sgargianti, almeno in cinque, genitori trentacinquenni con almeno un figlio/a di 12 anni seduto a fianco del padre alla guida. E sì, magari vestono in canottiera e sandali da scogli, però quando aprono il portellone del furgone dietro vedi il resto della famiglia. Madre, figlio/a di mezzo sugli 8 anni e terzogenito, intorno ai 4. Il furgone è ordinatissimo e dietro sembra un salotto, i sedili sono uno di fronte l’altro, in mezzo un ripiano con un gioco da tavolo, canoe sopra e bici legate dietro.

Sulla nave sembra che pochi di loro abbiano preso anche la cabina, allestiscono mini-campi sul ponte o nei corridoi completi di tutto, a differenza di noi che una notte senza un materasso può pregiudicarci il resto della vacanza. E non credo lo facciano per problemi economici.

In campeggio sono i primi a svegliarsi. Mentre stai convincendo tua figlia ad alzarsi, loro tornano dal minimarket con il pane fresco e il latte. I nonni rientrano dal quotidiano giro in bicicletta, bici da corsa con tanto di caschetto, il tempo di fare una doccia e sono già seduti a imburrare fette di pane da ricoprire con miele e marmellate, mentre noi si è ancora lì con caffelatte e biscotti. Prima di andarsene sulla spiaggia, i loro figli hanno la consegna di lavare piatti e stoviglie, a qualsiasi età, e si mettono in fila verso i bagni. Attività che invece, da questa parte, svolgo soventemente io, mia figlia è troppo occupata a leggere e non si può disturbare.

Arriva poi l’immancabile famiglia Bradford. Il furgone è più grande, e quando scendono capisci il perché: genitori e sei o sette figli, tra i 2 e i 14 anni, e quando fai amicizia con loro, il cui inglese, pur non essendo la loro lingua, è costantemente mille volte meglio del tuo, chiacchieri con la madre e ti rendi conto di cosa significhi avere un welfare e rispettarlo pagando le tasse. Nel frattempo il campeggio sembra già una colonia per bambini, la maggior parte non italiani. La sera si riuniscono tutti insieme, sono la metà di mille, e organizzano in quattro e quattr’otto – pur parlando lingue diverse – giochi nella natura. Un sera li vedi con le torce in un ibrido tra una caccia al tesoro e nascondino, in mezzo alla macchia all’interno del campeggio. La sera dopo sono ancora tutti insieme sulla spiaggia: i più grandi, ancora preadolescenti, stanno costruendo una capanna indiana con le canne che hanno trovato vicino agli scogli. C’è anche un telo abbandonato che viene subito riciclato come tenda. Qualcuno chiama il papà che accende un fuoco, e i bambini si mettono lì intorno a raccontarsi a gesti e a versi chissà quale storia di fantasmi. Ci sono solo un paio di ragazzini che non stanno giocando con loro, si sono fermati nella sala giochi insieme al padre, c’è una partita di calcio in tv, il padre per seguire in santa pace l’incontro gli rifila continuamente monete per i videogame. E sono gli unici. Indovinate un po’.