faccia da culto

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Gli studiosi, tra qualche secolo, avranno un bel daffare a dare una spiegazione alla proliferazione degli auto-autoritratti fotografici diffusi sui socialcosi. Sempre che il genere umano non volti definitivamente pagina sulla necessità di studiare le cose del passato e non, e sempre che di questa controversa epoca duepuntozero rimanga poi qualcosa o magari non venga spazzata via da qualche piaga informatica. Ve lo immaginate? Una sorta di peste manzoniana che prende l’Internet e riduce in poltiglia ogni dispositivo ad essa collegato, contenuti compresi. Non per fare il catastrofista o il Philip Dick de noantri, ma con quello che succede non dovrebbe sorprenderci più nulla. Comunque non mi voglio soffermare sull’analisi sociologica del selfie perché oramai si è detto tutto, e il fenomeno in sé tutto sommato non mi sembrava così preoccupante fino a quando non ho riflettuto su due aspetti che, brevemente, ve lo giuro, vorrei sottoporvi.

Intanto ho dato un’occhiata al profilo Instagram di mia figlia e delle sue amichette. Saprete anche voi che Instagram è molto diffuso tra i ragazzini, a differenza di Facebook, questo perché la società dell’immagine e bla bla bla. Nato come ritrovato nerd per gli adulti malati di effetto polaroid, Instagram ora è la morte sua dei giovanissimi che lo riempiono delle loro facce, forti della consapevolezza che in un mondo di primi piani televisivi la celebrità delle immagini fisse sulla rete tutto sommato costituisca un valido surrogato. Ci sono quindi queste micro-audience del circondario che si beano reciprocamente dei volti dei loro amichetti e compagni di classe, il che acquista un valore ancor più deleterio se ci riferiamo a undici, dodici e tredicenni. La riflessione che vi pongo è: che cosa volete farci sapere con i vostri scatti autobiografici, con le smorfie prese da un catalogo standard come emoticon dalla library di una qualsiasi chat? La bocca così, le sopracciglia cosà, gli occhi ammiccanti, l’espressione corrucciata o trasognante.

Ma mentre i più giovani sono così spregiudicati, tra gli utenti più cresciutelli è in voga il selfie a metà. Probabilmente vittime di complessi di chissà quale specie, sono in molti coloro i quali non si buttano in questo gioco allo scoperto e, insicuri della propria avvenenza ma pur smaniosi di partecipare, pubblicano porzioni si sé nella speranza che qualcuno, raccogliendo le numerose tessere di un puzzle personale, risponda con un apprezzamento da corrispondere a cotanta paziente abnegazione. Solo un occhio, metà faccia, la faccia con qualcosa davanti, la bocca e il mento senza il naso, il naso e l’orecchio senza gli occhi. La strategia del ti vedo e non ti vedo è oramai popolarissima, ma rischia di creare un gap tra generazioni di neoevidenti e di seminascosti, tra chi non ha più pudori e coltiva un uso completamente disinibito della rete fottendosene della privacy e di chi ostenta ancora la propria diffidenza pur volendosi mostrare pubblicamente, mal celando dietro a una barriera di timidezza estremamente labile una altrettanto forte voglia di protagonismo.