L’ho vista distrattamente la prima volta e, chissà perché, ho pensato che fosse una foto vera. Il papa che bacia sulla bocca l’imam non mi è sembrato un atto così fuori dall’ordinario, anzi ho pensato a una citazione del celebre ritratto di Breznev che bacia sulla bocca Honecker e la cosa è finita lì. Poi ho letto di cosa si trattasse, i clamori suscitati e, per la seconda volta, non mi sono stupito più di tanto sia per l’identità dei provocatori e dei provocati che per la ragione sociale di entrambi. La storia delle “pubblicità shock” (così, in un eccesso di sopravvalutazione, vengono definite dai media) di Benetton, che prosegue da decenni e che ormai è destinata a pubblicizzare se stessa più che il marchio, questa volta è giunta a un punto di non ritorno, mirando nei punti più alti del mercato occidentale (il papa e Obama) e dando adito al consueto teatrino di sensibilità urtate. E ovviamente non è il caso di farne una questione di morale. Siamo di fronte a una sorta di gioco al rialzo, una bolla pubblicitaria che è tanto più grande quanto è mediocre la portata qualitativa del brand commercializzato e dei suoi prodotti, la comunicazione che urla se stessa in un sistema già sufficientemente saturo di postazioni iperreali nella maggior parte dei casi in carne e ossa e vestite di tuniche, come alcuni dei soggetti presi di mira. Non siete d’accordo? Cosa c’è di più allarmante della realtà stessa in questa fetta di nuovo secolo, quanto disarmante sembra l’indignazione di chi si sente bersaglio dell’arte prezzolata da produttori di mutande? Suvvia, nessuno si scandalizza più in questo batti e ribatti tra anticaglie mediatiche, i più bigotti e integralisti stessi sono oramai abituati a ben altro. Persino Oliviero Toscani.