La massa del nostro pianeta potrebbe essere tranquillamente riempita da tutta la discografia in mp3, in formato anche dignitoso, che so, 160 kbps, di tutti i gruppi deprimenti della storia della musica deprimente. E, badate bene, io potrei essere il presidente onorario del club della depressione sonora. Fin dai tempi dell’infanzia, quando la mia ipersensibilità mi faceva piangere sulla melodia a 45 giri di Gianni Morandi, mentre prometteva ai suoi figli di riempire la roulotte di animali di pelouche, piuttosto che far loro sopportare la solitudine di una casa vuota. Quello sì che era un papà forte. Anche il mio lo era, anche se mi costringeva a curvare la schiena sul pianoforte condannandomi a una scogliosi da cui non mi sarei mai più ripreso.
Dicevamo? Ah, sì, i gruppi deprimenti per depressi cronici. Li ho passati tutti, dai Joy Division a roba tipo questa qui. Immaginiamo ora una rappresentazione grafica della depressione sonora. Una piramide, il vertice della quale è occupato dal gruppo più cult di tutti i gruppi cult: i Radiohead. Ecco. Io ascolto tutto, in quella piramide, tranne il vertice. Io i Radiohead li ho amati, fino a Ok Computer. Da lì in poi, non me ne vogliate, mi hanno sempre fatto c****e. Non so spiegarvi il perché. Non li trovo nemmeno particolarmente difficili, e non lo faccio neppure perché sono snob e non voglio mescolarmi alla massa di depressi. N-o-n l-i-r-e-g-g-o. Punto e basta. E così, mentre ovunque si parla e si scrive del nuovo disco dei Radiohead, celebro l’avvenimento del decennio in corso con il nuovo disco di Caparezza. Tamarro e sboccato quanto intelligente e divertente. Tiè.