Io sono uno di quelli che si sentono in colpa anche quando si avviano verso l’uscita senza acquisti perché sono entrati solo a dare un’occhiata, tanto che a me verrebbe persino da dare spiegazioni se solo l’uomo che controlla che nessuno si allontani senza pagare parlasse la mia lingua. Nel suo completo elegante talmente scuro che non si distingue dalla pelle guarda il carrello vuoto e con lo stesso gesto con cui i prestigiatori comunicano al pubblico la fine e il successo del loro trucchetto autorizza il mio ritorno nel limbo dei non-consumatori, quelli che si muovono lungo i corridoi comuni ai negozi dei centri commerciali senza fare nulla di economicamente vantaggioso per la struttura che li ospita.
Non per questo mi sento a posto con la coscienza. Da una parte penso che non sia colpa mia se un megastore di elettronica, elettrodomestici, hi-fi e via dicendo non venda giradischi, che è la cosa di cui ho bisogno perché il mio Nordmende del 1976 ha tirato le cuoia, anzi, la cinghia ma in senso proprio. Dall’altra con il mio ingresso a vuoto mi sento come se avessi illuso un brand e le migliaia di dipendenti precari che vi operano in quello come in tutti gli altri templi del credito al consumo.
Tutto ciò mi riporta alla memoria Oddera, lo chiamo per cognome come a scuola perché non ne ricordo il nome, che era uno belloccio, piacione e alla moda che però una volta avevo sorpreso con un pullover blu con il girocollo a due cerchi bianco e rosso, lo stesso modello che io avevo posseduto almeno quattro anni prima di allora e prima che si manifestasse uno scarto estetico epocale come il passaggio dai 70 agli 80 ed è per questo che il fatto che lo indossa stona con tutto il resto. Io che ho la pessima abitudine di idealizzare il prossimo, mai avrei pensato che uno alla moda come lui sarebbe stato obbligato dai genitori a indossare un capo probabilmente appartenuto anni prima a un fratello maggiore o a un cugino, perché dubito l’abbia acquistato di sua sponte considerando lo stile in auge di cui era piuttosto “addicted”. E me lo ricordo bene perché il pullover in questione era simile alla divisa di una delle mie squadre di Subbuteo preferite, il Washington, di cui sono certo di aver avuto l’esclusiva in Italia, almeno tra la cerchia degli amici con cui trascorrevo interi pomeriggi giocandovi. Ma Oddera questo non poteva saperlo, e per farla breve mi ero dispiaciuto per avergli inconsapevolmente rovinato il piacere di vestire un capo che poteva sfoggiare con estrema originalità quando io sarei potuto correre a casa e tornare da lui con la mia versione di qualche taglia più piccola, facendogli fare una pessima figura e acquisendo popolarità con le conoscenze comuni, e non solo femminili. Naturalmente tutto questo non l’ha mai saputo, io non ho mai dimostrato l’anacronismo del suo look e Oddera ha continuato ad avere il successo che meritava a differenza di me che rosicavo consolandomi con cose sciocche come l’abbigliamento e i giochi da tavolo.
Invece, tornando all’oggi, all’addetto a quella specie di controllo mancati-acquisti, armato di una lingua che nessuno lì comprenderebbe, non posso essere di alcun rischio, lui il suo mestiere l’ha fatto e sono io ancora una volta in difetto. D’altronde se nessuno più posiziona giradischi sui propri scaffali non è una catastrofe, ne ho appena visti almeno un paio nuovi su siti di e-commerce nemmeno tanto specializzati in cose così. Lo comprerò in Internet, e se poi la vendita al dettaglio verrà spazzata via da quella online è un problema anche suo e dei suoi gesti da illusionista. Et voilà, esperimento riuscito: il carrello è vuoto, nessuno si rende conto che il vinile sta riprendendo mercato, ho tanta voglia di tornare a casa, mettermi il mio maglioncino blu come quello di Oddera e ascoltare qualcuno dei miei 33 giri preferiti. Il Subbuteo no, l’ho venduto a sedici anni perché a sedici anni mi sentivo grande, e ancora adesso me ne pento perché sono certo che mia figlia si divertirebbe un mondo.