faremo di te una viaggiatrice

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Poco prima che abbia inizio il concerto, nella piazza piuttosto gremita transita un gruppo di Hare Khrisna in versione moderna, perché oltre ai tamburelli e le percussioni hanno anche una base chill out probabilmente a sua insaputa. Nel senso che la base musicale dell’inno religioso di sottofondo ha un andamento che non sfigurerebbe in una videolezione di yoga ma nemmeno a un aperibuddha. D’altronde tutto quel filone lì che sta bene su tutto, e che io da occidentale razzista chiamo “indianate”, è tutto facilmente catalogabile nel reparto new age da almeno vent’anni, comprendendo anche certe emanazioni trip hop che oggi suonano oltremodo superate eppure, vi assicuro, c’è chi ancora affronta il traffico della tangenziale con i Transglobal Underground e i Loop Guru come se in mezzo, tra loro e la fine di un’epoca, non fosse successo nulla.

L’impressione che ho di questo mini-corteo che nel bel mezzo della piazza si ferma dev’essere registrata in qualche modo. Il pubblico, forse equivocando che si tratti del gruppo spalla di quello per il quale stanno lì con il naso all’insù sperando che l’evento abbia inizio, lascia loro un ampio margine di manovra tale che possa compiersi la loro figura rituale del girare intorno a un centro, che probabilmente ha tutto un significato che non colgo ma d’altronde il marketing religioso vive anche di standard per consentire una certa riconoscibilità di brand. Questo per dire che potrei anche trovarmi nel mezzo delle riprese di uno spot di qualcosa.

Qualche civile si lascia coinvolgere nei saltelli dei miliziani della spiritualità, qualcuno si lascia mettere tra le mani i piattini allo stesso modo con cui i turisti si arrendono ai venditori africani di elefantini portafortuna. L’insieme però dimostra poca famigliarità con i ritmi da strada, addirittura a un certo punto il tempo raddoppia e davvero rasenta il drum’n’bass, questo mi fa persino venir voglia di mettermi lì in mezzo e remixare il tutto.

In realtà cerco di allontanare un pensiero che riguarda i ragazzi che hanno lasciato famiglie, lavori, amicizie e opportunità per questo tipo di vita. Una tragedia, dal mio punto di vista, la cui parodia è rappresentata egregiamente nel film “Un sacco bello”, con il personaggio interpretato da Verdone quando sfida il padre Mario Brega e il suo “so’ comunista cosììììììì”.

Diciamo che se sei mediamente intelligente e attento, il rischio che un figlio oggi prenda e parta con gli arancioni o con qualsiasi altra setta è piuttosto remoto. Ma non è certo l’idea che mia figlia un bel giorno prenda armi e bagagli e vada via che mi spaventa, anzi. Da sempre cerchiamo di inculcarle la curiosità di togliersi dall’Italia soprattutto per trovare il posto giusto in cui realizzarsi, sia personalmente che professionalmente. Di questi tempi, poi, mi sembra sacrosanto, visto come vanno le cose.

C’è stato il periodo delle bandiere, da piccolissima, libri e giochi e poster per farle conoscere tutti i colori che rappresentano paesi e continenti. Le carte geografiche per imparare a orientarsi e appassionarsi alla materia. Poi la saga del Giro del mondo in 80 giorni, il libro, il film e soprattutto la versione anime. Qualche viaggio nel limite delle nostre possibilità. Fino a quanto è tornata il mese scorso da una settimana di campeggio con l’oratorio con la fascia di “Miss mi piace scoprire il mondo”, e non vi dico come ci ha riempito di orgoglio. Ma lo sapete, le cose con i figli cambiano ennemila volte dai zero ai vent’anni, chissà cosa ci riserva nostra figlia che diventa grande. Inutile fare piani. Ma un po’ di subdola ingerenza con finalità di persuasione occulta, comunque, non guasta mai.