Passo a fianco di un crocchio di giovani ragazzine cinesi tutte in ghingheri, oggi è giorno di festa e si divertono come noi. Una di loro parla al cellulare con un tono altissimo e le altre indicano particolari di quella strada a semicerchio puntando le braccia e il dito della mano come un fucile, mentre quella che conversa al telefono segue divertita il gioco delle direzioni fino a quando si ferma con il naso diretto sulla bancarella abusiva di ombrelli e altri oggetti dal ciclo di vita brevissimo, ecco perché non avrebbe senso pagarli più del prezzo che è indicato in due lingue sul cartellino. La famiglia mediorientale che si sfama della vendita di cianfrusaglie in quell’angolo di periferia segue distrattamente il gioco delle incomprensibili teenager dagli occhi a mandorla. La mamma, sullo sgabello e avvolta in teli scuri, appoggia la schiena al furgone, il marito mette un po’ d’ordine tra la mercanzia e i figli accendono e spengono una minitorcia in dotazione a un portachiavi.
Il portone della festa è poco più avanti, provo a citofonare ma non risponde nessuno, non si sente nemmeno nessun segnale acustico. Ne deduco che sia rotto, non oso fare la prova con altri interni del palazzo, leggo cognomi di altre nazionalità e ho paura di non riuscire a spiegare perché ho bisogno di entrare lì. Poi scende un tizio in tuta da domenica, la tipica marca a tre righe più una, la sigaretta accesa e il sacchetto dell’immondizia e riesco a passare il primo livello. Il secondo è un ulteriore portone interno, anche lì il citofono è rotto, ma ancora una volta vengo salvato da una famigliola che esce a fare quattro passi con i figli. Mi chiedo dove passino il tempo libero, quali parchi ci siano in quella zona, se si accontentano delle aiuole come quel gruppo di indiani che ho notato qualche isolato prima mentre cercavo parcheggio, due famiglie che hanno improvvisato un picnic con tanto di plaid in pochi metri quadri di verde urbano, tra il marciapiede e la strada, la classica scena che mi fa venire in mente Marcovaldo e i funghi in città.
L’appartamento della festicciola ha l’ingresso proprio a fianco di quel portone interno, si tratta di un ex casa dei portinai, poi ridestinata a uso residenziale a tutti gli effetti. Suono e mi apre il padre della compagna di classe che ha invitato mia figlia, che dal momento in cui ho parcheggiato fino lì mi ha tenuto stretta la mano guardandosi intorno, fiera nel suo cappello da strega e nel suo mantello nero. Dentro casa gli ambienti sono in miniatura, c’è qualche amico di famiglia che ha accompagnato i bambini alla festa e si è fermato con i genitori per un caffé, nel tinello adiacente al cucinotto ci si sta a malapena in tre o quattro, le sedie sono già tutte occupate e così decido che è meglio andare via subito. Scambio qualche battuta con la mamma, è al secondo ciclo di chemioterapia e indossa la parrucca castano chiaro, non ricordo i suoi capelli originali ma forse sono biondi. Il marito mi toglie dall’imbarazzo per mostrarmi la cameretta dove i bambini sono già nel pieno della festa, lo seguo in un saliscendi di ambienti mossi e stretti, passo in una sala in cui noto appesi alle pareti puzzle di paesaggi completati e incorniciati a fianco di una stampa con un tramonto sul mare, sopra all’immancabile LCD ad alta definizione a non so quanti pollici.
Mi viene incontro una ragazzina mai vista con evidenti problemi di sovrappeso che tiene per mano la sorellina vestita con un costume da principessa, subito non colgo il link con il tema della festa poi però lo colgo ed è un tema che si potrebbe definire povertà, ma non voglio farlo perché c’è una dignità in tutto questo, e non è giusto che la povertà sia stata invitata oggi qui, a dissetarsi di bibite del Billa e pane confezionato spalmato di Nutella. Posso offrirti una tazza di caffé? No guarda mi spiace ma ho lasciato l’auto con le quattro frecce davanti la fermata del bus, ora non credo che oggi passino gli ausiliari a fare le multe ma meglio non sfidare la sorte. Chiaro che è una bugia. E sulla parola sorte mi sorprende un secondo link con un’altra cosa a cui non ho voglia di pensare, ci sono i bambini mascherati, tra cui mia figlia. Esco fuori, le ragazzine cinesi non ci sono più, la famiglia di venditori abusivi ride con una coppia di anziani. Penso che anche se sono le tre e mezza tra poco sarà buio, perché è cambiata l’ora. Ho voglia di una sigaretta ma non fumo da non ricordo quanto.
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