Il novecento era bello perché la gente se la cavava senza Internet e perché anche se eri figlio di braccianti ma ti spaccavi la schiena sui libri, magari aiutato dal welfare che non si chiamava così ma, con un nome più novecentesco, era assai più presente (perché comunque giravano più soldi), correvi davvero il rischio da grande di laurearti in medicina e di curare poi i tuoi genitori anziani consumati dal lavoro nei campi, in fabbrica, sulle banchine del porto, ripagandoli così degli sforzi che avevano fatto per te e rendendoli orgogliosi dello status sociale raggiunto.
I primi decenni del nuovo secolo, quello che stiamo vivendo da un po’, da questo punto di vista lasciano piuttosto a desiderare. Il cosiddetto “pensiero unico” si è risolto in una specie di monoblocco che si estende in spessore partendo, al piano sotto, da quelli che non tirano alla fine del mese, fino ad arrivare al confine con il piano sopra abitato dai miliardari che hanno i figli che tirano ma di ben altra roba e che si rovinano di figa, di auto cafonissime e di foto con i calciatori nei locali di lusso. In poche parole, tolti i poveracci e i ricchi evasori con i fuoristrada, qui dove un tempo c’erano almeno cinquanta sfumature di persone che se la cavavano dignitosamente, chi più chi meno, oggi c’è un’unica classe media con un potere d’acquisto che quelli che ci osservano dal secolo scorso si piegano in due dalle risate e con l’insolubile problema che tolti i sistemi sui quali non ci si può certo fare affidamento in cui la fortuna fa da protagonista da qui non scappa nessuno. Qui è peggio di Alcatraz.
L’unica speranza è che comunque i nostri figli siano migliori di noi ma in modo differente. Non potranno essere più benestanti perché i soldi saranno finiti e, ancora prima, i mestieri onesti che li generano. Non potranno essere più eruditi perché per loro conterà sapere dove trovare le informazioni e non impararle. Potranno però fare a meno dei pregiudizi, delle categorie, della paura e dei confini. Superare le lingue, la storia, la geografia e l’economia. Mescolare la musica finalmente con l’architettura, le parole con i colori, la danza con la filosofia, il gioco con l’educazione. Magari anche a studiare e lavorare solo quando serve per stare meglio con se stessi o con gli altri, mica per mangiare e mettersi in forze per lavorare o studiare di nuovo, il giorno dopo. Non so se si stia andando in questa direzione. Provate però a parlarne con chi vi circonda, sono certo che converrete che a essere migliori di noi, che abitiamo questi tempi, ci vuole davvero poco. O, se volete, parlo solo per me.