ci ha reso liberi

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Il miglior contributo a questa giornata, per chi non ne fosse ancora provvisto, è trovare un modo a propria scelta per avere sempre tra le cose da fare il rivolgere un pensiero a quel sistema storico, non saprei come altro definirlo, in cui ci sta tutto quello che è successo nella prima metà del secolo scorso. Un post it, un nodo al fazzoletto, un qualcosa che appena lo vedi pensi per una manciata di secondi che non è così distante, ci separa solo qualche generazione da loro. C’è un passaggio del report di Levi che è alla base della nostra opinione sull’olocausto che costituisce il mio reminder quotidiano, e badate che non si tratta di un assillo, né di una fissazione, e non bollatemi come un maniaco depresso solo perché ci sono pensieri che più o meno ogni giorno mi balenano nella mente, è che ho trascorso un’infanzia in cui una parte di quel sistema storico era ancora un tema caldissimo, vivevamo la quotidianità ad appena trent’anni di distanza, e questa componente individuale di un processo di redenzione collettiva, paradossalmente redenzione verso le vittime ma anche nostro malgrado verso i carnefici, ha creato una sorta di palinsesto di argomenti di riflessione. E quando mi capita di preparare qualcosa da mettere sotto i denti per mia figlia ritrovo mentalmente le righe in cui l’autore di “Se questo è un uomo” racconta le madri che preparano la cena per i figli nei centri di raccolta consapevoli che la mattina dopo probabilmente andranno a morire, e si chiede che senso ha allestire con cura quell’ultimo pasto, quale ne sia l’utilità. E la voce narrante pone la domanda: voi non fareste lo stesso? Neghereste cibo ai figli affamati anche se fosse l’ultima cosa da fare? Lo strazio emotivo che ne deriva si smaltisce entro le mura della tiepida casa e tra i visi amici, nella tranquillità della libertà e dell’assenza di un rischio così disumano, nella certezza che questo è stato, e non dovrebbe accadere più. Fino a prova contraria.

difficoltà di concentramento

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Si avvicina il Giorno della Memoria, che come ogni anno cercherò di celebrare rileggendo “Se questo è un uomo” e “La tregua” (almeno spero). La commemorazione è rispettata ovviamente anche dalle scuole, la terza di mia figlia seguirà la proiezione de “La vita è bella”, un film di cui conosce già il contenuto, sua cugina più grande le ha fatto vedere qualche scena in rete e le ha anticipato l’elemento narrativo dell’equivoco intorno al quale si sviluppa la trama. Oltre al film di Benigni, mia figlia arriva al suo primo appuntamento “serio” con le ricorrenze e il relativo approccio della scuola con un’altra opera cinematografica, di cui la prima volta è stata spettatrice assolutamente casuale. Il film in questione è “Il grande dittatore”, a cui si appassionata immediatamente tanto da, in pochi giorni, ripeterne la visione più volte. Sapete come sono i bambini e quanto amino la reiterazione degli stimoli che li solleticano di più.

Il problema è che la microvacanza che abbiamo già pianifcato in primavera a Berlino ora ha un ostacolo. Ho paura che ci siano ancora i figli degli amici di Hitler, mi dice dall’alto della sua ingenuità. Cara, le faccio notare, purtroppo i figli e i nipoti e i pronipoti degli amici di Hitler, ce ne sono stati e ce ne sono tuttora tanti anche qui in Italia, troppi da giustificare se si ripercorre tutto quello che è successo. Ma come non corriamo alcun pericolo, qui, questo è un vantaggio della democrazia, a maggior ragione i Tedeschi oggi non sono più come quelli descritti sul grande schermo da Charlie Chaplin. Nessuno giocherebbe con il mondo in quel modo facendolo scoppiare. Ecco, forse questo non avrei dovuto dirlo, già mentre chiudevo la frase mi sono reso conto di quanto fossi poco convincente, lei non ha detto nulla ma ha percepito che si trattava di un’accelerazione per chiudere il discorso, convincerla sull’infondatezza dei suoi timori e mettere in salvo i biglietti del volo già acquistati. E allora le ho promesso che, una volta in Germania, cercheremo insieme un barbiere che si prenda cura dei clienti così.