state al vostro posto, eviterete così di rimanere delusi

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Ci guardiamo per assicurarci chi sia davvero il prossimo. Anche se tutti abbiamo ben presente l’ordine di ingresso un eccesso di cortesia non guasta ma ci sarebbe da ridere se qualcuno, a quel punto, rivendicasse il proprio diritto di passare prima degli altri senza meritarselo. Sotto a chi tocca però è un modo di dire sopravvalutato perché, come dice una certa corrente di pensiero, mica siamo noi a scegliere ma siamo noi a essere scelti dalle cose, dalle persone, dagli eventi belli e quelli brutti. La metafora giusta della vita è quella dello speed dating. Hai una manciata di secondi per convincere chi hai davanti che, anche se non sei perfetto, sei comunque perfetto per lui o lei (era pure una canzone di Grace Jones, pensate un po’) ed è inutile che ti figuri che quella con i capelli rossi che fa l’architetto è la tipa giusta per te. Lei ha già espresso la sua preferenza per un altro e tu ti devi accontentare di quella così-così perché non vuoi ammettere che anche tu, agli occhi degli altri, sei uno così-così. E non è detto che non abbia fatto la differenza la categoria in cui ti collochi rispetto a un determinato trend. La sapete, vero, la ripartizione dei meriti in relazione a una qualsiasi moda? Ci sono quelli che la lanciano e che però sono in un mondo tutto loro, inarrivabile, un olimpo di personalità alfa al quale si accede o per chiamata diretta o per clientelismo o perché sei un figo vero o perché hai procurato piacere a chi ha le chiavi o perché ti hanno regalato i biglietti o perché c’era già tuo padre e, prima, il padre di tuo padre. Poi ci sono i precursori che sono i cani da tartufo di quello che sarà di moda. Aderiscono a uno di questi fenomeni socio-culturali per primi e appena ne percepiscono la diffusione popolare hanno già abbandonato la nave. Ci sono poi i modaioli che sono quelli che partecipano quando il fenomeno è di massa. Ci sono quindi gli sfigati che se ne accorgono solo alla fine e che, attenzione, è diverso da chi invece lo riporta in auge in tempi non sospetti e non mi riferisco necessariamente all’abbigliamento. Questa teoria vale per tutto e ve lo dimostrerò con un banale esempio sulla musica che è comunque il mio cavallo di battaglia. Alberto, che è l’ingegnere chitarrista che applica appunto il suo essere ingegnere anche al suo essere chitarrista, quando ormai il grunge non se lo filava più nessuno voleva mettere su una cover band di pezzi grunge. Per iniziare aveva chiesto a quelli del suo gruppo di prepararsi “Black hole sun” dei Soundgarden ma già alla prima prova avevano capito tutti che la cosa non poteva funzionare. Allora Alberto, come se fosse una cosa normale, aveva deciso che si sarebbe suonato acid jazz che, in quanto a obsolescenza, non era da meno del sound di Seattle. Ecco, se Alberto ci riprovasse ora verrebbe percepito anziché come uno che arriva tardi come un appassionato di modernariato o di cose retro, non so se mi sono spiegato. Da notare che quello che Alberto aveva contattato per mettersi dietro alla batteria era quel tizio che quando era uscita “Blue monday” dei New Order era rimasto interdetto dall’uso spregiudicato della cassa della batteria elettronica all’inizio. Ma come?, diceva, i sedicesimi con la cassa non si possono mica suonare a meno di non usare il doppio pedale e i New Order non fanno certo metal. E tu vagli a spiegare che la drum machine non è che per forza deve essere programmata seguendo un’esecuzione umana. Se no, che gusto ci sarebbe a utilizzare strumenti musicali elettronici?

invenzioni a due voci

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Dopo venti minuti abbondanti di conversazione in tono soverchiante circa le strategie più efficaci per sbaragliare gli avversari in un celebre gioco di ruolo fantasy, i due bimbi imprigionati in un corpo da giovani adulti con tanto di barba e borse porta-computer raccolgono le loro cose e si avviano verso l’uscita più vicina per scendere dal treno, mentre rallenta nei pressi di una stazione dell’hinterland. L’uomo di mezza età che incrocia le sue lunghe gambe alle mie tra gli stretti sedili della seconda classe, solleva naso e baffi dal giornale in cui è immerso e mi lancia il suo commento, un “ai miei tempi si parlava di figa, non capisco che cosa abbiano per la testa i ragazzi di oggi” che, pur in un eccesso di cameratismo, suona sufficientemente eloquente. Già, penso quando la porta si richiude attutendo il seguito di quel dialogo nel quale i due sembrano così infervorati e di cui non saprò mai gli esiti, ma nemmeno quali saranno le loro prestazioni ai futuri tornei, giusto per trovare un trait d’union tra le due scuole di pensiero, la figa e i giochi di ruolo. E così li osservo allontanarsi, e quando di loro non resta più nulla, inghiottiti dal sottopassaggio, mi rendo conto che comunque per dissertare di entrambi gli argomenti occorre molta immaginazione.