produzione artigianale

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Se posso darti un consiglio, i miei cinque centesimi anche perché più di così non ti posso dare visto il momento, ricordati che all’inizio è un po’ come riempire di gelato una coppetta, trasferendo cucchiaiate da un contenitore grande pieno di gusti che variano a seconda di come sei tu. Ecco io per esempio adoro i gusti classici, quelli che vedevo nelle cremerie di campagna con mia mamma quando mi portava a mangiare un gelato, non più di una volta alla settimana, e i gusti preferiti erano la nocciola, il pistacchio, la crema gialla, il cioccolato non tanto, il torroncino e il gianduia. Perché sono un bacchettone, alla fine della fiera, e so che se provo lo yogurt con un gusto di frutta non sono soddisfatto, e ora che un cono costa due euro e cinquanta non c’è molto da rischiare. Dimenticavo, se non fa troppo caldo chiedo la panna montata con un velo di cannella.

Ma nelle confezioni famigliari, quella delle cucchiaiate di cui sopra, anche se solitamente il gelato confezionato non è granché, è sempre troppo dolce, ma facciamo finta che si tratti di gelato da asporto preso nella cremeria, la panna non c’è, quindi indipendentemente dalla stagione si riempiono queste tazze dei nostri gusti preferiti che pensiamo possano essere gli stessi per loro, e all’inizio loro infatti vedrai si nutriranno di quello che ti nutri tu. Poi, dopo un po’, tu sei sempre lì che ti senti in dovere di trasferire gelato e questo è importante, ricordati, non smettere mai, perché chi usa i cucchiaini da caffè poi corre il rischio di far sciogliere tutto. Usa quei dosatori a palline, piuttosto, quelli da bar, ma per me sono troppo leziosi e perfettini, a me piacciono le palettate informi con i cucchiaioni da minestra.

Dicevo, sei lì a riempire e passano quelli che si rivolgono a loro e gli dicono ma perché non hai messo l’uvetta, o le scaglie di cocco, o i biscotti industriali, e tu hai fatto una fatica boia per mantenere uno standard qualitativo elevato con prodotti naturali – certo, il massimo è se il gelato lo prepari tu, ma non sempre è possibile essere così rigorosi – ed ecco che si viene a conoscenza dei gusti di moda, il puffo, il kinder delice, il mars, roba iperglicemica e stucchevole. Ma se sei stata abbastanza brava, vedrai che a quel punto la tazza è praticamente colma, non ci sta più nulla, e tutto il contenuto in eccesso inizia a scivolare con tua grande gioia lungo il vetro.

E a quel punto il tuo compito può considerarsi finito, la porzione regolamentare è pronta e puoi gustare insieme a loro quella prelibatezza, chiedere impressioni sul sapore, godersi il ristoro della crema che passa dal palato alla gola e giù giù lungo l’esofago. Se sei fortunata completerai insieme a loro la degustazione, all’ombra e con il giusto refrigerio. Spesso si alzano prima, ti lasciano da pagare ma non è questo il punto, vanno fuori e chissà a fare che, ma non ti devi preoccupare. Se hai lavorato bene saranno comunque sazi di dolci, sapranno riconoscere quello che a loro piace di più, e torneranno un giorno con i loro, di figli, nella stessa cremeria, o sapranno distinguere comunque il brand tra le numerose catene di franchising.

con un mese di anticipo

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Ora, a essere sinceri, a parte questo momento di black out professionale in cui non si sa ancora che fine farò lavorativamente parlando, a parte questa sorta di engagement – come si dice dalle mie parti – che ho assunto verso Monti che mi provoca affezione e disaffezione a giornate alterne, a parte la minima – nel senso della pressione – un po’ alta e che spero rientri nei ranghi, bastano due giornate di sole e un film come “Quasi amici” per farmi sollevare le spalle e ammettere una mostruosa felicità. La cosa mi fa riflettere sull’annoso dibattito dei ruoli tipico di un’età come la mia, ovvero se sia più facile essere genitori o figli. Sarà il fatto di avere un partner così efficiente – come si dice ancora dalle mie parti – ma ad oggi il bilancio è scontato, e ho pensato di metterlo nero su bianco per quando inizieranno i primi confronti tra l’adolescenza e il mondo degli adulti, e mia moglie ed io tireremo le dovute somme. E chissà, forse penserò a quanto ero ingenuo a pensare che tutto fosse così semplice. Ma c’è ancora tempo, e poi oggi è domenica e pensare in avanti non vale.

nove nove nove nove nove…

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Le maestre dicono che nel primo quadrimestre non danno i dieci anche a chi come te li meriterebbe visto che pensano tu sia molto brava e, come si diceva una volta, diligente. Così usciamo dalla consegna delle pagelle e dal colloquio individuale davvero fieri e contenti ma non è tanto per i voti, è proprio sentir parlare così bene di te e in questi termini. Al di là del profitto sono il comportamento, la cura e il modo in cui ti rapporti con gli altri che ti viene riconosciuto, ma il merito è tutto tuo. Sappi che è davvero un piacere essere tua madre e tuo padre. Grazie.

l’astronauta

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Mia figlia e la sua compagna di classe/amichetta del cuore non riescono a parlare e camminare allo stesso tempo, finisce che loro sono davanti e le sento chiacchierare mentre imbocchiamo il vialetto pedonale che porta verso l’ingresso della scuola e se rallentano perché entrano nel vivo di una conversazione mi spiace dover ricordare loro che la prima campanella sta per suonare, perché corro il rischio di distrarle dall’argomento che stanno dibattendo. Stamattina si discorre di grandi progetti. “Mio padre dice che le donne non dovrebbero fare lavori come guidare i camion della spazzatura, proprio non ce le vede”, dice l’amica. “Perché? Non ci sono lavori da maschi o da femmina, ognuno può fare il lavoro che vuole”. Poi mia figlia si gira verso di me, e mi svela il segreto. “Lei vorrebbe fare la stilista di moda”, riferendosi all’amica.
Mica male, penso ad alta voce, e le chiedo se sia vero. “Sì, mi piace disegnare e cucire, una brava stilista deve sapere anche disegnare molto bene. La Matilda invece vuole fare la pasticciera”. Mia figlia le fa notare che il sogno della comune compagna di classe non è semplice da attuare, perché magari prepari i bon-bon, così li chiama, e poi ti cadono tutti mentre li sforni e devi rifarli da capo. Non capisco da chi abbia preso questo velato pessimismo cosmico. Quindi ci mette al corrente dei suoi piani. “Io ho tre possibilità: l’attrice, la maestra o la dentista. Così potresti venire da me a farti curare, e io con il trapano TRRRRRRRRR un dentino! TRRRRRRRRR un altro dentino! TRRRRRRRRR ancora un altro dentino!”. Le lascio intente in questa drammatizzazione di non so quale cartone animato, e mentre mi allontano resta il tempo per togliere un dubbio. “Ma tu hai scelto il lavoro che fai o volevi farlo davvero?” mi chiede la sua compagna di classe, e mi scappa da ridere perché formulata così la domanda lascia una finta alternativa di risposta. Ma forse la bambina ha ragione, non ci sarebbe stata via d’uscita. Non a caso ora, in cui la situazione è quella che è, sempre più precipitevole e apparentemente senza futuro, tento una proiezione ma non saprei proprio da dove ricominciare. Anche solo per raccogliere aneddoti, un minimo di prospettiva ci vuole, no?

messo all’angolo

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Qui dove c’è una connessione wireless sprotetta è la finestra della stessa camera in cui mio padre è sdraiato nel letto, perso nel suo mondo in cui non esce di casa da mesi, ha difficoltà a camminare, ogni tanto non ricorda le cose, ammette di sentirsi bene solo nel dormiveglia. Il classico mix di senilità e depressione con un po’ di acciacchi dovuti all’età. Mi osserva scrivere qualche considerazione sul fatto che ci vediamo così di rado, la vita e la distanza e quel troppo poco che abbiamo allestito insieme per stare bene insieme da adulti purtroppo non hanno fatto granché al nostro rapporto, la colpa è senz’altro mia e spero che non esista un contrappasso per cui debba subire anche io questo stillicidio dei sentimenti quando sarò vecchio e mia figlia verrà a trovarmi dalla città degli Stati Uniti in cui si sarà trasferita per lavoro. Mi osserva scrivere e non sa che sto scrivendo, non può sapere il perché uno metta tutto se stesso in questa modalità impersonale tanto che qui ci potrebbe essere chiunque, io o il ragazzo che sta smontando la ruota dalla bici che tiene sul balcone nella casa di fronte, magari la connessione wireless è la sua e allora ti ringrazio. Grazie, posso fermare questo momento in cui mi sento una merda e non c’è speranza di recuperare. Poi mio padre ha un barlume di lucidità e mi chiede cosa sto facendo, gli dico che gli sto scrivendo una lettera, ma per fortuna non capisce, non c’è né la carta né la busta.

lavorare di squadra

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Si chiude per l’ultima volta la porta di casa dietro all’unica invitata che è rimasta più di mezz’ora oltre l’ora in cui avevamo chiesto ai genitori di passare a ritirare le figlie, e, guarda caso, questa piccola manchevolezza che è un ritardo di trenta minuti che non è un problema, ci mancherebbe, è riservata alla bimba che tra tutte quelle presenti alla festa ha dimostrato le principali anomalie nel rapporto con i pari, con sé stessa, con gli adulti. Quasi se il non farla sentire al sicuro tra orari, certezze su cui contare e riguardi nei suoi confronti la spingesse a manifestare un dissenso sentimentale covato dentro di sé nelle dinamiche con le amiche.

Ma a quel punto il turno di farsi carico dei disagi altrui è finito, mia moglie ed io archiviamo questa piccola festicciola di compleanno per nostra figlia alla quale hanno partecipato tutte le compagne di classe femmine, poche ore scivolate via tutto sommato agevolmente tra l’accoglienza nel tardo pomeriggio, la pizza a cena, l’apertura dei regali e la torta finale. A otto/nove anni sarebbe difficile gestirle per più tempo, ma anche così, con pochissimi momenti destrutturati, c’è stato ampio margine affinché ognuna desse il peggio di sé. A parte il non sapersi esprimere se non gridando, a parte il mettersi sotto le coperte dei letti altrui, a parte dire le parolacce, a parte il non sapersi adattare minimanente ad alcune regole base della vita sociale, a parte non aver avvertito gli organizzatori della serata sul fatto che la pizza non è gradita quando sul biglietto di invito c’era scritto che la cena sarebbe consistita in una pizza, a parte l’inventarsi allergie assurde tipo il prurito sulle braccia ogni qual volta si aziona un flash, a parte il non aver ricevuto mai una sgridata da un famigliare tanto che la prima volta che la ricevi dal padrone della casa in cui sei ospite ti rivolgi a lui chiamandolo maestra il che rende evidente chi sia l’unica persona vicina a te che cerca di rimetterti nei ranghi.

E vi giuro che non amo incensarmi, almeno non credo e sbaglio mi corigerete. Mia moglie ed io passiamo ore a fare autocritica e dibattiti su cosa è meglio fare per nostra figlia, su cosa è meglio evitare, siamo in due ma formiamo persino correnti interne a seconda dell’orientamento di pensiero come nella migliore tradizione delle persone di sinistra. Ma alla fine del party, quando l’ultima invitata è stata finalmente riportata a casa, vi confesso di aver stretto la mano di mia moglie, sì insomma le ho fatto i complimenti. Lei mi ha guardato incredula, così le ho detto che ha svolto un gran lavoro per ora, che siamo un team formidabile, che quello che non si può certo dire di nostra figlia è che le manchi l’educazione e un ambiente presente in cui crescere in serenità.

fair play

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Caro Iacopo,
era già da un po’ che ti volevo scrivere ma non mi erano ancora stati chiari, fino ad oggi, i sentimenti che stai provando, anche se non è difficile immaginarsi come ci si sente nel tuo caso. Sei sempre così esuberante, soprattutto con noi adulti, e pensavo che tutto sommato te la stessi cavando bene, i bambini come te reagiscono in modo imprevedibile alle grandi tragedie dei grandi come quella che ha sommerso i tuoi dieci anni che normalmente dovrebbero essere fatti di compiti e tabelline, di allenamenti con la squadra di calcio dell’oratorio, di amici e di uomini ragno o supereroi equipollenti. E ora anche di due genitori che si sono lasciati. Il tuo papà si è messo con la mamma di un tuo compagno di scuola, che gioca a pallone con te e che è anche e soprattutto tuo vicino di casa, complicando al massimo una banale separazione, per quanto possa essere banale una cellula famigliare soggetta a un processo di mitosi che in teoria dovrebbe dare vita a due nuove cellule famigliari ma chissà, la vita è strana e tutti noi ne siamo consapevoli e non vogliamo dare giudizi morali.

Ma oggi ho deciso di scriverti perché ieri ti ho incontrato sulle scale, in quel condominio vivo anche io, avevi una scatola di dolcetti in mano, e prima ancora che ti salutassi mi hai detto che quello sarebbe stato il tuo ultimo giorno di scuola lì, che a metà anno della quarta tua mamma ha deciso di spostarti in un altro istituto perché il bambino che è in classe con te, figlio della vicina di casa che ora è la nuova compagna di tuo papà, ti vessa con la complicità di un paio di amici di entrambi.

Suppongo che per tua mamma non sia nemmeno semplice trovarsi di fronte al suo ex marito, che nel frattempo ha avuto la decenza di trasferirsi in un altro appartamento, e ai membri della sua nuova famiglia in ogni tipo di occasione imposta dall’anno scolastico, riunioni, feste, colloqui con gli insegnanti, visto che già corre il rischio di imbattercisi ogni volta che va a gettare la spazzatura. Ma tu mi sembri sereno, forse il peso di quelle angherie unite a tutto il resto erano troppo per un giovanotto della tua età, e stare in una classe con facce diverse può essere un sollievo, almeno quello. Ora mi aspetto che cambierai anche squadra di calcio, magari ti capiterà di affrontare in un derby il tuo coetaneo che più di tutto ti ha causato disagio rivendicando a sé il tuo papà come nuovo membro della sua famiglia a fianco di sua madre. Meglio così che essere costretto, con la stessa maglietta, a servirgli il passaggio decisivo per fare gol.

bambini nel tempo

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I bambini crescono all’improvviso, se li avete li potete osservare, se non li avete potete ricordarvi di come è stato per voi. Una bella mattina si svegliano e hanno qualcosa in più della sera precedente, li vedi che riempiono la tazza di latte e cereali e hanno i modi e una luce negli occhi differente dalla sera prima. Magari covavano quella cosa da settimane ma non era matura abbastanza da rompere il guscio e distribuirsi a catena nel loro corpo. Il modo in cui finisce una fase e ne incomincia una successiva ha dell’incredibile. Colpisce anche il contrasto tra queste novità inaspettate e la metamorfosi fisica, i cambiamenti nel corpo, perché avendoli costantemente davanti agli occhi la crescita di tot millimetri ogni giorno risulta sempre nascosta dietro l’evidenza del dato anagrafico corrispondente.

Invece, magari la sera prima non si riusciva a usare una metafora per fare capire un codice comportamentale da utilizzare tra i coetanei ed ecco che, archiviata la colazione, ti fanno capire che hanno ben chiaro quello che volevi dire. O anche semplici modi di condurre la conversazione con gli adulti, un sorrisetto sarcastico, una battuta, il modo con cui ti chiedono le cose. Si tratta di scatti latenti che ad un certo punto zac, diventano effettivi, ci si sente straripare qualcosa dal proprio centro per assumere la forma della persona che si deve diventare, e sono convinto che ognuno di noi li ha ben presenti dentro di sé, piantati nel proprio percorso esistenziale, tutti quei momenti almeno a partire dal primo anno in cui si hanno percezioni nitide. Non è difficile saper elencare ogni milestone che si è susseguita perché si tratta di punti di arrivo e non di partenza, il compimento di tappe e l’inizio di nuovi tragitti in cui ci si guarda intorno, ci si osserva allo specchio e ci si sente perfetti. Magari con qualche dettaglio in risalto sugli altri: una giacca con le toppe, un flipper che va in tilt, in qualche caso la coincidenza proprio con una torta di compleanno e una candelina accesa in più del previsto, o anche un interruttore dentro che qualcuno ha acceso in qualche modo. Perfettamente adeguati al momento, all’ambiente e al prossimo, consapevoli di aver portato a termine un lavoro che è la missione per cui siamo venuti al mondo e che si protrae almeno per i primi sedici anni, quello che si dice diventare grandi.

così impari

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Mamma e figlia restano ferme mentre tutta la massa di bambini si riversa oltre la soglia della scuola da una parte e la massa degli accompagnatori si avvia verso il cancello di accesso, dall’altra. Restano immobili come trattenute mentre intorno la risacca dipana le onde umane lasciando il bottino della pesca alla mercé della rete, una delle tante metafore del malessere. Si dirada anche il vociare della cittadinanza attiva e passiva dei buoni propositi della mattina, lasciando libera all’udito la discussione tra le due ritardatarie, una che non vuole andare in classe e l’altra che giocoforza non può andare al lavoro.

Ed ecco a nudo tutto il dramma che si consuma, perché la madre si cala immediatamente nel ruolo della severità da disperazione e urla, la bimba quello del pianto in silenzio che è la cosa più straziante dei piccoli. Bocca serrata e lacrimoni che scendono sotto gli occhiali da vista sino al mento. La mamma non si lascia commuovere e le vomita addosso tutte le sue sacrosante ragioni. Adesso vai dentro perché è il tuo dovere e io non posso stare qui a litigare. Nel frattempo è uscita anche una bidella a mediare la situazione, si mette a lato delle due con le mani in tasca ma non sembra capace di dare la svolta, va solo a ricoprire una posizione di rottura dal punto di vista della prossemica: il genitore infatti si rivolge alla figlia ad almeno due metri di distanza e in piedi, senza un contatto rassicurante e senza inginocchiarsi per stabilire una parità di altezza di sguardi. La freddezza del rapporto non è per nulla inferiore alla temperatura di contorno, e la piccola resta lì.

Nemmeno la presenza di spettatori introduce un deterrente, una spinta verso la conciliazione. Guarda che ti porto dentro a forza tanto ormai la brutta figura con tutti gli altri ce l’hai già fatta. Questo è il segnale che ci dà il via, noi ci allontaniamo anche ma le urla ci seguono fino al parcheggio, nel silenzio mattutino quando passa anche l’ora di punta, per di più ovattato dalla neve che ricopre tutto. Quando ti accompagna tuo padre va tutto bene, quando di accompagno io mi fai sempre tutte queste storie. Ecco un altro elemento di valutazione. Probabilmente i genitori sono separati, e la bambina si nasconde dietro la gravità di papà e mamma che hanno anteposto chissà quali altre esigenze personali al suo bene. Lei vorrebbe soltanto uscire di casa lasciando temporaneamente una famiglia intera e non metà affetto per volta.

Oppure i problemi sono in classe. Magari la prendono in giro, magari ha una maestra che la vessa (e non so, ma se io fossi il bidello sarei già andato a chiamare l’insegnante perché la crisi sembra piuttosto seria), magari un compagno di classe la picchia, magari è una giornata così. O è il mal di stomaco perché siamo fatti anche di mal di stomaco. Quanti danni che fanno gli adulti distratti. Quando esco dal parcheggio il portone di ingresso si chiude finalmente dietro il suo zaino, grande quanto lei, e la scuola la fagocita ancora per fornirle un nuovo pezzo del kit anti-disagio che le spetta da programma. Montalo e tienilo con cura, piccola, che mamma non lo usa da un po’ e non sa più come si accende.

un po’ meno piccoli

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La risposta dev’essere là fuori da qualche parte, oltre la fila di alberi che separa il giardino della scuola primaria dal settore a uso della scuola materna. In questo mattino, con l’autunno agli albori e le foglie che già cadono, non c’è nulla che trattenga l’attenzione di Livia lì dentro, tra banchi occupati da bambini sconosciuti e quelle nuove maestre che parlano di cose che lei già conosce. Livia è una bambina di mezzo, nel senso che è nata troppo tardi per l’anno prima e troppo presto per l’anno dopo, una collocazione temporale che non vorrebbe dire nulla se non si prendessero come riferimento solo i mesi centrali per convenzioni anagrafiche e quindi ci si deve adattare. La differenza talvolta però si vede: quelli nati a gennaio sono o troppo grandi o troppo piccoli rispetto agli altri, a quell’età.

Per lei è stato deciso di iniziare un anno prima la scuola primaria, i genitori hanno compiuto una scelta oculata soppesando in due colonne affiancate i pro e i contro. Se Livia ora è lì che guarda nella direzione dell’edificio a cui è stata strappata un anno scolastico prima del dovuto significa che sono prevalsi i pro, il che non significa necessariamente però che la scelta sia giusta. Di là, oltre quella fila di alberi, da qualche parte c’è il gruppetto di compagne con cui trascorreva le giornate fino a pochi mesi prima, ed è curiosa la sua ex scuola vista da dove si trova ora, da quel punto di osservazione che non aveva mai pensato potesse esistere.

La risposta però non deve essere fuori, è dentro di me, probabilmente pensa Livia, se una delle compagne le fa notare in modo molto spiritoso che la maestra sta leggendo una storia e che occorre ascoltare. Ma il mistero delle amiche che ha lasciato di là – è stata l’unica anticipataria – e di quella prospettiva inimmaginabile prima non le torna, Livia sa che lo deve risolvere in qualche modo. Ne approfitta così durante l’intervallo, dopo la mensa, da sola si reca sotto quegli alberi, sul tappeto di foglie di ogni colore, dove però scopre che c’è anche una ringhiera che separa i due giardini, prima da dentro non ci aveva fatto caso. L’avventura finisce lì.

Fortunatamente è intervallo anche alla scuola materna, così Livia riesce ad attirare l’attenzione delle sue ex compagne che corrono da lei, ma giocare separati in quel modo non si può. Se ne accorgono tutte, c’è qualcosa di innaturale, c’è un gruppo che ha dovuto rinunciare a una parte di sé ma che ha già rimarginato la ferita, c’è una bambina che ora, per chissà quale motivo, è più grande. Scambiano qualche battuta come i bambini di cinque e sei anni possono fare, quindi il gruppetto compatto torna con i propri pari. Livia sta per rientrare nella sua classe ma decide di perdersi nei suoi pensieri, come spesso le accade quando si distrae mentre cammina da qualcosa che vede. Si ferma e fissa le foglie, poi guarda su a valutare quante ne cadranno quel giorno, saltella un po’ sulle radici, sfiora le cortecce. Stringe a sé tutto quello che ricorda di come era la vita prima, direbbe un adulto, magari suo padre.

Dentro, nell’aula, una delle maestre segue alla finestra quella bambina che sa già un sacco di cose malgrado sia lì un anno prima del dovuto, conosce nomi di animali e di alberi di tutti gli ambienti naturali. Così, in forma di battuta, mette in allarme la collega che ha coinvolto come spettatrice, dicendole di essere preoccupata: Livia starà sicuramente riflettendo su quelle piante o sulle stranezze del mondo vegetale, occorre tenersi pronte a una domanda molto specifica alla quale sarà difficile rispondere, nemmeno guardando fuori.