non andare lontano

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Quest’estate non facciamo vacanze, mi dice Andrea, non ci siamo organizzati in tempo e abbiamo deciso di non andare da nessuna parte. Io rimango basito perché non mi capacito del fatto che uno non senta la necessità di partire e togliersi da casa almeno per qualche giorno, anche se sei povero in canna i risparmi spesi in viaggi sono l’investimento migliore, vedere posti diversi ti apre la mente. Che poi Andrea non è uno che ha grossi problemi economici, quindi non è quella la causa, come per esempio l’altro Andrea, quello che aveva il mutuo e così lui e la sua fidanzata avevano montato la tenda in salotto e per qualche giorno hanno dormito lì per far finta di essere al campeggio.

Così questo Andrea e Piera, sua moglie, si sono ritrovati con un po’ di soldi in più, quelli che non devono spendere per le ferie, e hanno deciso di comprarsi un po’ di cose nuove. Il telefono nuovo per lei, una tv più grande da mettere in salotto e un computer più potente per il figlio Stefano che sogna di fare l’urbanista e passa ore da solo in camera a studiare come sono costruite le principali città del mondo. È un ragazzo introverso e taciturno, in casa come a scuola, ma negli studi è molto diligente. Fa il liceo artistico e va alla grande. A Stefano piace cercare le metropoli sui libri di geografia e su Internet e immagina il rumore che ci dev’essere in quelle strade e lo mette a confronto con il silenzio che c’è in casa sua. In famiglia si parla poco, anche tra Andrea e Piera le conversazioni si sono spente e io lo so il perché. Andrea è un annoiato cronico e gli sta stretta la famiglia ma non sa nemmeno lui cosa vorrebbe in alternativa. E quello è il vero motivo per cui l’idea di organizzare un viaggio o un qualsiasi soggiorno e stare a contatto con Stefano e Piera da mattina a sera e di notte e per due settimane lo manda in crisi. D’inverno Andrea esce prima di tutti per andare al lavoro e torna tardi anche se finisce prima per non trovarsi in situazioni destrutturate che potrebbero rendere necessario un dialogo e gli argomenti per imbastirlo, mentre a cena o dopo cena ci sono comunque i programmi televisivi da seguire o si può uscire con una scusa o un’altra.

Alla fine i tre trascorrono il mese di agosto in casa, le ferie comunque le devono prendere per forza e il primo giorno vanno insieme all’Ipercoop a comprarsi qualcosa di nuovo come avevano deciso, il reparto di elettronica del supermercato è un altro posto in cui si sa di cosa parlare. Che modello scegli, quanti pollici, ha il bluetooth, quanti giga di ram, magari spendi cinquanta euro in meno e poi tra un anno lo butti via. Poi in macchina tornando a casa si può parlare di quello che si è acquistato. Però non trascorrere troppo tempo davanti al computer, riesci a copiarmi la rubrica sul nuovo cellulare che non voglio perdere i contatti del lavoro. E le due settimane che seguono sono realmente diverse, in effetti, c’è un minimo di evasione a volerlo trovare. Stefano le trascorre a spostarsi più velocemente tra le periferie delle città di cui ha letto, Piera a seguire le repliche dei musicarelli in bianco e nero, quelli con Gianni Morandi sono i suoi preferiti perché li guardava da piccola con sua mamma e ora li segue tenendo il telefono nuovo con su lo sfondo di un panorama esotico accanto a sé, vicino al telecomando, e Andrea a volte va in garage a sistemare qualcosa, a volte sta sul divano quando la tv è libera, e conta i giorni di ferie e quelli che mancano a riprendere il lavoro ma tutto sommato anche così il tempo passa.

nemmeno un prete per chiacchierar

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Non ricordo dove l’ho letto, però pensate quanto è vero. Non sceglieremmo mai per i nostri figli cibo scadente tantomeno dannoso, giusto? Allo stesso modo dovremmo mettere a loro disposizione risorse e oggetti di qualità e di buona fattura, a partire dalla proposta culturale fino a generi materiali come giocattoli e vestiti. La prima volta in cui ci ho pensato è stato dopo l’acquisto di una tastiera elettronica a tasti piccoli con cui pensavo di avvicinare mia figlia alla musica suonata che a conferma del prezzo irrisorio e della pessima fabbricazione – suoni e funzionalità terrificanti malgrado la marca storica – è stata da lei utilizzata pochissimo e ogni volta in modo piuttosto improprio. Chiaro che prima di investire qualche migliaia di euro in uno strumento acustico come un pianoforte, per esempio, uno ci pensa due volte visti i tempi, voglio dire le cose di qualità talvolta hanno costi proibitivi, ma con un po’ di astuzia e di ingegno si riesce ad arginare il problema. Da allora cerco di valutare appieno ogni acquisto, non vi dico mia moglie che passa ore in rete per documentarsi su qualsiasi tipo di articolo si renda necessario prima di decidere quale comprare.

Una analoga accuratezza andrebbe esercitata anche in ambiti più complessi come la gestione familiare in rapporto ai mesi di vacanza dei bambini. Ma mai come in questo caso il benchmarking è superfluo. In una società basata praticamente solo sulla disponibilità dei nonni, nel momento in cui si è costretti a rinunciare al loro supporto si apre una voragine organizzativa. Le proposte alternative non mancano, ma la sostenibilità economica è a dir poco proibitiva. Ed è il nostro caso. Se piazzare nonni e nipoti in una casa in montagna per uno o due mesi prima delle ferie ufficiali di agosto era tutto sommato accessibile e di facile ammortamento, le iniziative settimanali per bambini nelle strutture private sono fuori portata e non convenienti, benché estremamente valide. La scelta così alla fine si riduce all’offerta pubblica e agli oratori, un servizio che è poco più di un parcheggio erogato in modalità discutibile su cui mi sono già espresso più volte.

Questo per dire che ci sforziamo di ottenere il meglio da tutto ma siamo disposti a chiudere un occhio sulla qualità del tempo che i bambini trascorrono quando sono in nostra assenza (poi c’è anche la questione di come passiamo il nostro tempo con loro, ma questo è un altro discorso). Insomma, da lunedì mia figlia è iscritta all’oratorio estivo della parrocchia nei pressi di casa mia, noi non siamo credenti né praticanti ma a malincuore abbiamo confermato la scelta delle ultime due estati per i costi irrisori (il personale è tutto volontario) e perché l’alternativa comunale sfrutta le strutture scolastiche che i bambini frequentano già tutto l’anno, non ci sembrava giusto costringerla ancora negli stessi ambienti in cui è rimasta tutto l’inverno. Una scelta un po’ ipocrita di cui farei a meno, ma non sapremmo come comportarci altrimenti, e come noi tante altre famiglie come a dire mal comune mezzo gaudio. Così, quando accompagno mia figlia in oratorio e la lascio in quel cortile, tra centinaia di coetanei in quel momento di anarchia totale che precede la chiusura dei cancelli e l’inizio delle attività, penso che non è giusto, che una società che trascura in questo modo suoi membri più vulnerabili e importanti non è poi così evoluta anche se cerchiamo di convincerci, quando li vediamo raggiungere gli amichetti mentre ci allontaniamo per recarci al lavoro, che per loro, per i bambini, un posto vale l’altro.

in erba

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Il pomeriggio trascorso al saggio di una scuola di musica nell’attesa della performance di mia nipote che se l’è cavata egregiamente al piano è servito per riconfermarmi il concetto che i genitori dovrebbero accorgersi in tempo quando la loro prole non ci azzecca per nulla con l’hobby che hanno designato per occupare il loro tempo libero. Violinisti fuori tono, batteristi fuori tempo si sono alternati nell’esecuzione dei loro compitini che è chiaro, a ragazzini delle medie non si può chiedere più di tanto. Ma se uno è portato lo si capisce già nei primi anni di studio, e gli insegnanti (come gli allenatori) dovrebbero mettere le famiglie di fronte ai limiti dei loro figli. Tutto così, fino a quando un tizio smilzo e dinoccolato di 12 anni si è seduto al pianoforte e ci ha lasciato di gesso suonando Maple Leaf Rag in versione integrale e non facilitata. Chapeau.

quando mancano le figure

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Con i figli l’utilizzo di un minimo di psicologia è un fattore decisivo. Dicono che la facilità con cui si riesce a raggirarli è proverbiale ma mica tanto perché raramente, esplicitando direttamente il proprio obiettivo, li si riesce a convincere con le buone su una determinata cosa. Aggiungo che anche con lo zucchero la pillola non va sempre giù e alla fine, quando ci sembra di aver perso troppo tempo in una modalità di confronto che a noi adulti sembra del tutto irrazionale e a un bambino tutt’altro, si opta per l’imposizione, cose tipo conto fino a tre con la voce grossa. Perché non sempre prendere alla lontana una comunicazione antipatica, indirizzarli verso un loro dovere o semplicemente suggerire loro un qualcosa che, una volta provato, siamo sicuri che gli piacerà è una metodologia che va a buon fine. Ogni bambino, come noi del resto, è irremovibile su qualche aspetto. Ma, a differenza nostra, non credo si tratti di pigrizia mentale, ignoranza o cocciutaggine fine a sé stessa. Mia figlia, per esempio, non ne vuole sapere di uscire di casa, un classico dei fine settimana, e questo indipendentemente da quanto la controproposta sia allettante o meno e comprenda ricompense materiali o no. Questo per dire che a volte anche facendo proposte ricche di divertimento in modo intelligente e subdolo, cioè senza chiedere il suo parere e dando per scontato che la cosa per cui ora ci prepariamo e usciamo si farà e la messa ai voti è fuori discussione, si ottiene un pugno di mosche in cambio e si passa al piano B, più grossolano ma di sicura efficacia anche a discapito dell’umore e dell’armonia del gruppo.

Ma c’è un ambito in cui mia moglie ed io non dobbiamo fare il minimo sforzo per avere il suo consenso, e dico per fortuna perché si tratta di una risorsa impagabile che fa sì che nostra figlia non si annoi mai (non credo di aver mai sentito dire da lei parole come non so cosa fare), e questo è fondamentale, soprattutto essendo figlia unica. Mi riferisco al momento della lettura. Leggere libri e fumetti è una delle sue attività preferite, si muove perfettamente a suo agio in biblioteca e sceglie i titoli e gli autori per l’infanzia che preferisce. Il lato più piacevole di tutto questo è che si fida di noi e dei libri che le proponiamo, difficilmente si rifiuta di iniziare una storia per partito preso e altrettanto raramente le lascia a metà, anche se talvolta è scettica sulle edizioni completamente prive di illustrazioni. I disegni hanno un forte appeal sui bambini, consentono di amplificare la loro fantasia fornendo spunti visuali per le sceneggiature mentali che costruiscono procedendo nelle trame più intricate. Ma anche qui abbiamo a che fare, talvolta, con atteggiamenti del tutto incomprensibili per i genitori. Con mio grande rammarico, non sono ancora riuscito a farle leggere Marcovaldo di Italo Calvino, uno dei testi più divertenti per l’infanzia che ricordi. E questo perché sono in possesso di una edizione economica e solo testo dell’opera, e tutte le volte in cui ho provato a sottoporgliela ho avuto solo ritorni negativi. Ho cercato di descriverle la ricchezza dei racconti e la figura stessa del protagonista, ma senza successo. Nessuna strategia di persuasione ha funzionato, mi sono offerto anche di leggerlo a voce alta ma niente. Un’opportunità guastata da un tascabile da due lire, senza nemmeno un disegno. E qui con la psicologia c’è poco da fare, non c’è strategia che tenga, e non è possibile imporre nulla con l’autorità. Quel libro di sole parole stampate non l’ha mai convinta a priori, e il guaio è che non riesco a recuperare in nessun modo. Un semplice “non sai cosa ti perdi” non è assolutamente sufficiente.

il giorno, più lungo

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Eppure non è molto che ho scritto questa cosa qui ma si sa, a fare i giochi del mi sembra ieri si finisce a ritroso alle generazioni che ci hanno preceduto, gli avi al tempo del Risorgimento, il medioevo e l’australopiteco. Il solito esagerato. Ma diamine la data è quella e un altro anno scolastico si è chiuso, un po’ a fatica per via delle maestre che hanno preso il posto delle precedenti e poi le supplenti tanto che la rappresentazione grafica della continuità didattica ricalca l’esempio di linea spezzata che hai disegnato sul quaderno di geometria, il profilo di una catena montuosa a fianco di rette e curve. Ti prometto che questa volta farò di tutto per fermare questa invida aetas che anche mentre scrivo sarà già fuggita e chissà perché c’è sempre tutta questa fretta che non puoi stare fermo nemmeno un secondo sul secondo che stai vivendo che già c’è quello dopo e carpe diem suona più come una bestemmia storpiata perché non si può sempre continuare così. Quest’estate sarà diversa. Da stasera, che è la prima sera di vacanza, tutto durerà il doppio. Puoi scommetterci.

una cosa per volta

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Nell’ordine trovo: una confezione di salviette umidificate, quelle che si usano quando sei in giro e tuo figlio riempie il pannolino e non c’è acqua corrente tantomeno un posto dove cambiarlo, tanto che la prima volta che in Italia ne ho visto uno ed ero all’Ikea ho pensato che esagerazione, si vede che non è un’azienda italiana. Poi, da genitore, ho imparato a coglierne l’assenza. Dopo una decina di metri c’è un ciuccio, che all’inizio quando ti cade lo metti in quarantena affogato nell’amuchina quando non lo getti direttamente via e poi dopo un po’ di mesi, quando vedi che malgrado te i bambini crescono lo stesso, gli dai una sciacquata alla fontana e glielo piazzi in bocca, tanto tuo figlio si è fatto gli anticorpi. Il terzo indizio è una scarpina, altrettanto facile da perdere perché quando sei a spasso con il passeggino e tutto il kit di sopravvivenza agli ambienti esterni non sono poche le cose a cui pensare. Per non parlare di quando spingi il pupo tutto orgoglioso della tua creatura e ti squilla il telefono, una chiamata di lavoro e finisce che qualcosa ti cade e non te ne accorgi.

In questo le mamme sono superiori a noi papà, anzi anticipo le vostre obiezioni scrivendo che le mamme sono superiori ai papà in tutto, ma per tornare al nostro caso specifico, queste creature superorganizzatissime intelligenti e multi-tasking che sono le nostre compagne di vita sono davvero impeccabili e quando ci vedono uscire di casa soli con i nostri figli si dilungano in raccomandazioni suscitando il nostro disappunto per la mancanza di fiducia, che poi si conferma mal riposta. Perché a loro non capita mai di dimenticare qualcosa, uscire senza fazzoletti di carta, smarrire golfini o lasciare i libri della Pimpa sul tavolino della gelateria.

Ma questa volta sono io a sbagliarmi, perché chi torna indietro a raccogliere l’involontaria semina è una donna. Ahi ahi ahi, mi vien da dire, mentre mi chino a raccogliere la scarpina per aiutarla in questa fase di redenzione a ritroso. Nel frattempo mia figlia, che mi segue in bici, ora che siamo entrati nel parco accelera per raggiungere le sue amiche e a quel punto, e almeno per le due ore successive, so già che non la vedrò più. Sono finiti i tempi delle spinte all’altalena e delle rincorse sulla giostra, e un po’ invidio la madre distratta che spinge una bimba che probabilmente cammina a malapena. Ora il mio ruolo qui al parco è solo di fornire supporto on demand, le richieste si riducono di settimana in settimana. Ogni tanto do un’occhiata per vedere che tutto fili liscio, che mia figlia sia nei pressi. Ecco, si è già allontanata. Pazienza.

Così mi metto a leggere il libro che ho portato con me, non prima di notare un altro genitore in erba, il papà di un bimbo che seduto poco più in là sta raccogliendo i pezzi per rientrare, mettendoli alla rinfusa nel vano sottostante il passeggino, uno spazio utile come ripostiglio per palette, secchielli, palline e altri ameni divertimenti per la primissima infanzia. Il bimbo gli sale in braccio e insieme si avviano verso l’uscita del parco, il papà ogni tanto saltella e il piccolo ride, oh come ride. Quanta nostalgia, un tempo anche io ero il mezzo di locomozione preferito di mia figlia. Li intravedo infine laggiù nel parcheggio, il papà apre la portiera e sistema il figlio sul portabebè. Poi sale al posto di guida e parte. Ed ecco la morale della storia. Il passeggino con il vano portagiochi traboccante di plastica colorata resta qui, di fronte a me, dimenticato dal padre premuroso e giocherellone per il quale due cose da ricordare sono già troppe.

dice il saggio

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Una sessantina di bambini sul palco, lo spettacolo è dedicato all’origine del mondo, degli animali e dell’uomo e – indovinate un po’ – si intitola “il più grande spettacolo dopo il big bang”. Sono le classi terze, sono tutti vestiti di nero, e sono spassosissimi. Hanno preso sul serio il corso di teatro seguito durante l’anno scolastico. Il clou è il rifacimento in chiave teatrale di una celebre scena kubrikiana, gli ominidi più evoluti che brandendo lo strumento di offesa mettono in fuga le scimmie più arretrate. Poi tutti con il flauto, un po’ fuori tempo, un po’ stonati e pazienza. Si chiude proprio con la canzone di Jovanotti a tutto volume, è la sigla finale di questa nuova tappa archiviata, e un po’ la sorpresa, un po’ lo stress accumulato, insomma gli occhi si inumidiscono e meno male che siamo al buio.

per fortuna c’è l’Ikea

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Bisogna ammettere che quando i bambini poi crescono, un destino a cui nemmeno i figli propri sono risparmiati, si riducono molti dei vantaggi acquisiti durante i primi anni nella scalata verso la conquista della loro fiducia. E se è un dato di fatto che con l’aumento delle complessità è necessario evolversi nel mestiere di genitori, il che significa adattarsi in modo intelligentemente flessibile, alcuni ruoli dati per scontato tra i punti di riferimento dell’infanzia vanno automaticamente a decadere. La cosa difficile per un padre è capire che non è una questione di successione, semplicemente si tratta di cariche di cui i bambini non hanno più bisogno. Sono certo che sia giusto così, ma a fianco di un’opera di riposizionamento genitoriale occorre saper ricostruire dentro di sé gli equilibri emotivi sbilanciati dai vuoti che man mano vanno creandosi e riesumare attitudini al confronto interpersonale che, durante la prima infanzia, necessariamente si lasciano da parte. Mentre tutto prima veniva mediato da pratiche come il gioco, ora – parlo della mia esperienza – ecco che gli albori della personalità pre-puberale impongono l’uso di nuovi linguaggi, e non è così semplice. Fino ad ora ho trovato dentro di me tutto il necessaire per affrontare passo dopo passo la crescita, ma ora mi rendo conto che occorre un altro arsenale argomentativo per non perdere autorevolezza e tenere la situazione sotto controllo. Lei è cresciuta, il confronto con il gruppo dei pari si è consolidato e costituisce già un sistema ben definito, ho perso un po’ di energie (per non dire che sono invecchiato) e, per arrivare al punto, non c’è tempo da perdere. Ma, a dirla tutta, non mi spaventa il continuo divenire del nostro rapporto, mio e di mia figlia intendo. Sono molto meno abituato invece a fare ordine in me stesso, quell’equilibrio interno di cui ho parlato sopra. Si spostano intere porzioni di vissuto che si devono archiviare e prima di colmare quegli spazi con quello che succederà d’ora in poi, non ci si deve lasciar prendere dallo sconforto. Guardarsi dentro è come soffermarsi in una casa appena sgomberata, il riverbero dei propri passi dalle pareti nude e le macchie sul muro dove prima c’erano quadri appesi che abbiamo messo via in soffitta. Non c’è nulla da fare se non scegliere insieme i mobili nuovi.

grazie a dio è venerdì

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– Mamma, ho paura delle mestruazioni.
– Non preoccuparti amore, hai 8 anni, devi crescere fino all’età di tua cugina per averle e puoi stare tranquilla ancora per un po’.
– Ma fanno male?
– No, solo un po’ di mal di pancia il primo giorno.
– E quanto durano?
– Dipende, più o meno cinque giorni.
– Allora finiscono per il fine settimana?

dall’amore e dall’unione

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Se questo fosse un album fotografico qui ci sarebbe uno spazio vuoto, solo gli angolini ai lati e il cartoncino della pagina un po’ meno sbiadito, perché questo sarebbe il posto della foto di un bambino di tre anni in pantaloncini di vigogna corti con le polacchine e un berretto con la visiera che scatta di corsa verso sua madre, che è la persona che sta immortalando la scena, mentre alle sue spalle c’è il suo papà con un vestito elegante e la sigaretta in mano che lo lascia libero di raggiungere l’altro punto di riferimento della sua vita. E probabilmente la foto avrebbe dovuto ritrarre padre e figlio fermi in un giorno primaverile di festa o una domenica, ma tale era la smania di quel bambino di mettere le mani sulla macchina fotografica dall’altro capo che non è stato possibile a nessuno di fermare la posa. Ma meglio così, perché vi assicuro che nella foto il bambino ride, il papà pure e suppongo faccia lo stesso la mamma al momento dello scatto, visto che l’effetto è un po’ mosso e ha migliorato il tutto. Anziché avere un istante di famiglia appiccicato su pellicola c’è una specie di film di una vita che rivedo ciclicamente quando si approssima il mio compleanno, e ora siamo agli sgoccioli.

Perché si sa, il compleanno non è la tua festa ma è la festa di chi ti ha fatto, quando nasce un bambino è bene fare un regalo ma bisogna farlo ai genitori, soprattutto alla mamma, e non al bambino perché i piccoli hanno tutta un’esistenza davanti per rendersi protagonisti. Così vorrei fare proprio questo, come regalo a chi ha fatto me. A mio padre che si è un po’ ripreso, gli hanno tolto una medicina e si sono ridotti i suoi stati di confusione. A mia mamma che ha sulle spalle tutto e molto di più da sola perché i figli sono distanti, anche se alcuni vivono a poche stanze dalla sua. Così a loro che mi hanno dato una vita con i loro respiri, probabilmente affannosi durante il concepimento, pazienti e regolari nel corso della gravidanza, concitati e indotti durante il parto per lei e di fumo di sigaretta per lui, augurerò un buon anniversario della mia nascita tra due giorni con questo ricordo. Mi chiameranno come al solito alle sei e quaranta del mattino, l’ora x, e io gli dirò di cercare quella foto e di guardarla un po’ e pensare a loro stessi. Perché per me sarà un giorno come gli altri, se non fosse che poco fa ho pensato addirittura che potrei invece trascorrerlo come un tempo si celebravano le festività solenni sui canali radiofonici e televisivi pubblici: interrompendo le trasmissioni facete e i varietà e programmando solo musica classica, come se quello fosse il linguaggio più appropriato per una festività importante come la mia, per loro. Chissà, dopodomani se digitate questo url potreste trovare solo un non stop di video da youtube dei miei compositori preferiti. E magari il prossimo anno, in prossimità del 10 maggio, al posto di una manciata di parole che lasciano il tempo che trovano pubblicherò la foto di un bambino di tre anni in pantaloncini di vigogna corti con le polacchine e un berretto con la visiera, che corre dalle braccia di suo papà a quelle di sua mamma.