La sensibilità dei bambini ti disorienta, soprattutto se sei un adulto e per una serie di motivi che non staremo a discutere qui usi all’incirca lo stesso timbro nei modi in cui percepisci le cose e le tieni dentro e non le rigetti poi fuori proprio per quel motivo lì, e cioè che ti sembra che quando le parole si aggrovigliano lì all’altezza della gola, in un ingorgo proprio nella galleria che il tempo ha scavato sotto il cosiddetto pomo d’adamo, pensi che non abbia molto senso. Voglio dire, anche solo per l’usura e gli anni di rodaggio, il sistema per un adulto dovrebbe essere molto ma molto ben più fluido no? E se non è l’emozione o, nel peggiore dei casi, il magone, a noi grandi ci salva quell’inibizione, che poi dicono che a una certa età si affievolisca di nuovo. Quel filtro anti-spam, chiamiamolo così, che in uscita blocca le impressioni estreme che i bambini sentono di dover comunicare a tutti i costi e che sono difficili da tener sotto controllo. Passa qualcuno messo maluccio da un punto di vista fisico ed ecco che subito i bimbi puntano il dito, fanno domande, rilasciano commenti, definiscono malattie, il tutto in un modo piuttosto plateale che vai poi a cercare di rimediare la situazione, far finta di nulla, deviare il discorso o, molto più frequentemente, scusarti con il malcapitato di turno. E non si tratta di educazione, almeno spero di no perché altrimenti mi dovrei mettere oltremodo in discussione come genitore e se è così, vi prego, avvisatemi.
Non solo. Per un dispetto tra compagni di classe ho sentito volare parole grosse e nemmeno bizzarre come le parolacce che i bambini dicono di non conoscerne nemmeno il significato. Almeno così sostengono poi la mamme e i papà. Chiaro che siamo nel pieno dell’imprevedibilità e nella totale volatilità degli stati d’animo, basta un diversivo e le discussioni si appianano, le amicizie si rinsaldano, i bronci tornano a essere con gli angoli della bocca all’insù e le labbra aperte sopra gli incisivi mancanti. Si torna a passare palloni, a condividere vestiti delle bambole, a far provare biciclette, a scambiarsi figurine.
Su altre tematiche, quelle che in situazioni normali dovrebbero riguardare di più i grandi, molto spesso i figli si dimostrano invece molto profondi, capaci di individuare il seme da cui è nata e cresciuta una vicenda fino ad appassire in dramma. O semplici componenti della vita, come la naturale fine della stessa. Mettete il fatto che con madri e padri non più giovani come un tempo è facile maturare le prime esperienze di perdita di parenti anziani fin dalla tenera età. Un mistero che va affrontato senza tanti fronzoli fatalistici anche se l’approccio fiabesco del trapasso in una dimensione spirituale, religiosa o no, rimane sempre il migliore. Già per i bambini è difficile capire la vita, figuriamoci l’assenza della stessa. Comprendere poi il tutto con il tatto imbevuto di cinismo di un adulto, ancora peggio. Per questo mi perdo nell’osservare le loro interpretazioni di quello che a noi passa di fianco a mille all’ora e nemmeno ci sforziamo di capire di che si tratta, mentre loro fermano spesso senza che nemmeno ce ne accorgiamo, con quell’immaginazione che uno pensa sia pronta a registrare ricordi come disegni di gessetti colorati su una lavagna nera o collage fatti con ritagli di inutili pubblicazioni allegate ai quotidiani.
Quando è morto Lucio Dalla, per esempio, se ne è parlato molto un po’ da tutte le parti e anche in casa c’è stato qualche cambiamento, su tutti il fatto che sull’onda emotiva abbiamo iniziato ad ascoltarlo di più. Mia figlia ha scelto come suo brano preferito l’aria di “Caro amico ti scrivo”, e ora non vorrei sopravvalutare il processo che l’ha portata ad annoverare l'”Anno che verrà” tra le sue canzoni preferite, ma il fatto che parli di progetti futuri a voce di un artista che, passato altrove, di progetti non ne può più allestire, le ha fatto nascere delle domande che per la sua età emotiva non è ancora in grado di formulare. Oppure come nel caso di quell’adulto di cui parlavo prima, anche a lei le parole vanno a mettersi in coda prima di uscire dalla bocca e così cambiano strada, diventano liquide, trovano la scorciatoia dagli occhi e da lì fanno un po’ male, anche a chi le vede solo uscire da fuori magari senza capirne il perché.