Per qualche ignota combinazione mi trovo al centro di una seconda o terza media in viaggio dagli outskirt verso quella grande mela in stato di decomposizione che è Milano, in piedi nel vano da cui si accede all’uscita del treno dei pendolari. Sfortunatamente si tratta di maschi e femmine ancora in quella fase in cui sono più bassi di me ma di poco, stretti a formare una calca per cui mi ritrovo a poca distanza dai loro cuoi capelluti. Ragazzini forse in visita alla mostra del cervello al museo di storia naturale per contemplare i vantaggi che ricaverebbero usando quello che gli è stato fornito da genitori come me. Questo nel migliore dei casi. Gli altri non staccheranno la loro attenzione da sé stessi e dai compagni, considerando la scala delle priorità tipica della fase di crescita in cui sembrano piombati come sopravvissuti a un naufragio.
Una ragazzina con metà testa rasata e l’altra metà coperta da una folta e lunga capigliatura sfoggia un vistoso anello alla narice destra e porge la metà del proprio auricolare a un’amica. Considerando che mi trovo in mezzo, si avvicinano tra loro mettendosi a commentare con un silente feeling espressivo a pochi centimetri dalle mie orecchie. Il display dello smartcoso da seicento euro di quella con la doppia pettinatura riporta autore e titolo, così leggo quel Fedez che con la sua cattiveria commerciale ha così tanta presa sui più piccini alle prime esperienze con l’autodeterminazione.
Faccio finta di niente malgrado inconsapevolmente le due abbiano ridotto lo spazio che mi consente di leggere il mio libro in piedi evitando che i fili delle mie, di cuffie, non si aggancino a qualche accessorio sporgente altrui. Sto ascoltando il nuovo album di M.I.A. e poco prima di essere tirato nel mezzo di quella condivisione di emozioni pre-adolescenziali mi ero distratto osservando un altro studente con loro di origini cingalesi, chiedendomi giusto se almeno lui a questo pop italiano al vago aroma di rap preferisca la cantante di origini tamil che risuona nel mio microimpianto hi-fi da passeggio, ma forse pretendo troppo considerando il suo look che trasmette una vita di stenti molto più ordinari.
Ma mi rendo conto ancora una volta che il mio criterio di valutazione consolidatosi nel secolo scorso ora non vale più. Prendete ad esempio questa qui davanti a me con il piercing al naso e la testa divisa a metà da due pettinature così antitetiche. Tanto spirito di emancipazione estetica per poi ascoltare un mediocre canzonettaro al soldo di una major come Fedez e per di più tamarro all’inverosimile. Fingere di tifare rivolta per poi assoggettarsi a MTV Italia. Ecco, questa cosa dell’hip hop all’italiana che è diventato il terreno di non-espressione dei giovani d’oggi, considerando che a breve ci sarà pure mia figlia lì con loro che di nascosto da me coltiva già quel genere di ascolti malgrado i modelli che le ho proposto costituisce l’avverarsi di una delle mie principali paure, seconda solo al rimanifestarsi di una dittatura militare dai connotati cileni. Che smacco per uno della mia generazione: dopo il post-punk, l’eroina, il no-future, dover avvertire queste oscure avvisaglie di omologazione proprio dal sangue del mio sangue.
A quel punto mi distrae lo scemo della classe, che avevo già identificato come tale perché tutto preso dai tentativi di conquistare un po’ di visibilità malgrado la sua pelle coperta dall’acne a colpi di cazzate sparate a voce alta, che alle mie spalle legge la pagina su cui è aperto il mio libro dimostrando ai compagni e tutti gli altri pendolari che non dev’essere una cima a scuola. Mia figlia leggeva così in prima elementare, giuro. Anzi meglio. Faccio per farglielo notare ma vengo anticipato da un sagace rimprovero dell’insegnante che nel frattempo si è fatta strada per avvisare i ragazzi di non scendere alla prossima, ma alla fermata successiva. Nessuno però ha riso né durante lo scherzo del libro né alla battuta della prof che comunque era troppo sottile per una generazione così deludente, e tra me penso a quante soddisfazioni mi sarei preso, io, ad avere in classe uno così idiota. Magari me lo ritroverò come infermiere quando avrò ottant’anni e la mia vita sarà nelle sue mani, una cosa che mi fa rabbrividire.
Quindi si aprono le porte e il mio viaggio è finito, per farmi passare le due ragazzine sono costrette a spezzare il filo fisico e metaforico che le unisce in quel discutibile ascolto comune ma non sembrano particolarmente dispiaciute. Lo scemo della classe approfitta del fiume di gente che se ne va per cantare una canzone che dice “mi piace la Nutella, Nutella-a-a”, e ancora una volta penso che se fossi un insegnante delle medie sarei profondamente frustrato, che già come genitore mi aspettano tempi bui.