guarda il video di mille persone che suonano “In the cage” per chiedere a Peter Gabriel di tornare nei Genesis e fare un tour con almeno una data in Italia

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Oggi voglio insegnarvi invece come si fa a fare i musicisti di successo nell’era della musica digitale che ha distrutto l’industria discografica e, conseguentemente, ridotto sul lastrico milioni di rockstar oramai con le pezze al culo per non vendere più un disco nemmeno a prezzi stracciati. Prendete esempio dai Wilco. Qualche giorno fa i Wilco hanno reso disponibile al download gratuito il loro nuovo album Star Wars: è sufficiente recarsi sul loro sito, inserire la propria e-mail e il gioco è fatto. Io l’ho scaricato, i Wilco mi piacciono abbastanza anche se devo dire che questo nuovo album mi sembra un po’ meno interessante di “The Whole Love” che, invece, era una bomba. Probabilmente devo ascoltarlo con maggior attenzione. Comunque avete capito come funziona: tanto gli mp3 da qualche parte si trovano, quindi perché non distribuirli subito, un po’ come quelle mamme che compravano le sigarette ai figli per evitare che le scroccassero agli amici, trovandole magari ripiene con l’aggiunta di sostanze più divertenti del tabacco.

Tanto, alla fine, il guadagno i Wilco lo fanno suonando in giro, mica vendendo i dischi. I Wilco però sono delle brave persone perché ti dicono, una volta che hai scaricato l’album digitale, che ascoltare la musica gratis è bello ma sarebbe corretto ripagare in qualche modo l’esablishment. Per esempio comprando uno o più dischi di una lista di album di band che piacciono ai Wilco. Ho provato per voi i nomi di quella lista ma, a essere sincero, non sono un granché. Di questo elenco ho trovato solo molto interessanti i Parquet Courts, una band di texani emigrati a Brooklyn che fanno un genere che ricorda in parte Lou Reed con qualcosina degli Strokes, sentite per esempio questo pezzo qui.

Ma, a parte questo, fare i buoni e gli altruisti in un ambiente come quello della musica alla fine ripaga. Voglio dire, i Wilco con questa mossa si sono dimostrati dei veri signori dello starsystem, l’attenzione per il prossimo – quando il prossimo è rappresentato da band emergenti – è un gesto di bontà anomala per i tempi che viviamo.

Ma il mio eroe, da questo punto di vista, resta indiscutibilmente Dave Grohl, ne abbiamo già parlato altre volte. L’ex batterista dei Nirvana è un altro bonaccione, e sembra che sia facile tirarlo dentro in qualsiasi iniziativa perché dimostra entusiasmo in qualsiasi cosa faccia, come circondarsi di vecchie rockstar per celebrare un tributo all’autorevolezza della terza età in ambito musicale, e mi riferisco alle numerose incursioni di gente del calibro di Jimmy Page o altri vetero-metallari sui suoi palchi.

Avrete senz’altro seguito ieri l’esponenziale diffusione del video dei 1000 musicisti che, con un’esecuzione record di “Learn to fly”, hanno chiesto a Dave Grohl di portare i Foo Fighters dal vivo a Cesena. Nel giro di pochissimo tempo il video è giunto ai piani alti dei social network ed è stato ripreso da vari magazine musicali e non, fino a transitare come da copione dai canali ufficiali e dai siti di informazione per arrivare ai destinatari con la velocità che contraddistingue la viralità sul web. Dave Grohl sembra aver apprezzato l’iniziativa, e come sarebbe possibile non commuoversi di fronte a una tale attestazione di amore e stima, così presto assisteremo al concerto della sua band in Italia, come nel video in questione era espressamente richiesto.

Chissà se qualche altra rockstar dal cuore meno tenero avrebbe fatto lo stesso. Ieri sera, per esempio, vedevo un documentario della BBC sui Genesis che, intervistati lo scorso anno al completo, quindi con Peter Gabriel, hanno comunque dimostrato di essere rimasti sulle stesse posizioni che avevano indotto il cantante a intraprendere la carriera solista dopo il tour di “The lamb lies down on Broadway”. Se non l’avete visto ve lo consiglio. Si intitola “Genesis: Sum of the Parts” e trasuda presunzione di Tony Banks (il tastierista, qualora non lo conosceste) da tutti i fotogrammi. Questo per dire che anche se ci mettessimo in un milione a suonare tutti insieme “In the cage” per implorare una loro reunion, scommetto che la cosa non andrebbe in porto, sia perché le incomprensioni tra loro sono rimaste tali e quali anche perché trovare così tanti musicisti in grado di suonare un brano dei Genesis la vedo dura.

carisma e charisma

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Quando i gruppi si formano dovrebbero pensarci a non scegliere cantanti così, che poi decenni dopo le tribute band si trovano in grossa difficoltà a emularli.

78.000 sterline

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Ogni tanto mi capitano quelli che io chiamo Genesis Day, che sono quei giorni in cui ho molto tempo libero e mi viene voglia di ripassare tutta la discografia della band inglese in vinile in mio possesso, dall’inizio alla fine e rigorosamente in ordine cronologico. Si tratta di momenti che è bene che mi capitino quando sono solo in casa, perché mia moglie non è tanto dell’idea e già sulla facciata A di Nursery Crime inizia a manifestare segni di insofferenza, quindi lascio consumarsi l’epico finale di The return of the giant Hogweed e rimando il secondo episodio della monografia a data da destinarsi. A nulla serve vantarmi dell’aver portato in dote addirittura l’edizione francese del disco, fatta a libro con i testi stampati a differenza dell’edizione più comune con i testi nella fascetta interna. O ricordarne l’anno di uscita, 1971, come se si trattasse di un miracolo il fatto che già allora si suonasse così, e le ho anche sottolineato il fatto che si tratta del primo album registrato con Phil Collins alla batteria. A quel punto mi sono chiesto che fine avesse fatto John Mayhew, che era stato sostituito subito dopo la pubblicazione di Trespass, ho così cercato in rete e mi sono fermato alla sua biografia su Wikipedia, che ho trovato davvero particolare. Leggete qui:

John Mayhew
È stato il terzo batterista (anche voce) dei Genesis, nel periodo tra settembre del 1969 e luglio del 1970. Sostituì il precedente batterista John Silver e fu a sua volta sostituito da Phil Collins. Suonò nell’album Trespass e nel box set Genesis Archive 1967-75.
Biografia degli anni seguenti.

Lasciati i Genesis, suona in diversi altri gruppi e nel 1979 va a vivere in Australia, esercitando la professione di falegname. Per molti anni si perdono le sue tracce. Nel 2006 partecipa a una convention di fan dei Genesis a Londra, suonando la batteria nel brano The Knife cantato dalla Tribute band ReGenesis[1]. Riceve dal management dei Genesis 78.000 sterline, quale ricavo per i diritti dalla sua collaborazione nel disco Trespass, che non aveva reclamato precedentemente. Vive gli ultimi anni della sua vita a Glasgow, in Scozia, lavorando quale falegname in una ditta di mobili. Un giorno prima di compiere i 62 anni, muore in ospedale a seguito di problemi cardiaci.

alla rivelazione

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Se mi dicessero che il tizio qui sotto è lo stesso che nel 2003, trent’anni e rotti dopo questa foto, ha composto e cantato la colonna sonora di “Koda fratello orso”, non ci crederei. Scoprire tumblr come questi fa male, perché riapre ferite solo parzialmente rimarginate. (via una molto più fanatica dei Genesis di me)

un fiore?

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Ok, date un’occhiata qui, un’ottima rappresentazione grafica del rock’n’roll mainstream, scoperta grazie a Inkiostro, che ha in sé qualcosa di paradossale. Non ha nulla di underground pur essendo una mappa della metropolitana. Tuttavia, questa sorta di diagramma di flusso del trasporto pubblico di emozioni sonore è geniale, e mi ci ritrovo per diversi motivi. Iniziando dal più futile, rispecchia in pieno una mia fissazione estetica, un design che ho cercato più volte di imporre nelle proposte delle campagne pubblicitarie e di comunicazione a cui lavoro, e in un paio di occasioni ci sono riuscito. Per clienti diversi, chiaro. Poi l’idea della città sotterranea, il fatto stesso che una metropolitana contenga la matrice metropoli, ne costituisca il substrato, eccetera eccetera. Ci siamo capiti. Ma, soprattutto, è la metafora della storia della musica rock che mi ha colpito. Immaginate il significato per uno come me che ha girato in lungo e in largo quella città con un abbonamento perpetuo e costoso, fino al conseguimento della tessera gratuita di rock metropolitano honoris causa, quella che da più di dieci anni mi appaga ogni brama. Con i pionieri siti pirata, quindi grazie a programmi peer to peer, passando poi per i fasti di Audiogalaxy e di Soulseek fino all’ADSL flat e Adunanza, per arrivare a un impersonale ma efficace sistema di storage gratuito. E grazie a quella sorta di abbonamento totale, ho passato tantissimo tempo lì sotto. Ci sono linee, in quella mappa, che ho percorso più di altre, chiaro. Per esempio quella azzurra, sono salito a tutte le stazioni e sono rimasto in quegli ambienti così a me somiglianti a lungo e in diverse fasi della mia vita. Al contrario, probabilmente non mi incontrerete mai sulla nera, lì è pieno di metallari, capelloni con borchie e stivali, ogni cosa è collegata al distorsore, fa caldo, si suda e gli uomini amano indossare le canottiere. Adatto a chi ama il rischio, io no di certo.

Piuttosto la linea verde, ecco, bazzico spesso lì. Anzi, dirò di più. A volte mi perdo, capita a tutti. Ci sono giorni in cui non mi va mai bene nulla, vago tra playlist che non ricordo nemmeno di avere preparato, indosso gli auricolari… anzi, in quella metropolitana non c’è bisogno di auricolari. Tutto è amplificato, volume a manetta, altro che hi-fi antisociale. In quei momenti di sconforto decido di riprendere la via di casa. Io sono nato e cresciuto proprio sulla linea verde di quella mappa, tra le fermate di Bob Marley and The Wailers, quartiere dove abitava il mio pusher e nei cui locali ancora oggi vado a divertirmi un po’, e la più fighetta fermata Dire Straits, che ha dato i natali ai miei compagni di classe un po’ più banalotti; comunque, col senno di poi, chitarristi virtuosi e buon specchio di un’epoca. Tra quelle due fermate, e vi chiedo scusa se vi faccio leggere questo post con la piantina in mano, dicevo tra quelle due fermate c’è quella più vicina alla casa in cui sono nato. Si tratta di un quartiere apparentemente barocco, molto in voga negli early seventies, ricco di leggende, di citazioni, di persone travestite, di tempi dispari, di strumenti non ortodossi per la città di Rock’n’roll. La gente è un po’ scostante, a volte incontri mostri che ti chiedono di essere toccati, altre protagonisti di favole un po’ macabre, o lunghe saghe di persone reali. Si sono consumati delitti, ci sono barboni con gusti ben definiti che dormono sulle panchine, contemplatori delle volte celesti.

Anche se apparentemente folle, quello è il mio punto fermo. Da lì riesco a ripartire quando ho bisogno di un po’ di pausa, quando stili e trend musicali mi confondono un po’. Con un solo rammarico. Da quella fermata, che è la fermata Genesis, un giorno una persona molto importante, anzi la più importante, se ne è andata via, con le sue maschere e il suo flauto, e da allora non è più tornata. Il quartiere ha perso tono, lentamente è sbiadito, sono andati via altri, nel frattempo i tempi cambiavano, le case hanno perso valore, sono state persino introdotte le batterie elettroniche. Roba da matti. Così, quando termina l’ultima rampa delle scale mobili e mi trovo su in cima, chiudo gli occhi e lì sì che indosso gli auricolari con una musica che non esiste più. E, per sentirmi a casa, mi basta annusare il profumo della cena pronta.