È qualcosa di più che una storia d’amore. Intanto perché ci sono tre pretendenti. Due, l’insegnante di scrittura creativa e la psicologa, che pretendono di amarsi e poi di amare una donna che è un patchwork di esercizio stilistico e gioia di tutto, ma come si ama una creatura che cerca un rifugio e lo offre di rimando a chi non si capacita di quanto si possa amare la vita, anche quando si hanno dietro storie personali inconcepibili per la società occidentale. Come si ama una figlia, ecco. Per proteggerla, sostanzialmente. In secondo luogo perché è una storia d’amore tra due categorie contrapposte, l’attrazione fatale che da sempre divide in due il genere umano. Il foglio bianco di carta di un blocco per appunti contro il campo testo di una pagina xhtml di un sito dinamico. Il luddismo contro gli automatismi dell’informatizzazione. Le app contro le note scritte a matita negli interstizi bianchi dei libri di testo. Capire la ragione della felicità ed essere felici, e basta. Brevettarne la ricetta per divulgarla traendone profitto e accontentarsi della casualità con cui si sorteggiano i cromosomi. Ridurre il tutto a uno scontro/incontro di civiltà tra testa e cuore è riduttivo. Ecco due cellule che si accoppiano e si propagano per mitosi con un ingegnere genetico, che è Powers stesso, che prima osserva al microscopio le dinamiche della trama e poi, una volta raggiunte dimensioni visibili ad occhio nudo, si alterna tra spettatore e regista pronto a montare in postproduzione narrativa una terza dimensione, che farà da scenario alla conclusione della storia. Ma la componente scientifica e le multinazionali del DNA non possono competere con un eroe vestito di tutto ciò che è umano quindi casuale: l’andare a fondo per capire, l’attesa del momento giusto per agire fino al gesto risolutore e la vittoria, tanto è una storia inventata.