Che combinazione. Le ultime dieci pagine le affronto spesso in una manciata di stazioni prima di scendere, d’altronde è il treno la principale location in cui noi commuter, i pendolari insomma, esercitiamo la maggior parte della nostra passione preferita, sempre che non ci capiti a fianco qualche chiacchierone. Così mi ritrovo a lottare tra due approcci opposti: da una parte, il desiderio di non abbandonare la cosiddetta confort zone (un inglesismo che oggi va di moda di brutto) che mi sono ritagliato intorno con il romanzo che sto terminando, quindi centellinare parola per parola, sillaba per sillaba, la storia e cercare di giungere al finale il più lontano nel tempo possibile. Dall’altra invece la smania di arrivare a scoprire la frase conclusiva, con il rischio però che l’ultima pagina non coincida con gli ultimi metri di viaggio e, conseguentemente, cercare di accelerare la lettura con il rischio di lasciarsi sfuggire qualche passaggio determinante. Di certo è che, ogni volta che mi appresto a concludere la lettura di un romanzo e mi trovo in quelle dieci pagine, e che sia su un treno o a casa o su una spiaggia, mi viene da misurare lo spessore di quanto già letto e da valutare al chilo l’esperienza di lettura. Guardo tutte quelle pagine dalle quali sono passato e mi meraviglio, ogni volta, di essere giunto così lontano. E tutto perché una volta mica ero così. Iniziavo un romanzo e dopo l’entusiasmo delle prime dieci pagine il libro restava spalancato sul comodino come una danzatrice rimasta incastrata in una spaccata. Poi qualche mese dopo ci riprovavo ma il risultato era poco differente. Ho imparato ad arrivare fino in fondo con libri che era impossibile che non ti prendessero, storie che ti accolgono dentro e non ti mollano fino alla quarta di copertina. Uno di quei libri lì è stato “Uomini e topi”, e potete immaginare perché. Ora, per dire, mi mancano dieci pagine alla fine di “Furore”, non sono in treno e né su una spiaggia ma ho voluto lo stesso fermarmi per segnare questa sensazione, che per un libro di questo spessore – in senso proprio e lato – è talmente enorme che non riuscirei mai a descriverla. Dico solo che a leggere Steinbeck ci si rende conto di quanto sia piccolissima la letteratura contemporanea, ma forse sono i tempi che viviamo a essere piccolissimi.