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Nell’era dei tweet e dei pensierini liofilizzati e corredati da foto pseudo-vintage che già fanno sembrare l’Internet che abbiamo imparato a conoscere e a studiare per lavoro un dinosauro mediatico, alcuni tipi di comunicazione diretta fanno tenerezza e meritano attenzione almeno quanto chi ti si presenta a un colloquio con un portfolio caricato su una cartuccia e relativo Zip 100 con presa SCSI (senza portare con sé nemmeno il cavo) nel 2012.

Mi riferisco a quei pionieri del direct marketing che sono i Testimoni di Geova (vi avviso subito che la battuta vecchia come il cucco Testimoni di Genova a me ha fatto sempre ridere, da buon ligure), quelli che ti suonano al citofono la domenica mattina e appena rispondi ti dicono cose tipo “Buongiorno, mi fa piacere trovarla in casa, mi stavo chiedendo quale idea ha lei di quello che succederà dopo la vita terrena e se possa esistere davvero una possibilità di salvare la nostra anima anche una volta che si è separata dal nostro corpo. Le va di scambiare qualche opinione a proposito?” e mi spiace davvero che una domanda così a bruciapelo sia assolutamente spiazzante tanto che ironia e sarcasmo di fronte a una così ampia gamma di possibilità alla fine si riducano a un insieme vuoto e ti viene d’istinto di rimettere la sicura e di liquidarli con un innocuo “guardi, sto stirando, mi scusi ma non è proprio il momento”, e loro non hanno compreso il rischio, o forse lo hanno compreso ed è proprio quello che cercano se per essere promossi honoris causa nella cerchia dei martiri aggiungono un “le possiamo lasciare un po’ di documentazione a proposito?”. E una delle scene che mi figuro più spesso e che ripeto sempre perché davvero mi fa morire dal ridere è Woody Allen che fa intervenire Marshall McLuhan in una discussione sulla sua opera in fila alla cassa del cinema, così mi immagino il Testimone di Geova che citofona a casa Kierkegaard e il buon Soren lo invita su a fare quattro chiacchiere.

Tutto questo fa il paio con la pubblicità con il megafono sul camioncino dei fruttivendoli erranti, gli annunci che terminano quasi sempre con angurià con l’accento sulla a, scritti e recitati per sfidare il monopolio della grande distribuzione organizzata e della frutta di plastica a cui siamo abituati. Così massaie e pensionati (ci sono solo loro in casa) scendono a frotte con la borsa del carfùr e si mettono a tastare pesche e albicocche che poi comprano in cambio di un foglietto stampato (non lo si può certo definire scontrino) su cui, guarda un po’, non c’è l’indicazione della partita iva. L’ambulante però, nel dare il resto, sfodera un portafoglio che non riuscirei a riempire così nemmeno se prelevassi tutto dal mio conto, e ci si chiede dove sia il problema. Poi sale al volante e riparte con la sua tiritera di vegetali in rima per nuovi cortili, massaie e pensionati rientrano dopo aver fatto il pieno di vitamine e fibre in nero e il silenzio torna sovrano, nell’attesa che giunga la vera stella del quartiere sulla sua Apecar ad affilare le nostre lame e a riparare i nostri ombrelli.