Comunque alzi la mano a chi di voi non sarebbe piaciuto nascere altrove, giusto per tornare velocemente su quanto si discuteva ieri. Per carità, non sputo nella provincia che mi ha partorito e mantenuto perché poteva andare peggio, tipo nascere nel Darfur o ad Haiti o, se aggiungiamo la variabile temporale, nascere ebreo a Berlino nel 1938 o giù di lì. Però quante volte leggiamo cose su gente come Briatore poi ci guardiamo intorno e scorgiamo il padre di famiglia francese che passa ore a costruire un vermone preistorico con la sabbia, una specie di drago che si inabissa nel bagnasciuga, mentre il figliolo a bocca aperta senza panfilo e, soprattutto, senza chiamarsi Nathan Falco ne ammira estasiato le gesta non vedendo l’ora di emularlo.
In quel caso a quale popolo vorreste appartenere, dite la verità? Lo sapete che io ho la fissa dei tedeschi, ma anche se l’Italia fosse una colonia francese non mi dispiacerebbe, anche lì non dimentichiamo che poteva anche andare che Napoleone facesse di San Pietro un granaio e oggi non saremmo qui a non dover ogni volta rimproverare il vicino perché sbaglia a differenziare i rifiuti, o al massimo potremmo farlo apostrofandolo ma con l’erre moscia. Di certo non dovremmo fare i conti ancora con l’immigrazione di prima generazione anzi nemmeno, di mezza generazione e a far di tutto per non riconoscere i problemi, figuriamoci per risolverli. Avremmo, chissà, afroitaliani presidenti del consiglio e non quelle mezze calzette di parlamentari con le loro battute che nemmeno ai tempi del nostro colonialismo da operetta.
Per esempio non mi dispiacerebbe essere inglese, con la mia bella lingua che mi capiscono tutti in tutto il mondo e non con questo idioma che con la scusa di Dante e Manzoni siamo qui tutti preoccupati di dimenticarcelo tra abbreviazioni, tecnicismi e tanto analfabetismo di ritorno. Mi piacerebbe pensare in inglese e poter sfoggiare tutte quelle parole che da sempre ascoltiamo alla radio anche se proprio quelle della radio, che oggi è diventata MTV, spesso non hanno un senso. Noi ci aspettiamo chissà che cosa e invece quelli hanno messo insieme due frasi a caso ma comunque a elevata musicalità e che stanno bene. Mi chiedevo per esempio se ho una strofa da musicare in inglese e devo troncarla per forza in due battute diverse, mi chiedevo se gli inglesi che conoscono ovviamente l’inglese troncano la frase in un determinato punto perché altrimenti non sarebbe più di senso compiuto, oppure se lo fanno apposta affinché a chi ascolta cresca la curiosità di sapere cosa dice dopo il testo perché fino a quel punto ha un significato oscuro o equivoco, o magari pensano che si voglia dire tutt’altro. Questo è pensare inglese, e per quanto un italiano lo studi non penso riuscirà a raggiungere simili livelli di immedesimazione.
Ma, speculazioni a parte, io ho questo pessimo difetto che quando vedo uno non italiano mi sento subito di dovergli chiedere scusa. Mi spiace che voi dobbiate preoccuparvi così tanto di noi, non so perché non veniamo mai a capo delle nostre enormi contraddizioni malgrado tutte lo occasioni che ci avete concesso. Vedo i figli dei turisti nordeuropei e non ce n’è uno non in forma, avete presente i ragazzini che incontrate ogni giorno con i rotoli di uanza che spuntano dai jeans sformati ma di marca o dagli elastici dei leggins. Son tutti sportivi e hanno la faccia serena come se non fossero alla perenne ricerca di un modello da imitare, un nuovo smartphone da farsi regalare o un nuovo reality da seguire. Si fanno bastare quello che hanno, e lo so che spesso hanno di più, di migliore qualità e meglio funzionante.
Stamattina ho cercato di configurare un tablet bellissimo a un signore tedesco che aveva appena acquistato un accesso al wireless ma non riusciva a connettersi a Internet. Mentre smanettavo sul suo Windows 8 già un po’ mi vergognavo per non conoscere la sua lingua e perché in Italia connettersi costa e anche salato. QUi c’è un hot spot che ha tariffe da rapina, sei euro al giorno e non vi dico il prezzo settimanale. Per farla breve, non c’è stato verso di far accedere alla rete il suo dispositivo e la vergogna è cresciuta ancora di più perché non sono riuscito a fornirgli aiuto. Gli ho suggerito di chiedere assistenza al gestore dell’hot spot. Alla fine il problema era che stamattina la rete non funzionava. It doesn’t work, mi ha detto rientrando, forse per consolarmi del fatto che il mio aiuto era stato vano ma non per colpa mia. E in realtà questo mi ha fatto vergognare ancora di un livello in più. Non mi sono sentito un bravo attendente come dovrei essere nei suoi confronti. Così ho provato con l’ironia, gli ho risposto “welcome in Italy”, lui ha capito che cosa intendevo e abbiamo riso insieme.