Immaginate di scartabellare in una di quelle scatole in cui finiscono le cose alla rinfusa che poi è bello ritrovare anni dopo, tra floppy da 5,25 pollici e cartoline inviate a mamma e papà da località di villeggiatura durante le prime vacanze con gli amici per poi essere destinate all’oblio di lì a poco perché mittente e destinatario alla fine coincidevano. Ma valgono anche le lettere di fidanzatine e i biglietti di concerti. Diari scolastici zeppi di ritagli di Ciao 2001 e Rockstar e qualche spilletta recante un’icona o un’ideologia oramai superata. Ecco, non vi è mai successo di affrontare il problema di chi metterà le mani su quel patrimonio di ricordi tra trenta, quaranta, cinquant’anni, quando magari non ci saremo più? Toccatevi pure e fate i dovuti scongiuri, ma poi riflettete un secondo solo su un aspetto che mi è capitato di considerare, qualche tempo fa. Mi sono ritrovato sottomano una foto di un nonno di un amico di famiglia, un mio coetaneo, vestito con una di quelle uniformi di fortuna messe insieme a caso dai partigiani come lui. In posa con altri combattenti, tutti con armi diverse. Pistole e mitragliette probabilmente prese a qualche nemico o invasore caduto in battaglia. Ma non voglio andare a parare sempre e solo lì, sulla Resistenza. No, perché anche se non è il mio caso, i miei nonni erano contadini e dubito che abbiano in qualche modo partecipato alla liberazione, ho pensato al modo in cui si giudicano i ritratti dei nostri antenati. E cioè che noi mostriamo con orgoglio le foto dei nonni partigiani, mentre i nostri nipoti si vergogneranno delle nostre da giovani, in cui siamo conciati come i Cure.
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golb
StandardHo pensato che anziché scrivere io di voi potremmo fare una cosa al contrario. Mettetevi d’accordo e create un sito e pubblicate on line tutte le foto che avete in cui ci sono io e delle quali non ricordo l’esistenza. Magari avete immortalato vostro figlio al mare e sullo sfondo in un angolo a sinistra mi avete riconosciuto mentre leggo un libro sdraiato sulla sabbia. Oppure, molto più semplicemente, ci frequentavamo dieci, venti, trent’anni fa e vi sono rimaste istantanee di noi insieme che non mi avete mai fatto avere. Non c’è la scusa dei negativi che non si trovano più, basta un passaggio sullo scanner e il gioco è fatto. Quella volta in gita. Quell’altra volta il book per l’uscita del cd, tutto in bianco e nero. Quella festa di laurea quanto la neo-dottoressa dalla postazione del dj si è tolta le mutande e le ha lanciate al pubblico e io ero lì a lato perché c’era il solito logorroico che mi monopolizzava in ogni occasione per parlarmi dei suoi progetti teatrali. Siete avvisati. Un tumblr può andare bene, un blog fotografico con un unico lettore – io – che tanto a ognuno di noi interessano solo le storie che lo riguardano. Il successivo step, per scalare la classifica delle imprese anti-social, sarà twittare sempre lo stesso messaggio sgrammaticato a cadenza da decidere.