Perché il problema non è solo Sanremo. Posso garantirvi che se mi fate sentire cento pezzi inediti riesco a dirvi quali sono italiani e quali no già dal timbro della chitarra elettrica e dal modo con cui è suonata con un margine di errore pressoché nullo. Capite cosa voglio dire? È tutto l’insieme che non funziona, che ci fa capire che ci sono certe cose per le quali non siamo portati e in questa lista il rock si posiziona ai vertici, probabilmente secondo solo alla nostra scarsa attitudine a essere europei, a ultimare progetti in tempo e senza fare casini, a gestire cose pubbliche in modo trasparente e senza corruzioni e al saperci tenere alla larga dalle botteghe che vendono tatuaggi. Quindi lasciate perdere Sanremo, che importanza volete che abbia un mercato che localmente sopravvive solo sui diritti d’autore della tv di stato mentre delle cui quote, a livello globale, a noi restano solo meno delle briciole, per di più di una qualità del calibro di Bocelli, Pausini e i new entry Il Volo. E a quelli che mi dicono che comunque Il Volo sono bravi non esito a mandarli a cagare e a insultarli pesantemente. Ma come si fa? Ma ve ne rendete conto? Ma come cazzo fate anche solo a pensare che una roba così abbia una minima dignità? Se Sanremo è di per sé un gioco popolare in cui ci si schiera tra chi lo guarda prendendolo sul serio e chi lo guarda per prendere per il culo sui social network chi lo guarda prendendolo sul serio, e non a caso questa discutibile edizione ha fatto il pienone, la vittoria de Il Volo è oltre questa consolidata dinamica, oltre il trash, oltre la merda culturale, oltre tutto quello che fino a un paio di settimane fa sembrava essere inimmaginabile. Ecco, questa secondo me è la vera eccellenza, il vero Made in Italy. La nostra imprevedibilità e quella capacità che abbiamo solo noi di trovare sempre nuovi modi per distinguerci in peggio.
festival di sanremo
sanremo 2014, i vincitori amorali
StandardUn festival sottotono, un po’ in secondo piano rispetto a cose più serie come i rigurgiti antidemocratici dei nazisti del grillinois, i tumulti ucraini e in Venezuela e le olimpiadi invernali che non so nemmeno su che tv le abbiano passate, di certo non sui canali che prendo io. Ma ci sono alcuni fattori che hanno contribuito ad abbassare la qualità di questa edizione, tenendo conto che stiamo comunque parlando di una manifestazione fuori dalla realtà e che non rappresenta nulla se non sé stessa. Ammetto poi di non avere seguito tutte le serate, e pure durante la finale ci ha pensato Ligabue a darmi il colpo di grazia – Ligabue che mi fa cagare sin dal 1990 se non prima – così ho pensato bene di non resistere fino alla proclamazione del vincitore, consapevole che i Perturbazione, comunque, non ce l’avrebbero fatta.
Intanto la coppia Fazio – Littizzetto siamo tutti d’accordo che basta. Poi dovremmo smetterla con le vecchie glorie della tv, la nostalgia con davanti il baratro fa tristezza doppia e non insegna nulla. E a Crozza cosa gli è preso? A stare con Fazio gli è venuta la benignite? Ma siamo noi che sbagliamo ad aspettarci cose diverse da un evento così, che è un po’ quello che dicevo qualche post fa paragonando Sanremo al governo Renzi. Ma veniamo alle canzoni:
Arisa: sopravvalutata, mi aspettavo il primo posto a Renga e non capisco davvero il perché della sua vittoria. Voto: 0
Raphael Gualazzi feat. The Bloody Beetroots: anch’io l’ho messa al secondo posto, divertente e originale anche se la presenza dell’uomo mascherato mi avrebbe indotto a una squalifica preventiva per inutile tasso di tamarraggine. Voto: 7
Renzo Rubino: chi? Voto: 0
Francesco Renga: le spettatrici che hanno sbavato tutta la sera sull’ex Timoria me l’hanno reso inviso. Canzone piaciona ma che non vale nemmeno la pellicola che avvolge il cd di Marco Mengoni. Voto: 0
Noemi: al solito il timbro no-future, questa volta però alle prese con un testo che non sono solo parole ma anche un po’ di spensieratezza. Solito giro di accordi tutto sommato gradevole. Nella mia classifica si piazza terza. Voto: 6.50
Perturbazione: una delle più belle canzoni mai sentite a Sanremo, perfetto mix tra pop, originalità e atmosfere indie. Resta il dubbio sul ruolo del violoncello e chi, dal vivo, suonerà le parti di Moog e di Theremin, considerando che non hanno un tastierista. A proposito, se vi occorre potete contattare me (ho comprato “In circolo” a un vostro concerto, appena uscito. Potete fidarvi.) Voto: 10
Cristiano De Andrè: dupalle, eh. Spiace per il cognome che porta, ma il patronimico nel pop non sempre è un valore aggiunto. Voto: 2
Frankie Hi-Nrg: niente di che, mi aspettavo grandi cose ma l’unica conferma che mi ha dato è che a Sanremo porta pezzi scadenti. Voto: 3
Giusy Ferreri: senza la produzione di Trentacoste, quello che suonava la chitarra ne “Il mare immenso” che è un pezzone, torna nell’anonimato non prima di aver sfoggiato un taglio di capelli da bulla di Bollate. Voto: 0
Francesco Sarcina: un po’ meglio del peggio ma senza nessuna vibrazione. Voto: 4
Giuliano Palma: il zillismo e i finti anni 60 hanno rotto il cazzo, lui pure, per di più con scelte armoniche – ascoltatevi la progressione finale di “Così lontano”- oltremodo discutibili. Voto: 0
Antonella Ruggiero: mi sono addormentato, ho apprezzato però il tormentone sui socialcosi circa la sua somiglianza con Robert Smith da vecchio. Voto: 2
Ron: imbarazzante. Voto: 0
Siete o non siete d’accordo?
Sanremo 2014, ecco chi vincerà il Festival (senza essere nemmeno eletto dalla gente che votano)
StandardLa mia visione un po’ ingenua e infantile dell’Italia è quella di un paese in cui il PD prendeva il 74 per cento e i Perturbazione vincevano Sanremo, che è un po’ come dire un posto dove ci abitano solo quei quattro gatti di amici e conoscenti che frequento in carne ed ossa e sui socialcosi e che sono tali e quali a me, oltre il sottoscritto e famiglia, naturalmente. Ma sappiamo tutti che non è così. A partire da voi che state leggendo: su cinque, tu e tu non avete nemmeno votato, tu che non riesci a leggere perché hai gli occhi iniettati di odio acritico hai votato i nazisti del grillinois, tu che non capisci cosa scrivo hai optato per qualcosa di destra e tu, con cui da sempre siamo in sintonia, sei del PD ma di chissà quale corrente. Allo stesso modo ci dividiamo in quelli che, come me, ieri sera sono stati a teatro ma il teatro non gli è piaciuto perché avrebbero preferito seguire Sanremo, quelli che fanno andare in testa alla classifica le canzoni dello specifico sanremese, quelli che Frankie Hi-Nrg è ultimo e quelli che se la prendono con Fazio, con la noia, con i soldi del canone e così via. Trovo però che una visione della realtà in cui ogni cosa è al suo posto, funziona secondo leggi matematiche e arriva spaccando il secondo è tanto ingenua e infantile quanto la mia, e tutti i visionari condividono la stessa delusione per i motivi di fondo: siamo in tanti, siamo in troppi, leggiamo poco, ci informiamo di meno, siamo presuntuosi ma ignoranti, ma sopratutto non la pensiamo tutti come me. Ed è già un buon risultato il fatto che i Perturbazione siano al quarto posto, se non sbaglio, e ci sia uno come Renzi – e lo sapete come la penso, davvero non credo di aver sostenuto mai uno peggio di lui – che davvero è l’ultima possibilità. Si governa con una maggioranza, e se non si deve discutere con i pregiudicati trovo che non lo si debba fare nemmeno con i fasciochimichisti antidemocratici che non ti danno nemmeno il tempo, per discutere, così iniziamo almeno con le nuove proposte. Se avete un’alternativa senza stelle e senza Giovanardi, se pensate che comunque vada è giusto che vinca uno come Renga/Renzi, sono pronto ad ascoltarvi.
Sanremo 2013, ecco chi vincerà il Festival
StandardNon diciamo scemenze. Ricordiamoci che chi ha riportato in auge la strategia del gran rifiuto per viltade qualche giorno fa ha sicuramente ribaltato le priorità del momento, relegando cose di poca importanza come una delle tornate elettorali più cruciali del dopoguerra agli ultimi cinque minuti dei telegiornali nazionali. Ma né io ne voi lasceremo che un avvenimento secondario come la fine del mandato del primo che passa riesca in alcun modo distoglierci da quello che sarà il vero argomento principe di questi giorni. Le previsioni sulle vittorie sono vecchie quanto le competizioni stesse e benché i favoriti e outsider siano già da tempo sulle copertine di testate di settore e no è impossibile sapere come andrà a finire. E non credo ci sia nulla di più inutile che comporre canzoni apposta per il Festival, anche se è una pratica in auge da sempre. Strutture standard, giri armonici elementari, ritornelli per mettere in risalto le qualità vocali dell’interprete, sviolinate varie fino alla salita di tono nell’ultimo refrain per lanciare la melodia nell’iperuranio della memoria popolare che, per cinque giorni, si dimentica persino di B1, B2 e B16. Il tentativo di costruire successi a tavolino oramai è una tecnica obsoleta per via della confusione armonica cui siamo soggetti, anche se poi in fondo cambiano gli ingredienti ma la sostanza rimane sempre quella. Voglio dire, è bene mai sopravvalutare gli italiani. Lo specifico sanremese è un genere a sé che ci tormenta da più di mezzo secolo e che, come leggete, non dovrebbe nemmeno esser degno di discussioni e commenti. Ma il discorso è sempre lo stesso. Ci si nota di più se lo guardiamo, o se non lo guardiamo per dire agli altri che non l’abbiamo visto? E se non l’abbiamo visto, è perché abbiamo avuto un legittimo impedimento o un qualunque imprevisto che ha sviato i nostri intenti, oppure volutamente abbiamo spento la tv e fatto altro? Cosa fa più snob?
Io vi dico la verità. Alla fine c’è sempre un motivo per cui una o due serate non me le perdo. Quest’anno, per esempio, ci sono gli Almamegretta, che tutto sommato sono una delle cose migliori mai uscite dal nostro panorama canoro, e ora che si sono ricongiunti con Rais sono proprio curioso di ascoltare le loro proposte. Ed ero pronto a giudicarle ieri sera se non fosse che è meglio informarsi prima sul programma della kermesse: la competizione tra i big è divisa in più serate, e quella di ieri è stata oggettivamente un po’ così, oltre a essere priva dei miei beniamini. Una serie di canzoni oltremodo anonime, forse una di Gualazzi con Bosso alla tromba, un’altra di Silvestri. Marta sui Tubi inascoltabili, stonati, inutili al Festival e a sé stessi, anche in un qualunque club indie me ne sarei andato chiedendo indietro i soldi del biglietto. E, Crozza a parte, resterà negli annali l’uscita di Toto Cutugno che ha dichiarato la sua nostalgia per la Russia che non c’è più, cioè l’Unione Sovietica per lo sgomento di Fabio Fazio e del pubblico, già innervosito dalla satira politica precedente, peraltro in replica per il pubblico de La7. Già, l’avreste mai detto che Cutugno è un comunista vero, altro che un semplice italiano? Lui, con il suo orecchino che così non li porta più nessuno e la sua espressione oramai così assente? Toto Cutugno è un nostalgico del Patto di Varsavia. Lasciatemelo cantare, perché ne sono fiero.
ma che mu
StandardLe domande di Cesare Picco su Il Post, visto che di musica, in Italia, se ne dovrebbe occupare come minimo Chi l’ha visto.
Un appello non è stato fatto dal palco di Sanremo. Dal palco dal quale si vende in mondovisione l’immagine della nostra musica popolare, doveva partire una semplice domanda: perché nel nostro paese non si insegna regolarmente la musica? Un piccolo quesito magari anche a bassa voce, senza neanche aprire discussioni o siparietti abbassa-share. Di questo avrebbe magari dovuto parlare Celentano. Per poi mettersi a cantare e a posto così. Pensate che rivoluzione, parlare di musica a Sanremo.
Il resto qui.
ve lo meritate celentano
StandardPotete immaginare come ci si sente ad amare la musica mentre qui c’è il Festival e di là ci sono Erikah Badu e Mark Ronson dal vivo al Letterman Show.
memori di Adriano
StandardMa vi rendete conto di essere testimoni di una delle più grandi rivoluzioni culturali e sociali di tutti i tempi? Se avete all’incirca la mia età, potrete vantare ai posteri di aver assistito a evoluzioni storiche come il passaggio dalle cabine a gettoni all’iphone, dai televisori in bianco e nero ai Social Network, da Adriano Celentano a… Adriano Celentano. C’è qualcosa che non mi torna e che anzi, ecco cosa mi fa tornare in mente, la pubblicità che passava nelle radio locali di un noto negozio di abbigliamento, un messaggio che puntava tutto sulla tradizione: mio nonno vestiva da Mauri, mio padre vestiva da Mauri, io sono giovane e vesto da Mauri. Che nel nostro caso suonerebbe “a mio nonno veniva propinato Celentano in tv, a mio padre veniva propinato Celentano in tv, io sono giovane e devo subire Celentano in tv”.
E a dire la verità non ho capito bene che cosa sia successo perché, come direbbe Battiato – altro esempio di longevità – per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare quei programmi demenziali di infotainment, ma se la notizia poi passa al telegiornale la cosa si fa seria e dobbiamo farcene una ragione. Pare che ci sia un tira e molla tra il Clan e la Rai sulla partecipazione del loro guru a Sanremo. E questa frase raccoglie un po’ tutto il fallimento di più di una generazione, individui apparentemente cresciuti grazie a una lingua, una religione, una educazione civica comune che in realtà non hanno nulla che li unisce di più di un tipo di sottocultura pop, ma non nel senso sano di popolare come La bella gigogin, per dire. No. Quel pop di dominio della gerontocrazia dello spettacolo nazionale che trova la sua catarsi nel Festival di Sanremo.
Quindi nell’anno di grazia 2012, Adriano Celentano si presenta di fronte a telecamere e giornalisti facendo le sue mosse da molleggiato, le stesse che faceva nei musicarelli che vedeva mio nonno classe 1904 al cinema. Celentano accolto dai fans che lo inondano di flash e di mani da stringere, come negli eventi itineranti tipo il Cantagiro, in uno scenario in cui si auspica la sua presenza in uno spettacolo già discutibile di per sé, il Festival, davanti al quale milioni di persone assisteranno al suo show che non ho idea di come potrà essere. Canterà una canzone, parlerà di temi ambientali come li vede lui, farà uno dei suoi rock’n’roll con l’inglese inventato tipo prisencolinensinainciusol di cui facevamo la parodia alle elementari con “presi in culo un etto di acciughe”. Si sa, eravamo piccoli ed era il 1974, posso contare sulla vostra comprensione.
Sembrerebbe che dalle nostre parti i bambini nascano già con Celentano nel DNA, un elemento genetico che viene trasmesso al momento del concepimento dai genitori ai figli, se siamo così in pochi a stupirci che sia naturalmente accettato come un dato di fatto l’esistenza stessa di Celentano in uno show business nazionale (se non l’esistenza di Celentano tout court), e che anche se crescendo non ne abbiamo sentito parlare se non marginalmente, perché abbiamo letto o ascoltato di tutto fuorché quel tipo di prodotto culturale, si pensa che Celentano sia una istituzione che si deve tirare in ballo necessariamente quando occorre fare una sintesi di quello che c’è di buono in Italia. Il Festival, chi lo dovrà presentare, chi saranno le vallette, l’ospite da pagare profumatamente e che ti fa fare il salto di qualità. Una metafora molto più calzante del naufragio del Costa Concordia.
Sanremo 2011, ecco chi vincerà il Festival
StandardLa mia amica S. deve scrivere un pezzo su Sanremo, qualcosa che metta insieme, come è ovvio, musica, costume, gossip e così via. S. è la stessa fan di Morrissey che nel 1987 o giù di lì, ora controllo meglio (1), partì alla volta della cittadina rivierasca per intercettare il suo idolo, ospite straniero di quella edizione del Festival. E di episodi di quel genere me ne ricordo diversi. F. che sosteneva di aver soccorso David Gahan fattissimo o in preda a una sbornia colossale mentre vomitava per i caruggi di Sanremo (2), qualche anno prima. Ricordo anche M., un tizio buffissimo che era convinto di somigliare a John Taylor, che conciato in perfetto stile duraniano faceva incuriosire giornalisti e ragazzine isteriche sul lungomare durante i giorni del festival (3). Sui Duran Duran a Sanremo qualcuno scrisse pure un libro, faccio finta di non ricordare titolo e autrice per non essere accusato di dedicare la mia memoria solo ai ricordi più futili. Al diavolo il dovere di cronaca. Metto solo un link e la cosa finisce qui.
Ma torniamo a S. e al suo articolo. Le ho consigliato, in alternativa, di puntare più alla sostanza, se sostanza e Festival di Sanremo possono coesistere nella stessa frase, raccogliendo in una sorta di superclassifica (roba da supertelegattone) i prodotti più più originali che sono stati lanciati da quel palcoscenico. S., che dagli Smiths è passata nel corso del tempo a fenomeni sempre più estremi di musica alternativa, per darvi in pasto alcune perle di competenza vi butto lì gli Einsturzende Neubauten o roba alla Sigur Ros, mi guarda e storce la bocca. Ma sì, le ho detto, poi metti un lancio tipo “Sanremo 2011, ecco chi vincerà il Festival” (già, proprio come il mio), aggiungi un po’ di tag accattivanti (come quelle qui sotto), magari posti il link sulla pagina Facebook della tua testata, e il gioco è fatto. “Sì, ma non ho ancora capito a quali contenuti ti riferisci“. Già, S. è un animale da nicchie. Con calma, procediamo con ordine.
Pur lasciando perdere conduttori – a cui e di cui non si deve parlare – e coordinatrici di palco (per non usare il termine vallette), a memoria d’uomo (la mia, siete in una botte di ferro) ci sono decine di casi da riesumare. Mi riferisco a brani eliminati dopo la prima serata, ultimi posti, o anche brani e artisti di successo che è ingiusto snobbare solo perché presentati in quel calderone obsoleto e completamente avulso dalla realtà artistica e musicale italiana che è Sanremo. S. ha così scommesso che non ce l’avrei fatta a mettere insieme almeno 10 esempi, canzoni che lei potrà raccogliere nel suo articolo. “Tsk“, le ho detto. “Sei pronta? Accendi il registratore, andrò in ordine sparso“. Si va in scena. Visto il mio background (e la mia età), il periodo preso in rassegna va dal 1975, prima edizione di cui mi ricordi, al 2001, ultima edizione che ho seguito, più qualche eccezione vissuta di riflesso. “Considera però l’anno di uscita e il contesto, naturalmente“. L’innovazione è sempre relativa.
1. di Ruggeri – Muzio: Contessa. Cantano: i Decibel (1980)
Lo so. Ho iniziato con un brano classico e scontato. Ma non si era mai sentito un pezzo così e mai visto un look simile, in Italia. Da leggere, sul sito dei Decibel, la genesi del pezzo.
2. di Cocciante – Santandrea: La fenice. Canta: Santandrea (1984)
Una sorta di Giovanni Lindo Ferretti (chissà perché mi viene sempre da scrivere Giuliano Lindo Ferrara, mah.. sarò tratto d’inganno dalle iniziali?) in versione operetta, su base plasticosa italo-disco-wave anni ’80. Dimenticato presto, non da me, ricettacolo di pochezze. Ritornerà alla ribalta qualche anno dopo con il nome completo di battesimo (Rodolfo), autore e interprete della celebre “ho un’arancia nella pancia”.
3. di Abate: Cose Veloci. Canta: Garbo (1985)
Lo so (ancora). Su guggol digiti Garbo e Sanremo e ti viene fuori come risultato Radioclima, binomio certificato anche dai cultori e puristi. Una pietra miliare, certo, ma io preferisco questo brano dal piglio alla LLoyd Cole, più evoluto e maturo anche se meno wave e berlinese (nel senso del periodo di Bowie). Come per Radioclima, la critica gli ha riservato il fondo della classifica. Tsk.
4. di Fossati – Guglielminetti: Un’emozione da poco. Canta: Anna Oxa (1978)
“Anna Oxa conciata come una punk londinese”, dice un noto motivetto degli Offlaga Disco Pax. E chi non se la ricorda? Peccato l’involuzione e la discesa verso i meandri dello specifico sanremese, unico palco che l’ha vista davvero protagonista. Qui, era il 78, ci si aveva l’abitudine di bucarsi le guance con le spille da balia e di bucarsi le vene con altro. Il punk, quello estetico e modaiolo di Malcolm Mc Laren viene sdoganato anche nella più tradizionalista della tradizione canora italiana, in prima serata, sul Primo Canale. Ricordo di aver aspettato l’esibizione di Anna Oxa a Disco Ring la domenica successiva, e di essere stato premiato con lo stesso inizio di esibizione, spalle al pubblico. Questa sì che è trasgressione.
5. di Bissi – Battiato – Pio: Per elisa. Canta: Alice (1981)
Battiato in versione femminile. Fu amore a prima vista, soprattutto perché, studiando pianoforte, colsi la citazione colta. Non trovo il video di tratto da Sanremo, spero vi accontentiate di questo.
6. di Romano – Casacci – Di Leo: Tutti i miei sbagli. Cantano: i Subsonica (2000)
6 bis. di Castoldi – Urbani: L’assenzio. Cantano: i Bluvertigo (2001)
Il meglio dell’indie-rock anni ’90 sbarca al Festival, un’operazione di mercato riuscita che ha permesso a entrambe le band di proporsi a un pubblico diverso (e più ampio). L’innovazione non è tanto nelle due canzoni, piuttosto tendenti alla grande distribuzione rispetto agli standard dei momenti artistici migliori di entrambi i gruppi, quanto nell’accostamento con il resto della manifestazione. Samuel che balla come se fosse in un club, Morgan che indossa il basso con la dovuta calma. Momenti irripetibili, merito degli Amici e di altri Fattori (X) oggi più affini al gusto imperante tra i giovani.
7. di Marrale – Golzi, Vacanze romane. Cantano: i Matia Bazar (1983)
La svolta di uno dei gruppi più interessanti della canzone italiana culmina con questa esibizione. Un pezzo su cui si è già detto tutto e, tentando qualcosa, correrei il rischio di plagiare altri scritti. Lascio solo il link a una pagina dedicata a Mauro Sabbione, il tastierista che prese il posto di Piero Cassano e che contribuì in assoluto al periodo migliore della band. Questo, appunto. Mauro Sabbione (che peraltro sei mio amico su Facebook), se per caso leggi questo post, sappi che sei stato il mio principale tastierista ispiratore, insieme a Mick MacNeil e a Carlo Speranza.
8 di Gaetano: Gianna. Canta: Rino Gaetano (1978)
La popolarità di Rino Gaetano e di questo pezzo si è manifestata con un crescendo continuo, complici il periodo in cui venne composta, la perpetua attualità delle liriche di Gaetano, la sua riscoperta in pieno revival dei ’70, il karaoke, la nostalgia per la tv in bianco e nero (anche se le trasmissioni erano già a colori, ma solo per i più ricchi), la sua tragica scomparsa. La sua esibizione resta uno degli episodi migliori in assoluto nella storia del Festival.
9. di Avogadro, Borghetti, Fanigliulo, Pace: A me mi piace vivere alla grande. Canta: Franco Fanigliulo (1979)
Non vorrei passare per radical chic (di questi tempi, poi) ma questa è una chicca, a cui sono molto affezionato, nonché brano vincitore morale dell’edizione 1979. Tacciato anche di vilipendio alla religione, con un bell’errore voluto di grammatica nel titolo, il brano, apparentemente un tripudio di fricchettonaggine all’italiana dell’epoca, risulta essere una piacevole eccezione nel piattume con cui si riempiva il Festival in un periodo in cui la musica e la canzone erano davvero altrove (leggi nelle piazze. Forse il periodo, quello che ho appena scritto, era troppo lungo?). Come anomalo era Franco Fanigliulo, scomparso purtroppo prematuramente.
10. di Rossi: Vado al massimo. Canta: Vasco Rossi (1982)
Non mi è simpatico Vasco, per nulla. Ma vi assicuro che la sua esibizione, quella che avete appena visto, è stata una bella botta.
(1) Gli Smiths parteciparono come ospiti a Sanremo Rock, una manifestazione collaterale al festival, proprio nel 1987. Suonarono, in un ostentato playback, 4 brani tra cui Ask (gli altri 3 facilmente reperibili nei suggerimenti su youtube)
(2) I Depeche Mode furono ospiti nel 1986 con Stripped (e se non erro anche nel 1990 con Enjoy the silence, ma l’edizione a cui si riferisce l’autore è la prima)
(3) Era il 1985, non aggiungo altro. Qualcuno sa il perché.
(4) Se invece cercate qualche melodia più mainstream, il Post ha raccolto le 10 migliori canzoni di Roberto Vecchioni. Vado a sentirle.