la schiavitù delle ferie

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Anche quest’anno ci siamo quasi. Tempo nemmeno poco più di un mese e mi troverò come tutti voi a rientrare da una vacanza, con una valigia o più in mano a guardare l’ignoto di un nuovo anno con la bocca spalancata davanti, pronto a divorarmi con tutte le sue complessità che, questa volta, vedono al vertice una figlia in prima media. A me le ferie piacciono sempre meno perché arrivo a ridosso della partenza con un carico di stress e ansie che il dover per forza partire con destinazione vacanziera non fa che aumentarne la mole. I giorni sono pochi e bisogna sfruttarli tutti, per cui uno stacca il venerdì pomeriggio e la sera è già sulla nave per la Sardegna o nella classica traversata continentale che culmina con la notturna lungo la Salerno – Reggio Calabria, per non parlare del viaggio in aereo che, in certi cieli nel nostro pianeta, non sai mai dove si farà uno scalo estemporaneo e tutti insieme, mica sparsi per la campagna ucraina.

Perché se ti prendi qualche giorno di stacco prima della partenza poi ti senti in colpa perché hai quella sensazione che li hai sprecati. Il mondo è pieno di mogli a casa che preparano le ultime cose e di mariti a bighellonare in giro in bici con i figli, ad autoconvincersi che le ferie sono cominciate anche se il panorama intorno è sempre lo stesso, a parte l’anomalia di attraversarlo in orari solitamente dedicati alla produzione. E tutti dicono la propria su quale sia il modo per staccare veramente ma nessuno ha i soldi e le opportunità per stare via un mese dall’altra parte del mondo dove davvero arrivi a un certo punto in cui non trovi più nemmeno dentro di te la tua essenza di italiano vero.

Una settimana o due sono un compromesso striminzito di cui, se ci pensate bene, faremmo anche a meno. Giusto una spolverata illusoria di oblio e sei di nuovo qui, con una settimana o due di arretrati in ufficio, una settimana o due di roba da stirare, una settimana o due per rimettere a posto teli da mare e costume, togliere la sabbia dall’abitacolo della macchina, mettere la carta di giornale appallottolata degli scarponi da trekking, sbirciare il numero di giorni che ti separano dalle prossime feste comandate e via così. La vita è tutto un tira fuori la roba da campeggio, metti via la roba da campeggio, tira fuori l’albero di Natale, metti a posto l’albero di Natale, questo ripetuto, a essere ottimisti, una ottantina di volte.

E se ne parli con qualcuno, sul fatto che le ferie non servono a nulla se non a complicare il doppio il tuo stato emotivo e il tuo rapporto con quell’ordinarietà che poi impieghi almeno undici mesi e mezzo a ricucire, chiunque ti risponderà che è vero, hai ragione, è proprio lo stile di vita che conduciamo che ci rende le ferie superflue con quel si deve per forza togliersi di mezzo per un po’, così la società e l’economia si sentono meno in colpa per costringerti a dedicare a loro tutta la vita. Che a me sta pure bene, siamo fatti di lavoro e di poche altre sostanze organiche, il sistema ci concede dello svago ma è chiaro che ora non è più sostenibile: è l’ora di ingegnarsi a studiare forme più adatte di riposo a impatto zero sul nostro equilibrio.

alcuni aneddoti dalla settimana prossima

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Fate attenzione, però. C’è molta gente che poi arriva a un punto che non ne può più e passa gli ultimi giorni di vacanza anticipando quello a cui si troverà a far fronte di lì a poco, come se avesse applicato una sorta di dissolvenza stile transizione di Power Point tra due blocchi della propria vità, sporcando un po’ di qua e di là sperando che questo tipo di contaminazione – c’è un po’ di lavoro nelle ferie e e c’è un po’ delle ferie nel lavoro – porti giovamento e abbatta lo shock della fine di un qualcosa. Fate attenzione perché hanno un che di contagioso e il morbo che questi infiltrati del futuro sono in grado di trasmettere è un male contagioso e ti mette l’ansia. Cominciano a dare un’occhiata alla posta del lavoro, pensano a come risistemare tutta la roba in auto, credono sia meglio dare una riassestata ai capelli prima di ripresentarsi in ufficio e si chiedono se il barbiere di fiducia sarà già rientrato. Ma anche tutta la sfera domestica è fonte di questa deviazione nostalgica, anzi nostalgia deviante, perché puoi anche non essere uno che ha sempre la valigia in mano e/o la seconda casa in cui trascorrere i finesettimana ma alla fine durante l’inverno negli ambienti in cui abiti ci stai poco, quasi sempre con la luce accesa, molto spesso in fasi transitorie prima di buttarti a letto o di uscire per il lavoro. E questi li capisco di più, dopo due o tre settimane di assenza sentono la mancanza delle loro cose, magari hanno lasciato i gatti alla cura di amici e parenti, poi le routine a cui non pensano proprio perché sono routine e si eseguono meccanicamente ma quando non si eseguono per un po’ poi uno ci pensa, ai gesti e alle attività per allontanarsi dalle quali si paga e profumatamente. Poi metti che l’acqua è più fredda e la vita all’umido nel continuo susseguirsi di mare e docce e piedi da sciacquare inizia a stargli stretta e così questa gente che ha già attivato la procedura di reinserimento pensa che forse avrebbe fatto meglio a prevederla questa cosa che poi l’estate stufa e l’anno prossimo giurano che prenoteranno almeno tre-quattro-cinque giorni in meno perché più di così loro lontani da casa non ci sanno stare. Io di gente così ne ho anche un paio in famiglia. Una grande che rimpiange più che altro il suo materasso matrimoniale e le comodità da appartamento, l’ebbrezza di camminare senza sentire la sabbia tra le dita dei piedi e altre amenità minimali. Una piccola a cui mancano le amiche del cuore, le compagne di classe e addirittura non vede l’ora di ricominciare la scuola. Roba da pazzi, dico loro. Perché ci sarà tutto il tempo che vorranno per i piaceri dei doppi vetri, della lavastoviglie e dell’adsl. Del tempo pieno in aula e delle merende in cameretta, Diciamo così basta a questi anticipatori del dopodomani, che mesi prima di partire iniziano il conto alla rovescia e scelgono con cura le creme solari e poi, quando il soggiorno è agli sgoccioli, cominciano con i buoni propositi per la stagione a venire. Fermiamoci qui in questo istante che sa di iodio e di maestrale e impegnamoci una buona volta a scandire solo il presente momento per momento, onda dopo onda, venditore ambulante dopo venditore ambulante.

sorpresa, è tutto finito

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Alla grande è un modo di dire roboante, che può farmi ridere se lo dice un comico anni ottanta, ma qui in pochi hanno più voglia di slogan pubblicitari da gelati confezionati. Un esempio? Ci si lascia un bel giorno con il proposito di ritrovarsi dopo le ferie per riprendere alla grande. E questa è una cosa che non capisco. Intanto una visione così sbilanciata su quello che già è un dato di fatto, lavorare come bestie per maturare un giorno di ferie ogni dieci giorni e rotti, lascia a intendere che stare in panciolle con moglie e figli sia una sorta di anticamera per la stagione lavorativa alle porte, quegli autunni che ogni anno sono sempre più caldi ma che ultimamente portano solo inondazioni e bizzarre quanto pericolose anomalie atmosferiche in un’area geografica che un tempo era il numero uno per il sole e le mozzarelle e oggi sembra di stare ai tropici con i lavorati latticini che tendono al blu. In secondo luogo, se la situazione era di merda anche prima non è che in queste due o tre settimane un team di fatine colorate si è dedicato a risollevare le sorti dell’economia locale girando azienda per azienda, senza far squillare allarmi dato il loro status di incorporeità, risanando bilanci, coprendo buchi, immettendo liquidi nelle casse, richiedendo commissioni, domandando preventivi, riconfermando contratti, ricostruendo lungimiranza imprenditoriale e risollevando umori a vari livelli. Quel giorno, quello dell’amara constatazione che nella vita il riposo è solo un di cui e che per molti è oggi, riaccendiamo computer ritrovando la stessa situazione di merda che è rimasta in stand by anche se abbiamo scollegato dalle ciabatte i dispositivi per evitare improbabili conseguenze da temporali ferragostani. Per questo nessuno ha intenzione di riprendere alla grande, perché è un modo di dire da sbruffoni che pensano che fare coraggio al prossimo sia solo una questione di modi di dire standard. Io alla grande non ho nessuna voglia di riprendere, e invito voi che oggi siete tornati in ufficio e come prima cosa siete venuti qui a leggere queste poche righe a fare mente locale che non c’è una virgola che si è spostata verso il meglio, in tutto questo tempo. Mandate a quel paese alla grande chi vi vuole sul pezzo con entusiasmo, non sta a voi far riprendere il tutto diversamente da come l’avete lasciato.

troppo in là

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Questo è il post in cui voi mi spiegate il perché nel 2012 c’è gente ancora costretta a prendere ferie in agosto come negli anni della Fiat e dell’Alfa  Romeo, così uno si ritrova a metà estate e le vacanze non sono mai come le vorremmo fare perché costa tutto il triplo, c’è bordello ovunque, le giornate sono già corte e, soprattutto, ci si arriva stremati tanto che uno poi non si rende nemmeno conto di averle fatte, o quasi. E quando torni c’è praticamente una nuova stagione già nel pieno tanto che non riesci a riprenderti con sufficiente prontezza e gradualità perché devi essere già al top quando ti eri appena ambientato al riposo che ti spettava e che, essendoti stato imposto in un momento sbagliato, non ha comunque fatto l’effetto dovuto. Valgono ovviamente paragoni con le ferie dei francesi, tedeschi e olandesi. Stupitemi.