famiglie allargate in spazi sempre meno ampi

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Ci dev’essere per forza una ragione che non riusciamo a comprendere, una cosa che supera in incommensurabilità non solo la legge fisica per cui gli aerei stanno in aria senza precipitare ma anche perché, tanto per dirne una davvero incomprensibile, presa una decisione si tratta quasi sempre di quella sbagliata. Del resto, se qualcuno di veramente intelligente ha messo nero su bianco teorie del calibro del principio di conservazione dell’individuo e prosecuzione della specie a supporto del fatto che, da sempre, ci piace sfornare prole in quantità esponenziale, chi siamo noi con i nostri algoritmi della minchia con cui al massimo programmiamo un eseguibile per rinominare in modo automatico una caterva di file per dimostrare il contrario? Volete mettervi sullo stesso piano di Darwin, tanto per dirne uno? Ah no, giusto per chiedere.

Ora il problema è che quando intendo quantità esponenziale è chiaro che, arrivati a non so quanti miliardi, qualche problema di overbooking sul pianeta ce lo dobbiamo porre per non arrivare poi, tra qualche secolo, a trovarci con il biglietto in mano pronti per vivere la nostra vita nella città di xy e trovarci il Salvini di turno che ci dice che i posti sono finiti. Andate in pace. Ma il problema di saturazione globale è ben più ampio e si manifesterà. Magari tra mille anni, ma può succedere. Qualcuno in sala ha un simulatore per darci qualche proiezione sulla popolazione mondiale nel 2915? Qualcuno ha mai pensato che questa teoria, che va tutt’ora per la maggiore, non ha tenuto conto dei limiti di spazio fisico?

E pensare che i nostri avi cagavano figli un po’ perché tutto sommato l’atto del farli è appagante, un po’ perché non c’era molto altro dal punto di vista della soddisfazione personale, e poi un po’ di forza lavoro in più tanto non guastava. Sto parlando di gente dalla vita media così corta che oggi, a quell’età, non abbiamo ottenuto nemmeno un contratto a tempo indeterminato e a malapena papy e mamy ci fanno usare la loro macchina per andare a vedere il concerto de Lo Stato Sociale. E forse è proprio questo aspetto che va a compensare la tendenza a perpetuarci all’infinito in un’area che, pur vasta, ha comunque i suoi limiti fisici anche considerando la superficie più inabitabile.

Tutto questo scarto tra la biologia che non lascia scampo – a un certo punto possiamo voler avere figli quanto vogliamo ma ci si mette di traverso la natura – e il nostro tenore di vita probabilmente arginerà la crescita demografica e arresterà brutalmente il numero di occupanti simultanei delle terre emerse. La gente oggi arriva a una certa età perfettamente realizzata grazie a tutti i surrogati che vanno a compensare gli istinti ancestrali che ci hanno portato sin alla modernità: la realtà virtuale dell’Internet al posto della vita sociale, pornografia a portata di mano che fa le veci alla vita coniugale e, soprattutto, gattini e cuccioli di Jack Russell al posto dei figli. Animali domestici in abbondanza da postare con orgoglio sul web a confermarci che sì, tutto sommato, se avessimo voluto saremmo stati davvero dei bravi genitori.

sempre al computer

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Il trucco, lo sapete, è quello di non farsi beccare con troppa frequenza con le mani nel sacco perché figli e compagne di vita non ammettono i comportamenti reiterati viranti al maniacale che è un po’ lo specifico maschile, da sempre e a ogni latitudine. Non so, immagino mogli svizzere nelle epoche precedenti alla rivoluzione industriale che riprendono i mariti rei di passare tutto il tempo libero a intagliare il legno, o bambini giapponesi che piangono con le loro madri il proprio papà sempre assente perché preso dall’arte dell’origami nel suo tempo libero.

Ed ecco l’elemento chiave che ci frega, quel tempo che noi consideriamo libero di essere riempito esclusivamente da attività che la nostra forma mentis impone come soggette a un metodo. Un fenomeno compulsivo che ci incastra in una sorta di monogamia all’estremo con un unico interesse. Vi vedo con le vostre navi di legno, pensierosi al cospetto di puzzle da milioni di tessere, nei vostri garage con la maschera da saldatori, seduti in riva a pozze d’acqua artificiali con la canna in mano, quella da pesca, in attesa che qualcuno o qualcosa abbocchi. Peccato che tutti questi catalizzatori di solitudini siano stati pian piano soppiantati da passatempi in cui la poesia, se proprio la vogliamo dire tutta, è piuttosto carente.

Papà è sempre al computer è quanto di peggio un uomo possa sentirsi dire soprattutto se colto in fallo proprio nel corso di un tentativo di moralizzazione genitoriale verso il proprio figlio. C’è poco da fare la ramanzina contro la svogliatezza di un pargolo o per costringerlo a spegnere la tv se poi noi, dal nostro pulpito fallace, diamo il cattivo esempio con le nostre attività virtuali. Fotografia digitale, musica digitale, narrativa digitale. Che non ci sarebbe poi nulla di male, credo, se avessimo un po’ più di senso della misura.

L’evoluzione dell’uomo, nel senso di genere maschile, prevede l’aver sempre qualcosa in mano di connesso alla rete e la conseguente immersione in quel brodo primordiale in grado di fornirci un’esperienza totalizzatrice mai vista nella nostra specie. Perché c’è tutto, ogni senso è appagato, persino l’olfatto con quell’odore della plastica hi tech appena spacchettata dal cartone di Amazon. Siamo pronti a sacrificare salute e felicità per proiettarci nel buco luminoso da svariati pollici che teniamo sempre acceso, in stand by o protetto da custodie di fabbricazione cinese, laptop o tablet o smartphone sempre nel quadro visivo per riuscire a dare un’occhiata quando non ci vede nessuno o fottendocene bellamente, a costo di fare la figura di quelli che della tecnologia oramai sono dipendenti.

Così questa schiavitù a banda larga metterà la parola fine alla nostra attendibilità di educatori, e non ci sorprenderemo più di essere rappresentati nei disegni dei nostri figli un po’ separati dal nucleo famigliare, con lo sguardo rivolto altrove, molto più piccoli rispetto al resto dell’ambiente abitativo, tutti presi dalla nostra passione per Internet mentre il resto dei nostri cari, colorati e almeno sulla carta lieti animali domestici compresi, si tiene per mano.

politiche familiari

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Ci sono i dialoghi che si fanno solo al sabato mattina tra moglie e marito quando l’atmosfera è perfetta per lasciarsi crogiolare nella sicurezza del primo giorno festivo, consapevoli che ce n’è ancora uno dopo. Che poi è il ragionamento che facciamo tutti, per illuderci che quei due giorni che l’economia ormai ci ha persuaso essere meri separatori della settimana lavorativa siano tre o quattro. Fuori è tutto grigio, sul piatto (per modo di dire) c’è l’ultimo dei Sigur Ros, la bambina si gode ancora il sonno del primo giorno di vacanza, e entrambi conveniamo che quando si parla di tutela della famiglia, al di là della sua composizione, quando si pensa alle agevolazioni economiche per ogni figlio, quando si dice che è bene incentivare i giovani a rendersi indipendenti e a creare la propria, si sposta il vero nocciolo della questione: uno sceglie con la massima accuratezza la persona con cui passare la propria vita e poi è costretto a trascorrere otto ore al giorno per cinque giorni alla settimana con gente di cui non gliene frega un cazzo. Per non parlare dei contratti del commercio e della babele di turni degli esercizi commerciali, quelli che il sabato e la domenica se la passano dietro una cassa con la pistola RFID in mano. Il fatto è, e credo di interpretare i desideri di molti, che non vogliamo più soldi, non vogliamo incentivi e non vogliamo agevolazioni, tantomeno recuperi. Vogliamo solo più tempo da trascorrere insieme, più mattine da dedicarci, più pomeriggi per giocare con i nostri figli, più serate per vedere film insieme senza l’assillo del doversi svegliare alle sei la mattina seguente per andare in ufficio. E fa sorridere l’enfasi delle iniziative istituzionali dedicate alla cura dei nuclei famigliari, quelli che si chiamano pure “family day” come se il giorno per noi e i nostri cari fosse una sorta di animale in via d’estinzione. Il giorno della famiglia, o della coppia in tutte le sue varianti, il giorno da trascorrere con chi amiamo dovrebbe essere ogni giorno in cui ne abbiamo bisogno. Che la sostenibilità parta da qui, da questo divano, dall’armonia tra noi e i nostri simili. Un programma così vincerebbe qualunque elezione.