contribuite a rendere la mia giornata unica

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Noi frequentatori abituali di Facebook abbiamo due grandi vantaggi nelle relazioni: intanto possiamo farci i fatti degli altri come mai accaduto nella storia dell’uomo animale sociale e, volendo, osservare la vita delle persone con cui siamo in contatto da un punto di vista nuovo che è quello delle loro interazioni con gli amici che hanno, in comune e non. Il secondo plus è venire a conoscenza delle abitudini, delle passioni, degli hobby e del modo di trascorrere il tempo al di fuori della sfera in cui li conosciamo e frequentiamo, e intendo la vita privata di chi conosciamo pubblicamente e, viceversa, la vita pubblica di chi conosciamo privatamente. L’esempio più classico è il collega bonaccione che posta i video di gruppi dall’inequivocabile stampo neonazista, il fornitore che fa le foto alle ragazze svestite, la mamma del compagno di classe di tua figlia che crede alle streghe o la cugina in seconda di tuo marito che arrotonda lo stipendio spacciando prodotti di bellezza fintamente naturali con la logica della vendita piramidale.

Da questo punto di vista Facebook è un’ancora di salvezza perché certi anfratti nascosti della gente difficilmente si riescono a scoprire nel contesto abituale. Diverso è quando necessariamente vengono allo scoperto grazie alla rete di relazioni che permette una vista a tutto tondo sugli individui. Non è sempre un decorso o un risvolto negativo, nel senso che su Facebook si possono anche fare scoperte sorprendenti tali da aumentare la stima di chi conosciamo solo parzialmente. Gente che non diresti mai che si spacca di volontariato, passa giornate a visitare grotte tutta bardata da speleologa, giornalisti nerdissimi che saltano da una maratona all’altra con una leggerezza più che invidiabile, muffonazze che ascoltano la tua stessa musica, conoscenti timidissimi che online si trasformano in simpatici logorroici, geometri casa e chiesa che bestemmiano sul web, serissimi ingegneri che postano foto di boccali di birra a metà, in ogni momento della giornata, e che prima di mettergli in mano la sicurezza informatica della tua azienda, in effetti, ci penseresti due volte. Io credo di esser sempre stato invece trasparente, anzi fin troppo banale: letteratura americana, musica, gatti, famiglia, sociologia della comunicazione, stupidaggini, un po’ di architettura, corsa ignorante, tecnologia, social network ma, se ho dimenticato qualcosa, datemi una mano voi a completare la lista.

deadbook

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Da quanto tempo siete su Facebook? Tre anni? Cinque? Otto? Io dal dieci ottobre 2017, quasi dieci anni anche se non lo dimostro, ma non ve lo dico per fare quello che c’era già prima che diventasse un fenomeno di massa, perché come per tutte le cose c’è sempre qualcuno che ce l’ha più lungo, in questo caso il passato. Il punto è che, se siete da anni sul socialcoso di Zuckercoso lì, avrete già avuto occasione di sperimentare la morte su Facebook. Non la vostra, altrimenti non saremmo qui a parlarne. Intendo qualcuno che nel tempo vi ha lasciato.

La morte online, considerando che nulla è più eterno del dato digitalizzato, è l’aspetto paradossale dell’eternità virtuale. Profili fotografici che non invecchiano mai, cose scritte che restano nella cache di Google nei secoli dei secoli, attimi colti e resi immortali da meme perenni, errori altrui anche di un secondo ma portati all’estremo e c’è persino gente che si suicida per queste cose ed ecco che il cerchio si chiude perché può capitare che qualcuno dei vostri contatti ci lasci le penne (toccatevi forte come lo sto facendo io).

Tra i miei 647 amici in senso facebookiano ne ho tre morti certificati, nel senso che è gente che più o meno conosco e so essere defunta. Scusate il cinismo e non prendetelo come mancanza di rispetto, è che la leggerezza della rete che è più o meno equivalente ai ventun grammi del peso dell’anima rende tutto un gigantesco quanto imperituro baraccone di cose online, colori sgargianti, tutto e il contrario di tutto, eccessi e finto rigore, un rondò finale dove tutti esagerano nelle loro peculiarità e, proprio come in questo post, non ci si capisce un cazzo.

E il paradosso è che le pagine di questi tre che so per certo essere morti continuano ad essere attive. Gente morta taggata da altri sui cui diari compaiono inviti a eventi o iniziative varie. Ogni tanto qualcuno posta un pensiero giustamente triste, in occasione dell’anniversario di morte fioccano i post di affetto, i ricordi degli amici. A me spiace un po’ che ci sia un sistema che consenta questa simultaneità tra la vita e la morte, che solo l’Internet e qualche drammaturgo del passato hanno reso possibile, e spiace soprattutto quando nel box degli amici a sinistra in basso compaiono le loro foto profilo. In mezzo ai colleghi, ai maître à penser del marketing digitale, ai musicisti con cui sono in contatto, parenti e amici di ogni ordine e grado ci sono quindi anche i morti, non tantissimi ma tre di sicuro e certificati a meno che, nella pletora di quelli che ho aggiunto o si sono aggiunti a questo enorme blob relazionale, non ci sia qualche sconosciuto di cui non ho sentito più parlare o letto status alcuno e il motivo è perché, non si sa quando o come, è morto anche lui. A lato, in basso a sinistra, tra il giornalista esperto in cyber-sicurezza e la mamma dell’amica di mia figlia e il mio ex principale che fabbrica pasta con farina di insetti in Tailandia ogni tanto compare un fantasma, non so come altro definirlo, qualcuno che non c’è più ma che ha una piattaforma numero uno in borsa che lo mantiene, a suo modo, in vita.

perché gli stupidi si sentono sempre tirati in ballo?

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Quelli che vedete nella foto qui sopra sono i miei tre più importanti pensatori di riferimento, in realtà il terzo manca perché sarebbe mia figlia, abbiamo fato una foto proprio lì con quei due baffoni durante una vacanza a Berlino di almeno 5 anni fa che però non metto per evidenti questioni di privacy, e anzi manca il quarto che è mia moglie e che, al netto di quei piccoli battibecchi sulla quotidianità che caratterizzano le coppie dopo decenni di matrimonio, comunque resta anche lei un elemento fondamentale e spero avrà la pazienza di sopportarmi in modo da poterlo essere ancora per molto. Ma la vera notizia è che mia figlia, che ora di anni ne ha tredici, da qualche mese mi surclassa in saggezza, mentre mi umilia ampiamente in popolarità sui socialcosi ormai da anni, non vi rivelo perché mi vergogno lo scarto di follower su Instagram tra me e lei ma vi dico solo che è a quattro cifre e, al momento, senza aver utilizzato alcuna foto biotta (che in milanese vuol dire senza vestiti).

Per il resto ha sempre consigli appropriati, maturità di qualche tacca superiore alla mia e anche buon gusto, che non guasta mai. Il titolo di questo post, per dire, è una sua massima che ho trovato oltremodo illuminante e che ho pensato di applicare, come metro di giudizio, ancora una volta a Facebook che vi giuro che se non fosse che devo usarlo per lavoro e per gestire alcune pagine con il mio profilo (e non mi riferisco al profilo piuttosto arzigogolato, quello fisico vero e proprio, nel senso della skyline della mia faccia) lo avrei chiuso da tempo.

Non vi annoia Facebook? Non ho nulla contro zuckercoso ma contro la gente che, su Facebook, ormai non dà nemmeno più il peggio di sé perché del peggio di sé oramai è rimasta a secco. Vi dico solo che il dibattito sul PD mi rende interessanti persino le discussioni sulla Juventus, che quelli che si mettono in mostra con le esondazioni del loro ego li ho già nascosti da mesi e che le vostre opinioni mi danno la nausea quasi più delle mie. Restano certe pagine culturali ma poi quando anche le futilità di Facebook si arrogano la condizione di letteratura (ne parlavamo qualche giorno fa) è il segnale che i socialcosi ormai sono solo ripiegati su se stessi e quindi, se cerchiamo spazio, è meglio sloggiare da lì perché è tutto occupato, e andare da qualche parte. Per esempio qui, perché no? Non vi diverte chiacchierare con me? Ricordatevi che sono cintura di nera di ascolto del prossimo. Ma la massima di mia figlia, “perché gli stupidi si sentono sempre tirati in ballo?”, sembra tagliata su misura per il vostro alter ego su Facebook, perché se vi fate un esame di coscienza, ammesso che siate in grado di superarlo, ne dedurrete che anche voi con la vostra coda di paglia siete in prima linea nel sentirvi coinvolti dai post di tutto il vostro entourage, nemmeno se la gente non facesse altro che pensare a voi anziché a se stessa.

Comunque, se volete sapere che cosa vale la pena seguire sul social network più popolato del pianeta, ecco i miei consigli: i botta e risposta a colpi di immagini fuori da ogni immaginazione tra Silvia e Chiara e che non so chi siano ma stanno riformulando i canoni di comunicazione e di enternainment su Facebook, poi Carlo Bertotti e Flavio Ferri dei Delta V che stanno scaldando i motori in vista di un nuovo album alle porte, quindi Eschaton che è uno dei maggiori filosofi dei nostri tempi e, manco a dirlo, la bellissima pagina situazionista di Plus1gmt. Mi raccomando: laikate come se non ci fosse un domani.

anche voi quando un amico di gioventù vi tagga in una foto iniziate a sudare freddo?

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Oggi il mio smartcoso ha ronzato proprio mentre mi mancava una facciata al termine di Incendi di Richard Ford, titolo originale Wildlife, che non so se sapete che sta per essere adattato in una storia per il grande schermo. Il punto è che riesco a capire dall’intensità del rumore prodotto dal mio smartcoso di cosa si tratta. Se sono belle o brutte notizie, se è spam che mi arriva in posta, se ricevo una mail importante (come quella che mi è arrivata il 10 agosto scorso e che per ora rimane un segreto tra me e me) o se mia figlia è stata convocata in squadra per la partita del successivo weekend. E anche se il suono o il ronzio se ho impostato la vibrazione è sempre quello, oggi ho capito subito che qualcuno mi aveva taggato in una foto su Facebook.

Ora, non so voi, ma quando un amico di gioventù mi tagga in una foto inizio a sudare freddo. Già mi immagino ripreso mentre preparo uno spinello con gli amici, o mentre vomito nel vicoletto dietro al Mokambo, o mentre vado al sodo con Lisa sul taxi alle quattro del mattino e il taxista fa finta di niente. E già vedo tutti i miei colleghi, i clienti dell’agenzia in cui lavoro, i genitori degli amici di mia figlia, i parenti di mia moglie, tutti gli amici del social network che decide il bello o il cattivo tempo che mettono la faccina del ribrezzo sotto a quell’effigie di un tempo dissoluto di cui ora non restano nemmeno i capelli.

E anche oggi ho avuto ragione, e la foto era solo apparentemente abbastanza innocua. Una gita in quarta superiore con dietro un notissimo monumento capitolino, io come al solito il più alto rispetto al resto della mia classe tutta femminile – facevo le magistrali -, con il mio trench grigio e la cresta dark punk, immortalato mentre sembra stia cercando di avvisare il fotografo (di cui non ricordo assolutamente l’identità) di attendere qualcuno che vuole presenziare nella foto di gruppo insieme a noi. A noi, appunto, perché il braccio alzato verso l’obiettivo ha tutta l’aria di sembrare un saluto fascista. Ecco, per uno sbilanciatissimo a sinistra come ero io ai tempi, una foto più umiliante di così non poteva capitare. Non esistevano le digitali e non si poteva avere una preview del risultato, e così l’autore l’ha stampata senza pensare a quel significato che, forse, vedo solo io. Avrei preferito, davvero, dovermi vergognare per una canna accesa in mano.

ti va di salire a vedere la mia collezione di contatti su Facebook?

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Non so come funzionino gli algoritmi di Facebook, ma se il numero degli amici supera i cinquecento a parte essere delle vere star delle relazioni online potete stare certi che vi capiterà 1) di non sapere di cosa e di chi si compone la vostra chiamiamola fan-base e 2) che i contatti con cui avete meno interazioni finiscano nei meandri più sotterranei della vostra comunicazione e finisce che non avete il controllo di chi vede le vostre cose. Magari c’è qualche infiltrato terrorista che origlia le vostre conversazioni o, più facilmente, alle origini della vostra vita social siete stati un po’ di bocca buona nell’accettazione dei contatti che hanno bussato al vostro profilo. Il mio consiglio è quello di spulciare nell’elenco dei vostri amici con una certa frequenza e ogni volta procedere alla rimozione dei rami secchi, e scusate la brutalità. Qualcuno che è anni che ha abbandonato la sua pagina, quelli che nel frattempo sono diventati grillisti e soprattutto tutti quelli che proprio sono riuscite a ricondurre a nessun momento importante della vostra vita. Passare in rassegna la lista dei contatti può riservarvi delle sorprese. Per esempio ho scoperto di essere amico di Andrea Scanzi. Non ci credereste, vero? Eppure ricordo di essere entrato in contatto con colui che in quanto a presenza in tv è superato solo da Salvini anni e anni fa, prima della sua fama da gruberista d’assalto, e sono quasi certo si tratti del profilo privato ufficiale. L’amicizia Facebook di certi personaggi famosi un giorno varrà tanto quanto oggi spenderemmo per acquistare un pezzo raro che manca alla nostra collezione di qualcosa. Ne volete sapere un’altra? Ero tra i primi cinquemila contatti di Adinolfi, ancora non chiedetemi come sia possibile, ma poi mi sa che mi ha rimosso perché ora non ci sono più, questo significa che mi devo far bastare Scanzi fino a quando non scoprirà il mio astio nei confronti della Casaleggio e associati. Per farvi un altro esempio, ieri ho avuto l’accesso al profilo Facebook di Marco Cattaneo, Direttore di National Geographic Italia che ha raggiunto la vetta della fama eterna per aver fatto fare a una grillista ferrarese una figura di merda epocale, se non sapete la storia leggete qui. Verrà insomma il giorno in cui le collezioni di amici su Facebook potranno valere un sacco di soldi e faranno la differenza quelli che sono abili a fiutare i trend e le celebrità del futuro. Anzi, se vi occorre una consulenza o un talent scout sono a vostra disposizione.

vuoi più bene alla Pasta Rummo o a Pasolini?

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Vuoi più bene alla Pasta Rummo o a Pasolini? Il mare magnum dell’informazione su Facebook, in cui l’ennesimo ricordo del quarantennale della sua uccisione sta una riga sotto alla gif animata di Venusia che spara le sue tette al nemico e una riga sopra di uno strascico di Halloween della notte prima, non è o almeno non dovrebbe essere la prima volta che ci fa riflettere. Se è informazione, ma davvero ci piace informarci così? O se invece di entertainment si tratta, ci diverte davvero? Se la risposta è sì, vai all’ultima riga. Se la risposta e no, c’è da chiedersi se sbagliamo noi a illuderci che Facebook sia una meta-blog in cui convergono le opinioni e contenuti di persone interessanti quando invece le persone in questione sono la vicina di casa, il collega scoreggione, l’amico delle elementari, la cugina di secondo grado che a malapena ti ricordi che faccia abbia e che quindi lo stream delle cose che leggiamo sono i loro punti di vista. O sbagliamo noi a credere che Facebook sia la vita, la realtà, in cui si convince il prossimo, gli si fa cambiare idea, lo si imbarca in battaglie ideologiche e lo si coinvolge in campagne che salveranno il mondo, daranno una svolta a questo paese, indurranno multinazionali a non vendere più carne rossa, leggeranno il nostro blog, faranno cambiare idea al papa, al presidente, al re o al sindaco? Possiamo osservarci già intorno per capire se ci sono gli effetti dell’acriticità con cui pensiamo, ci esprimiamo, leggiamo, condividiamo. Possiamo soprattutto osservarlo su Facebook e l’occasione di certo non manca. Non credo che ripetere mille volte le stesse cose consenta di produrre materiale utile a ergere, come castori dell’Internet, robuste dighe utili a contenere le piene di modernità liquida che – come abbiamo provato sulla nostra esperienza – basta un evento particolare a provocare esondazioni e annegare migliaia di persone al giorno. Succede con quella cazzo di carne cancerogena come con la medaglia d’oro del rugbista neozelandese che sembra aver lo stesso peso dei matrimoni gay e della pasta Rummo per non parlare degli ulivi, il compleanno di Bud Spencer, Ritorno al Futuro e Pasolini. Ma fino a ieri dov’erano tutte le vostre belle citazioni di Pasolini? E i marò? Pensate a tutti i contenuti e le considerazioni che si vedono passare in un numero di volte direttamente proporzionale alla quantità di contatti – magari anche quelli sinceri – che avete su Facebook sia nella loro versione originale, cioè lo stesso articolo che si ripropone come una peperonata mangiata a mezzanotte, sia nelle opinioni genuine e rispettabili la cui sovraesposizione però, come potete immaginare, alla lunga rompe il cazzo. Riusciamo persino a renderci invise cose come la commemorazione di uno dei più importanti intellettuali della seconda metà del novecento. Ma è rimasto qualcosa di sacro a parte l’osso? Il problema non è Facebook ma siamo noi. Andiamocene. (questa era l’ultima riga)

firma qui per riavere online “A pàggina de Bèllo Segnù”

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AGGIORNAMENTO: “Bèllo Segnù” è risorto!! https://www.facebook.com/bellosegnu

Troppo spesso ci dimentichiamo che molti dei beni che utilizziamo quotidianamente non sono un nostro diritto o ci sono dovuti. Il fatto che usiamo magari anche per lavoro certi programmi e, soprattutto, che passiamo ore su alcuni spazi del web che oramai diamo per scontato non ci deve autorizzare a pensare che siano pubblici. Pensate a Facebook, che oggi consideriamo una utility alla pari di luce, gas e carburante. Non dovremmo mai dimenticare (e chi era su FriendFeed l’ha provato sulla propria pelle) che si tratta di servizi privati, dietro ai quali ci sono decisori che possono fare quello che vogliono e anche scegliere arbitrariamente che cosa può rimanere online e cosa invece cancellare. Io stesso sono ospite qui su WordPress e spero che esista per sempre. Ogni giorno dovrei ringraziare il signor WordPress per l’ospitalità, non è così banale, sapete. Quante volte ci siamo indignati perché un contenuto su Facebook è stato rimosso o, viceversa, lo abbiamo segnalato perché ci dava fastidio? Non riesco a immaginare questa stanza dei bottoni tutta blu nel regno di Zuckerberg dove opera il board di controllo sui miliardi di cose che un’umanità oramai senza speranza riversa ogni secondo, quali algoritmi – se di algoritmi si tratta – riescano a esaminare pixel per pixel video e foto per distinguere quelle innocue da quelle ossessive.  E quando interviene la censura siamo tutti i charlie di questo o quest’altro dimenticando che Facebook è un’azienda privata, con un capo, dei responsabili, gente che lavora applicando policy di controllo, investitori e, considerando la diffusione, ha gli occhi di tutte le istituzioni mondiali addosso. Se volete uno spazio dove fare i vostri comodi, bestemmiare, inneggiare al duce in tutta tranquillità dovreste comprarvi dei server e farvi un sito o una piattaforma social indipendente, open, come del resto già ce ne sono. Gli stessi principi che Facebook applica per la rimozione di contenuti inappropriati sono oggetto di sterili discussioni. Perché il materiale presunto blasfemo sparisce che è un piacere mentre i gruppuscoli neo-nazi e tutta la fuffa anti-rom o apertamente razzista rimane? Questo è un mistero ma, ripeto, Facebook non è un ente pubblico e – ci piaccia o no – può fare quel che vuole.

Detto ciò, stamattina ho amaramente constatato che la pagina Facebook “A pàggina de Bèllo Segnù”, una trovata esilarante e tutt’altro che irrispettosa verso la religione (qui trovate un articolo su Repubblica) non è più online. Uno spazio in cui venivano pubblicati dipinti o immagini sacre con didascalie decontestualizzate in genovese, un’iniziativa davvero divertente e in grado di risaltare nelle tonnellate di battute di gusto elementare con cui la gente oggi si crede arguta solo perché ha un profilo online. Non so se si tratti di una decisione dell’autore, cosa di cui dubito considerando il successo che stava avendo, oppure se il comune senso del bigottismo abbia ancora una volta annebbiato la lucidità del fantomatico comitato di controllo della piattaforma social. O magari, davvero, qualche programmatore ha messo a punto degli algoritmi tutti a forma di croce adinolfiana. Ecco, spero vivamente che la pagina di Bèllo Segnù sia indisponibile solo temporaneamente, magari un guasto o una svista o una di quelle rogne informatiche che ci capitano di continuo, e se qualcuno l’ha oscurata spero che il suo pedante oscurantismo gli si ritorca contro.

Grazie a Chiara Salvarezza si può firmare la petizione qui

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volevo dire che ho avuto un anno meraviglioso

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E se è così anche per voi fate attenzione perché non è proprio come Facebook ci fa credere che sia stato. Perché se Amazon sostituirà Babbo Natale nella tradizione, come dicevamo qualche giorno fa, è evidente che Facebook sta facendo di tutto per prendere il posto dei nostri cari, dei nostri amici più intimi, persino dei coniugi, degli amanti e dei parenti che vivono oltreoceano. Pensate al danno emotivo che ci stanno facendo le conversazioni scritte lungo i socialcosi e alla faccia con cui vi osservate muti di fronte alla persona in carne ed ossa dal cui incontro fisico non potete certo esimervi, prima o poi, se fate sul serio. Moltiplicate tutto questo per 365 giorni di cose condivise ed ecco il calendario di fine anno messo insieme da un algoritmo anaffettivo che ha pescato con un criterio di approssimazione da un database colmo di quei big data di cui tutti si riempiono la bocca. Ne esce, nel mio caso ma vi invito a condividere la vostra esperienza, un coacervo di indicazioni sul proprio modo di essere online che vi accorgerete non essere nemmeno utile per una semplice carrellata degli ultimi dodici mesi. Senza contare che la copertina e il fulcro di questo blobbone di scampoli di vita alla rinfusa, e stavolta parlo di me, è una foto di mio papà che accompagna all’organo una corale che ho postato la sera in cui è mancato. Certo, non si può dire che non sia stato quello il motivo per cui mi verrà da ripensare al 2014, sta di fatto che la proposta indistinta di uno strumento di questo tipo a milioni di utenti mi sembra oltremodo rischiosa. Avete capito, vero, il funzionamento? Potete scorrere i vostri ricordi più recenti, personalizzare la copertina, scrivere le didascalie, manca solo un modo per mandarlo in stampa e farselo recapitare. No, questo non si può fare, stavo scherzando, ma è possibile invece condividerlo con i propri contatti ma potete essere certi che nessuno verrà mai a rivangare con voi quello che è stato. Questa compilation di cose apprezzate a suon di like ha la stessa consistenza di quando incontri qualcuno e ti chiede come stai per educazione, e tu non puoi non rispondergli che va tutto bene, per evitare approfondimenti su qualunque cosa esca dai canoni della convenzione sociale e di quella attitudine alla convivenza superficiale che ci fa ammettere un sistema basato su questo genere di contatti virtuali. Per questo volevo solo dirvi che ho avuto un anno meraviglioso. Credetemi, è andata proprio così e non c’è bisogno di aggiungere altro.

richieste di amicizia

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Ho le prove per cui il seguente processo:

– noto un conoscente su Facebook che non vedo da secoli
– dopo una lunga riflessione decido comunque di chiedere l’amicizia
– il conoscente che non vedo da secoli accetta immediatamente e avvia una conversazione privata
– al terzo scambio di convenevoli il conoscente mi chiede di vederci una sera per bere una birra
– lasco cadere nel nulla l’invito
– termino la conversazione privata con una scusa
– mi pento di avergli chiesto l’amicizia, malgrado la lunga riflessione

è piuttosto comune.

esclusivo: ecco la verità sulle intercettazioni

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Tra le ennemila cose di cui si lamenta la gente al bar, consumando un veloce caffè all’alba con i colleghi prima di mettersi davanti a Facebook durante l’orario lavorativo, ci sono giustamente i fastidi da privacy violata. Ma come, una mette un suo selfie tutto scollacciato per impressionare la propria fan-base di spasimanti e subito c’è il collezionista di porno amatoriale che prontamente se lo scarica e se lo condivide con il mondo sul suo sito personale pieno di foto di gente comune che – cosa assolutamente naturale – si mette volontariamente in reggipetto e mutande sui social network? Che tempi, signora mia.

Ma anche l’interessato interlocutore di questo sfogo da tempi moderni ha di che lamentarsi contro il web impiccione. Dice che qualche giorno fa aveva intavolato un’accesa discussione con un paio di colleghi in metro sull’inflazione dei job title nel nostro sistema produttivo ed economico. Durante quel dialogo tra pendolari lui sosteneva che al giorno d’oggi tutti sono manager di qualche cosa. Basta sorteggiare a caso un biglietto da visita e leggere l’incomprensibile carica in inglese seguita dall’universale ruolo di manager, la percentuale di non capire che cosa uno fa di lavoro è elevatissima.

I tuttofare che girano per le sedi delle grandi aziende con la ferramenta appesa alla cintura come Dwayne Schneider, il portiere del telefilm “Giorno per giorno”, ora si chiamano Building Manager e Facility Manager. I tecnici il cui intervento viene richiesto dalle segretarie quando si inceppa la carta nella stampante o finisce il toner si chiamano IT Manager come chi gestisce il Data Center della NSA, e quando qualcuno chiede a uno di questi responsabili di quante persone è composto il suo team, può mostrargli cavetti, mouse e periferiche varie. Ma le persone con cui derideva questa impropria deriva delle posizioni apicali non erano poi così concordi, probabilmente – secondo quanto stava raccontando l’uomo alla aspirante pin up da like di autoerotismo digitale – anche loro avevano qualche scheletro nell’armadio. Basta pensare alla facilità con cui è possibile procurarsi biglietti da visita oggi, ogni due per tre cancelliamo spam di promozioni a prezzi stracciati, e il fatto che siano così frequenti implica che c’è domanda di cartoncini di auto-promozione che poi uno impiastra a piacimento.

Ma tornando al caffè e alla privacy, l’uomo sostiene di aver letto uno stralcio di quella conversazione tenuta sulla metropolitana su un blog, come se qualcuno assistendo al dialogo avesse tenuto a mente i passaggi salienti e li avesse riportati in forma di racconto. Cosa che sembra aver scoperto per caso. Arrivato in ufficio, forse con lo scopo di argomentare meglio la sua tesi sui vari *.manager che si trovano in circolazione, aveva googlato qualche parola chiave sull’argomento e si era trovato di fronte a una versione in differita e piuttosto fedele di quanto accaduto qualche ora prima, sulla linea gialla. Che cosa assurda, commenta la ragazza dopo aver ringraziato il collega per il caffè offerto, magari in proiezione di una futura amicizia su Facebook e il conseguente accesso alle foto di lei in costume da bagno. Come se ci fosse qualche folle maniaco che vive prestando attenzione a quello che dicono gli altri e facendosi gioco della gente che, ignara, si ostina a socializzare nella vita reale.