che cosa stiamo rischiando

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Se avete avuto la pazienza di fermarvi a seguire le pillole di “Rischiatutto” che Raitre trasmette – credo ogni sera – verso l’ora di cena avrete constatato, come ho fatto io, che tutto sommato può trattarsi di un’operazione di successo o almeno attirare il pubblico boccalone come me. La formula del casting dei concorrenti in puro stile talent show ma in una scenografia da Telecapodistria negli anni di Tito è in perfetta linea con i nostalgici delle istituzioni ai tempi del bianco e nero, per non parlare del principio fondamentale del quiz stesso. I partecipanti si presentano, come saprete, con una materia a loro scelta il che è encomiabile nella babele delle conoscenze povere dei programmi a domanda e risposta multipla a cui siamo abituati. È inevitabile infatti la comparazione tra la miseria nozionistica di chi canna persino il ruolo del presidente del consiglio e gente che arriva alle selezioni super-specializzata in un argomento verticale e non si lascia fregare. La letteratura italiana medievale. L’arte paleocristiana. Moira Orfei. Io queste persone le invidio moltissimo perché anche a me piacerebbe sapere tutto di qualcosa e non solo perché così mi sarei anche offerto volontario per le selezioni davanti a Fabio Fazio che tra l’altro è mio concittadino e sono certo che si ricordi di me. Saper sviscerare un argomento nella sua completezza. Conoscere qualcosa dall’inizio alla fine.

Esistono certe materie di cui ho una certa competenza, non lo metto in dubbio, ma si tratta di un sapere parziale e limitato a certi dettagli che ho tratto per portare con me. Per dire, non potrei sottopormi a una batteria di domande sui The Cure ma solo dalle origini fino a “Wish”, l’album del 92, per intenderci. Rischiatutto è così, prendere o lasciare. Io lo conosco bene perché avevo anche il gioco in scatola con il tabellone arancio con i buchi in cui si inserivano le schede, e la preziosissima riproduzione della inconfondibile montatura degli occhiali di Mike Bongiorno negli anni 70.

Vedete? Alla fine a Fazio questo genere di cose è ciò che gli riesce meglio. Non ha mordente come intervistatore ma ha il culto degli anni della nostra comune infanzia, aspetto che già avevamo constatato ai tempi di quel programma che si chiamava “Anima Mia”. Sono certo che poi la trasmissione sarà un successo nell’Italia democristiana di ritorno di oggi, piena di somiglianze con quella di Gui e Tanassi anche se quest’ultimo era socialdemocratico, e i fenomeni che ora si avvicendano nella fase di selezione dei concorrenti passeranno alla storia come l’x-factorista di turno ma grazie a certe attitudini che oggi non apprezziamo più nella gente. Sapere tutto di qualcosa, che sia Chopin o Cristina D’Avena, è una qualità che non serve più, e lo sapete anche voi che la causa va individuata un po’ nell’impoverimento a cui ci siamo votati – quindi in noi – e in parte negli strumenti che ci hanno impoverito, in cui tv e Internet la fanno da padroni. Per un attimo, comunque, vedendo i futuri campioni del Rischiatutto di Fazio esercitarsi a schiacciare il pulsante, ho pensato che in realtà c’è un argomento in cui sono ferratissimo e che è me stesso. Con tutta l’attenzione che mi dedico potrei ripetermi a memoria come un canto della Divina Commeda.

basta mezz’ora a farsi un nuovo amico

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C’è sempre qualcosa di peggio e questo è uno dei paradigmi che ci consentono di sopravvivere. C’è sempre qualcosa o qualcuno che segue a ruota qualcos’altro in un più o meno oggettivo metro di giudizio, e siamo sempre i primi a dire che è riduttivo ricaricarsi l’autostima guardando sotto ma poi lo facciamo tutti e allora forse non è poi così sbagliato. Mi sono trovato a criticare Fabio Fazio per il suo modo troppo remissivo di condurre le interviste che va bene con chi ti trovi a tuo agio, ma con mezze calzette maxi-squali del mini-calibro di Brunetta poi ti accorgi che della buona educazione in tv di Fazio ce n’è davvero bisogno. Non solo: a me viene spesso da prendermela con Renzi per il tipo di PD che incarna che non è certo il PD che intendo io e che vorrei. Poi però basta un’intervista di Lucia Annunziata a farmi prendere le sue parti – le sue di Matteo Fonzie Renzie, avete letto bene – contro quel tipo di giornalismo ignorante e superato la cui rottamazione sono pronto a sostenere.

per la massa

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Quando il giornalista o il presentatore di un programma di informazione diventa una sorta di mediatore culturale con il pubblico, non lo fa certo con il fine umanitario di rendere l’esperienza dello spettatore più facile e piacevole. Anche perché o si tratta di un Gad Lerner, così acuto ed elevato da trovare la sintesi di tutto, e l’interpretazione di quanto accade durante il suo programma è il programma stesso. In tutti gli altri casi è solo il demerito di una personalità impropriamente ingombrante che pervade l’anchor man di turno, perché non occorre essere Umberto Eco, da questa parte dello schermo, per capire il senso di quello a cui si assiste e si ascolta anche senza l’intermediazione del Fabio Fazio o Enrico Mentana di turno. Ops, volevo tenermi i nomi per la fine del post e non farvi capire subito di chi stessi parlando, mai che riesca a creare un po’ di suspense.

se la tv on demand non rispond

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Volevo scrivere qualche considerazione su Jonathan Franzen, il nuovo romanzo “Libertà” (ho solo 6 prenotazioni in biblioteca prima della mia, un totale ad oggi di 38, il momento della lettura si avvicina), di quanto ho apprezzato “Le correzioni” e “Forte movimento”, di quanto mi coinvolga la sua scrittura. Volevo approfittare di alcuni spunti emersi durante l’intervista all’autore sabato scorso a “Che tempo che fa”, particolari che avevo notato anche io nelle sue opere precedenti tanto quanto la persona seduta nella metà sinistra dello schermo. Volevo sottolineare qualche collegamento, qualcosa che mi sembrava intelligente. E per pubblicare un post completo di fonti e richiami, ma anche per controllare che quanto avevo sentito durante la trasmissione fosse davvero quello che ricordavo, passaggi che avevo pensato di lasciar decantare per non scrivere mosso dall’entusiasmo, a caldo, sono andato su youtube a cercare l’intervista. Toh, non è stata ancora pubblicata (ultimo aggiornamento: le 19.29 del 23/03). Il che è curioso: Santoro, Littizzetto, Travaglio e altri fenomeni televisivi sono disponibili già a pochi minuti dalla fine dei loro interventi. Peccato che uno dei più noti e bravi (e anche un po’ di moda, diciamolo, ma, come si dice da queste parti, in sci veghen) scrittori contemporanei non sia altrettanto oggetto di culto (mi direte: perché, se ci tieni tanto, non lo metti on line tu?).

Vabbè, poco male, vado sul sito della RAI, sicuramente lo trovo lì. La prima volta, mi viene chiesto di scaricare Microsoft Silverlight, che, a dir la verità, non so nemmeno se si tratti di un plug in o che altro. Ma tale è il desiderio di rivedere Franzen, di non lasciarmi scappare le cose che vorrei scrivere che clicco il consenso all’installazione senza pensarci su, qualsiasi cosa sia. Magari è uno spyware di Microsoft che serve a identificare programmi craccati. Sono fritto. Speriamo di no.

Poi però metto a fuoco il nocciolo della questione: il fatto che un portale come quello della RAI utilizzi una tecnologia di streaming differente da Youtube, che, per quanto ne so io, è  la più comoda e funziona con qualsiasi sistema operativo e qualunque browser. Da sempre ho il mito dell’integrazione, dell’interoperabilità tra ambienti e dell’utilizzo di sistemi standard, il tutto favorito dall’uso del protocollo IP. E penso anche che il servizio di web TV on demand di una emittente prestigiosa e autorevole come dovrebbe essere l’emittente pubblica italiana utilizza piattaforme non immediate e poco comuni, il che non depone a suo favore.

Non fa nulla. Installato Silverlight, chiudo Firefox, lo riavvio, torno al link. Parte la pubblicità, 14 secondi al contenuto scelto. Bene. Silverlight funziona. Poi l’animazione del loading. Bene. Poi il buio. Il nulla. Ci riprovo, pensando nel frattempo, per non perdere l’ispirazione preziosa, a come organizzare le cose da scrivere.  Chiudo Firefox, lo riavvio, torno al link. Altra pubblicità, questa volta solo 9 secondi. Ok. Poi ancora l’animazione. Poi un avviso: “Riconnessione al server in corso”. Ed ecco, finalmente,  il video tanto agognato.

Ops. Contenuto non disponibile. Ma no. Sarà un problema di sovraccarico. Sarà il mio PC. Sarà Firefox. Sarà per la prossima puntata.

p.s. forse era destino, le cose che volevo scrivere su Franzen, e che nel frattempo ho dimenticato, non erano così interessanti. Magari mi verrà in mente qualcosa una volta finito “Libertà”. E lo so, il titolo di questo post non è granché.

paese di bidelli e carabinieri

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Che rapporto c’è tra modulo e tempo pieno nella scuola primaria e il benemerito esercito di personale non docente? Marco Campione, responsabile scuola del PD lombardo, rilegge su il Post l’intervista alla Gelmini a Che tempo che fa.