il rush finale

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Non gettate la spugna proprio adesso, ci rammenta il barista rivolto a quello che dice la tv mentre ne passa con perizia una sul lavandino, marcando platealmente i gesti. Ma a nessuno sembra proprio il caso di fare dell’umorismo sulle tragedie mentre ascoltiamo fintamente attenti gli ultimi aggiornamenti sul terremoto che dà la prima edizione del tg5. Mi ero ripromesso di boicottare gli esercizi commerciali sintonizzati sulle reti Mediaset, ma si tratta di un fioretto che ai tempi della digitalizzazione spinta e del canone Rai in bolletta può risultare anacronistico. Sullo schermo a millemila pollici scorrono le immagini di morti e feriti e nessuno nota che al bancone, armati di colazione, siamo in quattro e tutti con una vistosa quanto approssimativa benda nell’incavo dell’avambraccio destro. Questo la dice lunga sui profitti che un esercizio come quello, ubicato in prossimità di un centro prelievi, è in grado di realizzare. Quindi sollevo la tazza del cappuccio e mi accorgo del cerotto a nastro che mi tira i peli, così do una veloce sorsata alla schiuma con la cannella sopra e mi sbarazzo del cotone. Il puntino sulla pelle è ancora rosso ma non esce sangue. La sostituta dell’infermiera ufficiale, che è in ferie, da dietro ai suoi occhiali protettivi in policarbonato mi ha confuso con qualcun altro cercando la vena a cui attaccarsi e siccome ha impiegato più tempo del normale – forse è alle prime armi – si è rivolta a me come se fossi uno che si sottopone alle analisi del sangue ogni giorno, con quello che costano. Forse è questo che mi fa pensare che c’è pieno di gente che svolge il proprio lavoro in modo approssimativo e voglio essere un giorno uno di loro. Prendi il croissant ai frutti di bosco che ho scelto per iniziare la giornata con il mio gusto preferito. La marmellata dentro è rovente e fuori ha una consistenza davvero molto poco attraente, come tutti i cibi appena tirati fuori dal forno a microonde. Di fronte al bar c’è un panettiere che prepara cose squisite e mi chiedo quanto siamo distanti dalle sinergie attive sul territorio, quelle che fanno sistema e che vanno oltre a una elementare accoglienza passiva di chi arriva affamato dopo un esame a digiuno.

me lo mette via?

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Lo scontro di civiltà (apro subito una parentesi: lo scontro non significa necessariamente che alla fine del post ci sarà un vincitore e un perdente, una razza superiore e una inferiore. Lo scontro significa contrapposizione, e nella sua accezione metaforica non per forza di cose armata, in questo caso comunque no, chiudo la parentesi e buona lettura) dicevo lo scontro di civiltà lo si desume dal fatto che uno, l’interessato e potenziale acquirente, è pronto a pagare tutto e subito. Stiamo parlando di un bar in una zona tutto sommato centrale piena di uffici e con una scuola superiore davanti, il che significa ragazzini che fanno colazione e merenda, e un plesso materna più primaria nello stesso edificio, il che significa genitori casalinghi o con orari di lavoro flessibili che si attardano a gustare il caffè dopo il primo round di fatiche quotidiane. Non saprei quantificare, ma se pagasse in contanti – cosa di cui non dubito affatto sia in grado di fare – ci vorrebbe una valigetta apposita anche se si tratta di pezzi da cinquecento euro, no? Comunque ha abbastanza liquidi, l’acquirente, malgrado l’aspetto diciamo dimesso, abiti che potrebbero essere anche di un paio di taglie in meno vista la magrezza. Che poi ci si chiede se i cinesi si vestano nei negozi di roba cinese.

Comunque il probabile futuro proprietario del bar qui sotto si vede che ha fretta di concludere con la controparte, rappresentata da un agente immobiliare con il consueto look in terza persona, che gli sta dimostrando con dovizia di particolari anche la porzione di suolo pubblico in cui sistemare qualche tavolino senza copertura, però niente gazebo e stufe quindi solo con la bella stagione. Si china anche sul marciapiede con un attrezzo che non ho mai visto, ma da come lo maneggia si direbbe un metro laser, che lo punti contro una superficie e ti dice l’esatta distanza. Ammesso che esistano, mi sembra una bella comodità, immagino cinese anche quella, e se non esiste corro subito a brevettarla. Gli spazi dentro sono in ottime condizioni, l’ultimo proprietario, prima di essere costretto a chiudere dalle Fiamme Gialle, l’aveva sistemato per benino. Sapete, è il classico esercizio pubblico che uno lo compra per aumentarne il valore e poi rivenderlo, questo è il business alla giornata del momento, che per i non addetti ai lavori come il sottoscritto costituirebbe uno sbattimento senza precedenti, ma probabilmente mi sbaglio anzi sicuramente ho torto, non a caso, come ho più volte scritto, ho deciso di fare il lavoratore dipendente e lascio l’iniziativa imprenditoriale a chi ha fiuto. Io ho solo il naso.

L’uomo d’affari cinese ha già deciso perché, anche se non ve l’ho detto prima, l’ho notato un paio di sere fa con un compare intento ad annotarsi il numero di telefono dell’agenzia immobiliare e a scattare foto. Così, mentre si svolgeva il sopralluogo, l’agente che gli stava proponendo l’affare non teneva conto del gap linguistico perché la persona interessata voleva dirgli va bene, lo prendo, ma probabilmente il suo italiano non era così fluent e in quei millesimi di secondo l’altro fraintendeva l’esitazione con la poca convinzione e ripartiva alla carica con numeri e dettagli. Allora il cinese, con le mani in tasca e guardandosi le scarpe, aspettava il successivo slot di conversazione libera in cui inserirsi e zittire l’agente con il suo parere positivo. Ma si vedeva che la vera contrapposizione non era lessicale, lo avete capito, bensì consisteva in uno squilibrio tra chi ha necessità e chi no, tra un flusso di cassa e un alveo a secco, e ammesso che il secondo sia in grado di contenere il primo senza lasciar tracimare il liquido a causa della scarsa manutenzione nei periodi di magra, su questa metafora provate a indovinare quale delle due civiltà è destinata a esaurirsi, e a questo punto ormai lo scontro ha ben poca importanza.