potenti nemmeno sulla carta

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Una coppia dell’america profonda, gli USA distanti dalle città che invece vedi nelle serie di successo e che ti fanno dimenticare che per una Chicago ci sono migliaia di paesini sperduti, marito e moglie di mezza età wasp e in sovrappeso in perfetto stereotipo, si meraviglia della velocità con cui il treno è giunto a destinazione. Una manciata di minuti, è incredibile come le distanze siano discutibili dal vivo tanto quanto i pochi pixel in scala sulle mappe di Google anche per chi è abituato a ragionare in centinaia di miglia per volta, in spostamenti aerei interni, in fusi orari condivisi da un unico popolo che parla la stessa lingua. Lo scambio di battute tra i due, vestiti con la divisa del tempo libero che il mercato impone, mi ricorda l’episodio dei missili su Lampedusa e la preoccupazione dei parenti canadesi di un amico che abitava nell’Italia settentrionale, come se Sicilia e Lombardia fossero a pochi isolati di distanza e a causa della clamorosa quanto inefficace azione dimostrativa di Gheddafi fosse crollato qualche muro nelle vicinanze. C’erano state delle ripercussioni, ma nulla che potesse destabilizzare architettonicamente un quartiere di edilizia residenziale. Pochissime le fermate tra la stazione di Milano e quella di Venezia, è quello che riesco a capire dalla conversazione dei due turisti che parlano tra di loro ma rivolgendosi a un pendolare che avrò visto almeno cento volte seduto sempre allo stesso posto. Constatano la loro soddisfazione come se fosse anche merito suo se le cose, qui da noi, funzionano davvero. Ed è la voce metallica standard dell’annuncio sul convoglio che mi consente di capire il qui pro quo. Siamo a Porta Venezia e non nel capoluogo veneto. L’uomo aiuta i due americani a scendere trasportando gli ingombranti trolley di ultima generazione, quelli con le quattro ruote che non si devono nemmeno inclinare, e cerca di spiegar loro che non sono affatto arrivati, in fondo non sono nemmeno partiti, là sopra non c’è la laguna – per fortuna – ma Corso Buenos Aires e una fiumana di persone che si sta recando in ufficio. Quello che si dice prendere Roma per toma anzi viceversa, toma equivale al quadrilatero della moda economica. Probabilmente la coppia ha chiesto informazioni, anzi le avrà chieste la moglie perché gli uomini si sa, sono refrattari ad ammettere di non raccapezzarsi con i punti di riferimento, si saranno espressi in un italiano stentato a qualcuno che avrà loro risposto in un italiano ancor più discutibile ed ecco il patatrac. Fosse successo a me sarei andato nel panico, trovarmi nel posto sbagliato pensando di essere in quello giusto mi mette ko. Penso allora che non è il primo caso di fraintendimento toponomastico a cui assisto. Una volta ho cercato di dare supporto a un’anziana giapponese che, anziché andare a Varese, era finita sul treno per Varazze, facile cogliere l’assonanza tra i due nomi. Un’altra volta invece ho accettato l’autostop da due ragazze olandesi e un cane su un Westfalia scassatissimo che volevano andare al mare e stavano cercando la costa a Novi Ligure, che sappiamo tutti che con la riviera c’entra poco. Poi hanno incontrato me e niente, la costa l’abbiamo trovata ma molto più a sud.

ti ho allungato la vita

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Scambiare una persona per un’altra, facendo sì che la persona che non è quella che pensavamo se ne accorga, è una magra antica quanto l’uomo. Immagino ai tempi delle caverne con gli uomini e le donne coperte di peli quanto fosse frequente, per questo l’ho presa alla lontana. Che poi la persona oggetto dell’equivoco lo venga a sapere è altresì una magra ma di meno perché magari l’idea che si veda qualcuno in un altro può far piacere a questo qualcuno. Tutto ciò è complicato come tante altre relazioni e lo era già da prima che tale stato civile fosse ufficializzato da Facebook, ma a pensarci bene mica poi tanto. Comunque vedi da dietro una che ha la stessa altezza e gli stessi capelli e le stesse fattezze di chi pensi tu, ti avvicini e le fai una domanda prima che lei si giri, poi lei si gira ma non è quella lei che pensavi e lì per lì non sai più che dire se non peggiorare la situazione, ammettendo che pensavi fosse quell’altra che, per inciso, lei conosce e a cui lo va a riferire appena può perché la situazione è troppo spassosa, indipendentemente dall’età di tutti. A me è successo invece di leggere l’articolo di cronaca locale circa la morte di un amico, o meglio mi sembrava proprio lui dalla foto perché il nome coincideva – peraltro – e il cognome come poi vedrete evidentemente no, ma ormai mi ero convinto che la vittima dell’incidente automobilistico del giorno prima fosse proprio lui, il mio amico. E me ne ero dispiaciuto forse fin troppo, non è che fossimo amicissimi però era uno che conoscevo, un amico di amici che avevo frequentato qualche volta. Tanto che poche ore dopo mi trovavo su un treno locale in attesa che partisse, tutto immerso in riflessioni sulla vita e la morte in giovane età, quando mi sono sentito battere sulla spalla. “Hei ciao plus, sai se questo treno ferma a Vesima?” e potete immaginare come mi sono sentito perché si trattava proprio di lui, quello vero che evidentemente aveva un cognome diverso dal ragazzo defunto di cui parlava la pagina di cronaca locale e invece non era lui, tanto più che ora si trovava proprio lì, seduto di fronte a me che aspettava una risposta e io che non sapevo che cosa dirgli, perché non ricordo se ero più stupito del fatto che fossi contento che lui fosse ancora vivo e vegeto o fossi terrorizzato dal trovarmi di fronte a un fantasma o, semplicemente, fossi meravigliato dalla coincidenza degli eventi. Perché incontrare qualcuno che credevi fosse morto solo perché lo avevi scambiato per uno molto somigliante in una foto sul giornale, e incontrarlo poco dopo aver letto la notizia ma a distanza di settimane dall’ultima volta che era accaduto di vederlo, non è così frequente. Comunque non gli ho mai rivelato il qui pro quo, l’episodio non mi sembrava così divertente e poi non c’era nemmeno tutta questa confidenza.