Quando uno muore si trova sempre nei giorni a ridosso del funerale qualcuno che sostiene che l’interessato, o meglio il defunto, non è che sia poi morto veramente. Non sto parlando di Elvis Preslely, Bob Marley, Adolf Hitler, Moana Pozzi e tutti gli altri intorno ai quali aleggia il mito della morte auto inflitta per tornare all’anonimato, il cosiddetto suicidio della celebrità, non mi riferisco a questo tipo di sugna per giacobbiti. Solo che c’è spesso qualcuno che è sicuro di vedere la persona che non c’è più che invece c’è, ed è lì a fare qualcosa. Qualcuna delle attività che amici e parenti erano abituati a vederlo svolgere per occupare le sue giornate, raramente invece al lavoro, dietro a una scrivania, al telefono a convincere un giornalista a partecipare a una conferenza stampa. Qualcosa per la quale la persona mancata sarà ricordata dagli altri. Ecco, lo vedo ancora che si aggira lento per la casa in ciabatte con le cuffie wireless calate sulle orecchie che usava per seguire il telegiornale, era un po’ sordo e altrimenti avrebbe disturbato i vicini ma doveva alzarsi per la prostata ogni due per tre, dice uno. Rientro a casa e lo vedo ancora lì seduto in poltrona con i suoi raccoglitori di francobolli in mano, tira fuori i pezzi più rari e controlla se i dentelli ci sono ancora tutti. Li controllava uno ad uno, ed erano operazioni che lo inchiodavano nelle mura domestiche senza limite di continuità, dice l’altro che però si è tratto in inganno usando il tempo imperfetto che fa male alla memoria e fa male ai sentimenti, di conseguenza. Entro al bar e lo sento ancora che litiga con il suo compagno di carte perché è distratto ma è l’unico che gioca con lui e ora, davanti al compagno, il capo squadra non c’è più ma a me sembra che non si sia mosso di lì, dice un terzo. Insomma, il tanto vituperato quarantasette a.k.a. il morto che parla è in fondo qualcuno che ha lasciato se stesso dentro di noi per far sì qualcosa rimanesse anche in sua assenza. Quindi, dichiararlo passato a miglior vita a tutti gli effetti, ci penserei due volte e, almeno, più di tre giorni. Sapete, la politica fa miracoli.
elezioni 2013
noi del conseguimento della maggiore età
StandardIeri pomeriggio ho sentito un’ascoltatrice di Radio Popolare intervenire telefonicamente e confidare in diretta ai conduttori della maratona post-elettorale un’impressione sul voto. Per spiegare il suo sconforto ha confessato di provare una sensazione come di sentirsi circondata da adolescenti e anziani. Una metafora, chiaro, che vuole descrivere il senso di disagio in una società composta prevalentemente di elettori con un approccio alla politica acerbo e per questo pieno all’eccesso di entusiasmo da una parte. Dall’altra una massa di consumati votanti seriali, che pensano che sia meglio così che sparigliare le carte e che, messo al sicuro il proprio benessere previdenziale, è bene non scombinare lo status quo.
Ecco, io ho interpretato così il suo punto di vista, perché credo che la donna ospite del microfono aperto intendesse più una visione in senso proprio del suo ragionamento. Ovvero ho inteso che da una parte ci sia davvero una moltitudine di giovani votati al rigetto del passato a tutti i costi e, dall’altra, una pletora di Cocoon pronti a tenersi stretti la pensione il più possibile sotto l’influsso del fascino del sempreverde pusher di sogni al Cialis. Un dualismo corrispondente, mi sembra chiaro, al M5S di qua e al PDL di là che riflette a sua volta anche una appartenenza generazionale, un punto però sul quale non mi trovo molto d’accordo. Gente che passa troppo tempo su Facebook versus gente che guarda troppa TV e televendite.
In questo equilibrio estremamente pericoloso, l'”io sono qui” sostenuto dall’ascoltatrice che si è prestata a dire la sua suona un po’ consumato come i punti sulle mappe corrispondenti alla stazione della metropolitana in cui ci si trova e che si consultano con l’espressione interrogativa, che a furia di indicare con le dita hanno perso tutto l’inchiostro lì dove stai cercando e se non sei del posto non vedi il nome e ci metti un bel po’ per orientarti sulla cartina.
Intanto, comunque, fermo subito te che mi stai per dire che invece è bello che i giovani siano tornati a vivere un movimento con la passione, che si tratta di una forza rigeneratrice per il paese perché basta con i politici di professione e le scie chimiche. Nel senso che potrei anche essere d’accordo, ma il problema è che non puoi fare un discorso così se dall’altra parte c’è un lupo cattivo e sgamatissimo e pronto a mangiarti in un sol boccone, questo anche se non sei vestito di rosso. A tutti noi persone di mezza età piacerebbe tornare a fare la politica scavezzacollo dei più giovani se il confronto non fosse viziato dalla slealtà della controparte.
Mi trovo così d’accordo nel sostenere la tesi dell’elettore maturo e di quello immaturo. Ma senza offesa, eh, io parlo in senso traslato. L’elettore maturo riconosce che il macro-problema è affrontabile solo se suddiviso in più problemi a dimensione umana. Il primo ha un nome e un cognome e un disinibito consumo di Viagra. Quindi si comincia con il superamento di questo ostacolo con il voto alla forza contrapposta che ha maggiormente i numeri per superarlo.
Il voto immaturo invece è quello che ha consegnato la Lombardia a Roberto Maroni in nome dei propri feromoni anarcoidi al limite del trollaggio. Mi spiace concludere questa riflessione confermando che, alla fine della fiera, l’elettore maturo sono io. Così aggiungerò ancora un paio di righe per distrarre la vostra attenzione da una dichiarazione così poco umile, in perfetta linea con un partito che probabilmente non c’entra più nulla con la realtà che lo circonda ma che è bello raccontarselo perché poi qualcuno lo legge, ci pensa e capisce quanti anni abbiamo noi che pensiamo che la realpolitik e il suo principale sostenitore dovrebbero avere più dignità, in questo paese, con la sua presunzione.