La musica techno commerciale, quella che quando frequentavo le discoteche era meglio conosciuta appunto come musica da discoteca, si merita tutta la mia irritazione ed è seconda in quanto a odio solo dopo la musica latino-americana, quella della famiglia di salsa merengue bachata e via dicendo. E con musica techno commerciale intendo quelle cose che un tempo erano “This is the rhythm of the night” o “Rhythm is a dancer”, ma anche adesso c’è una vasta offerta di robe di questo tipo identificabili ancora dal tipico un-tz un-tz in quattro che attira l’attenzione per strada quando passano gli zarri con il volume a palla. Ieri ho presenziato a una lunga competizione sportiva in qualità di accompagnatore di minore in cui ho maturato l’opinione che la diffusione di musica in tali occasioni, con selezioni vergognose proposte tramite impianti inadatti a spazi al chiuso dedicati allo sport e, quindi, tutt’altro che pensati per l’ascolto, dovrebbe essere annoverata tra i crimini verso l’umanità. Ma nessuno sembrava arrivarci.
Fino a quando è stato il momento di una versione techno della colonna sonora dello sceneggiato di Pinocchio di Comencini, un brano in auge nei locali della movida tamarra di ogni dove qualche tempo fa e che per il mio bene avevo rimosso. In quel frangente, sugli spalti di un palasport, un luogo che più di ogni altro esaspera l’appartenenza a una massa accecata dall’istinto ultras latente in ogni italiano, da un gruppo di giovani genitori tatuati in eccesso e evidentemente avvezzi ai passatempi danzerecci, quelli con outfit da Piazza Italia e bicchiere in plastica di birra di qualità scadente in mano come consumazione non compresa nel biglietto d’ingresso e cinicamente venduta – con margini ai limiti della truffa – dagli operatori del divertimento delle ore piccole per l’illusorio oblio a botte di decibel inesistenti in natura, quel gruppo di giovani genitori con l’intento di manifestare il feeling cantando il brano riconosciuto sul ritmo di una canzone priva di una linea vocale come quella, ha comunque trovato uno sbocco emozionale ripetendo a sillabe quella nota aria tragicomica, un po’ come i tifosi della nazionale di calcio, qualche mondiale fa, avevano preso l’usanza tribale di cantare con po-po-popopo-po-po il riff di “Seven Nation Army” dei White Stripes dando vita a quello stranissimo connubio di musica indie e sottocultura calcistica. L’effetto sulla versione disco-trash di Pinocchio è stato analogo, e vi assicuro che nulla è più minaccioso del rimbombo di una folla dai gusti discutibili che vocalizza all’unisono temi strumentali di musica techno.