I parametri di estetica e il design basato sul gusto imperante cambiano con il tempo senza che noi ce ne accorgiamo perché nelle linee che vanno per la maggiore ci siamo immersi fino al collo e oltre. L’occhio si abitua, un po’ come quando hai un figlio che ti gira per casa da sempre tutti i santi giorni e ti accorgi che è cresciuto solo quando è troppo tardi e ti sta per accoltellare perché ha vergogna di confessare che i voti sul libretto dell’Università sono tutti inventati. Incredibile, eh?
Ma quello che volevo dire è che ci sono oggetti che stanno bene sempre e comunque come la celeberrima Radio Cubo Brionvega, che si perpetua uguale nei secoli dei secoli. Già per la Cinquecento qualche aggiustamento è stato fatto, più o meno è stata pompata in modo direttamente proporzionale rispetto a come è cresciuto il fisico dei centometristi afroamericani che poi è una cosa che non mi spiego. Negli anni settanta tutti asciutti e snelli, oggi spessi come lottatori di wrestling ma corrono il doppio più veloce.
A volte sembra tutto più grosso, il che è bizzarro in una civiltà che tende a miniaturizzare per occupare il meno possibile lo spazio obbligatorio per lasciare il massimo della libertà a chi ne usufruisce. Forse è tutta una scusa per giustificare il maggior impiego di materiali e, di conseguenza, i prezzi sempre più alti? Non so. Ci sono tantissimi genitori che non buttano via nulla dei figli, per farvi un esempio. Io che ho lo stesso numero di scarpe dalla prima superiore ho provato tempo va a indossare un paio di creeper da punk conservate da mia mamma nella loro confezione originale, che già allora – nei primi ottanta – mi sembravano enormi. E invece no, sono solo più larghe di una manciata di millimetri della mia pianta e l’impressione è stata disarmante, abituato alle nuove linee a cui il mercato e i suoi complici ci hanno assuefatto e che, con le loro proporzioni, sembrano voler mettere uno spazio difensivo tra il piede e il mondo esterno che è sempre pronto a saltarci sopra e a pestarli, in senso proprio e in senso metaforico.
C’è chi se ne fotte e va in giro puzzando di negozio di abbigliamento vintage con i mocassini mod, quelli minuscoli con le nappe. Magari sono gli stessi che li vedi al ritorno dai raduni delle Lambrette, lenti e impacciati in autostrada in balia di maxiscooter e gigantoni di adesso su due ruote. Per questo è meglio far fuori tutto e subito e non lasciare che ci sia futura commistione tra l’oggi e il futuro. Aprite i vostri armadi e, di questi tempi festaioli, spalancate i vostri frigoriferi. Fate sparire tutto. Il cibo fresco, a differenza del tessuto, va a male ed è il primo in ordine di gravità a dover essere circoscritto al presente, questo è anche il modo per accorgersi più facilmente che le taglie non sono più le stesse di una volta, almeno di prima di Natale. Io che vesto quarantotto, se metto un quarantotto alla Alighiero Noschese, un modo come un altro per parlare degli anni settanta, non ho alcuna possibilità di entrarci. Se consumo tutti gli avanzi dei cenoni passati ancora peggio. Dateci dentro con i rimasugli di cibo, fiduciosi il meno possibile nel domani. Discorso diverso per il panettone: tutti sanno che c’è tempo fino a San Biagio.