storia di un mp3

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Il fatto che si tratti di un agglomerato di nonsisabenecosa, se ennemila sequenze in codice binario o una sorta di merda d’artista nel senso manzoniano – Piero, che non è quello vero (semi-cit.) – o altresì il reale concentrato dell’anima di una canzone, la sua rappresentazione grafica molto ma molto più rassomigliante alla sua vera natura, alla faccia del solfeggio parlato e del setticlavio. Qualunque cosa esso sia, l’mp3 ha la sua dignità sin da molto prima del tamagotchi, per dire, perché ci sono tanti modi per essere considerati digitalmente tangibili e non solo perché c’è un pugno di byte da accudire, fargli fare la cacca, metterlo a nanna, o lasciarlo morire in un impeto di cybercinismo. E, ora, non voglio fare la figura di quello che sapeva già tutto prima o il precursore a tutti i costi, ma l’mp3 di cui vorrei raccontarvi la storia è comunque la prova provata che un contenuto digitale ha una sua dimensione di corporeità e di spiritualità. Altrimenti come spieghereste il fatto che oggi, almeno quindici anni dopo l’inizio di questa storia, quel mp3, una volta messo in funzione, sprigiona le stesse proprietà di quando si è materializzato la prima volta – perdonatemi il gioco di parole – ed è stato contestualmente archiviato ospite clandestino in una memoria fisica – per modo di dire – di mio dominio. Si tratta di un prestigio che è accresciuto a dismisura. Basti pensare al valore dei luoghi di culto che agli mp3 oggi dedichiamo, dispositivi da centinaia di euro e tutta la letteratura che ne è generata, gente che è finita pure sul lastrico per colpa dei control c e control v compulsivi. Insomma, con un’esposizione mediatica così ampia ci dev’essere senz’altro qualcosa di più.

Comunque l’mp3 di cui vi volevo raccontare qui venne trasferito di nascosto con un sistema addirittura precedente ai vari Napster e i famigerati peer2peer. Perché si cercavano liste relative a contenuti di server pirata che, giorno dopo giorno, crescevano sempre di più – la cosa stava sfuggendo di mano – e a cui si accedeva tramite client del calibro di BulleProof FTP. Ma all’inizio la paura di essere scoperti non era virtuale, così quelli pavidi come il sottoscritto scaricavano poca roba per volta. E quello, l’mp3 protagonista di questa storia, è stato il primo. Che già il mattino dopo in cui avevo lanciato il comando di download, lo avevo trovato apparentemente menomato, come se si fosse gettato nell’hard disk di mia competenza senza paracadute e, nell’urto, si fosse danneggiato. Ma si trattava solo del nome un po’ ammaccato, un’infilata di caratteri che nel passaggio da un sistema operativo a un altro erano stati brutalmente troncati dall’ottavo in poi e sostituiti in blocco da un simbolo di tilde, il segno “~” . E nella primitiva release di Winamp non mi risulta che si potessero ripristinare le informazioni sul brano, artista o che altro come oggi. Così quel mp3 fu masterizzato di nascosto – insieme a una cinquantina di suoi simili – su un cd come i neonati si registrano all’anagrafe con quel buffo nome che solo il proprietario avrebbe potuto riconoscere tra mille, un nome di otto caratteri che era “INTERST~.MP3”, tutto maiuscolo.

Una sua istanza era stata contestualmente decompressa e agghindata con il vestito della festa, un formato traccia audio riconoscibile dai lettori cd più avanzati che chiudevano un occhio sulla discutibile provenienza e fabbricazione del supporto da leggere. Il nuovo ordine mondiale muoveva i primi passi. Interi eserciti di compilation autoprodotte risuonavano negli impianti casalinghi in barba a chi riconosceva i difetti nei 128 kbps sulle frequenza acute ma a tutto vantaggio di quelli che avevano sofferto l’impennata dei costi del materiale originale, un rincaro che aveva negato a un’intera generazione l’accesso alle cose più belle degli anni 90, una volta che il vinile era stato archiviato indegnamente a causa del grande complotto dell’industria musicale. Quel formidabile cavallo di Troia che poi, ritorcendosi contro, ne ha sancito la morte irrevocabilmente.

Poi sono stati immessi sul mercato illegale tutti quegli strumenti di esproprio culturale proletario, gingilli che a seconda della connessione ti facevano entrare in possesso di tutta la produzione musicale desiderata. I file audio hanno potuto aumentare la mole di informazioni contenuta, si sono gonfiati fino a 320 e rotti e i nomi stessi completi, fino a tutte le tag che oggi rendono persino inutili le cartelle e le playlist, tanto è facile trovarli in hard disk da migliaia di giga. E rimettere su disco fisso quel materiale di archeologia digitale estratto dalla rete con lo stesso spirito dei cercatori d’oro nel Klondike è un’operazione che i primi mp3 che ci hanno allietato in cuffia o a tutto volume delle casse se lo meritano, eccome. Per questo “INTERST~.MP3” è e resterà il mio preferito, e ne ho scaricate altre versioni anche con tutto il pacchetto dell’album a cui tale canzone appartiene, ma vi giuro che non ha lo stesso sapore. Sarà il maiuscolo, sarà lo spirito del pionierismo, ma portarlo fino a qui lasciandolo con quella connotazione da Windows95 fa parte di un senso di rispetto per la memoria, non quella del pc ma quella vera, quella che invecchiando sbiadisce un po’.

sensazionale: ecco il prodotto che salverà l’industria musicale

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Si chiama disco in vinile, ha già milioni di fan in tutto il mondo (anche su Facebook) e una pagina tutta sua su Wikipedia. La formula è semplice e nasce da una domanda. Ma davvero c’è tutto questo bisogno di digitalizzare tutto (e sottolineo la ripetizione di tutto)? E, soprattutto, perché mantenere sul mercato l’ormai obsoleto compact disc, che oltre a essere antiestetico, con tutta quella plasticaccia anni ’90, è così freddo al tatto, difficile da posizionare in casa – a meno di non utilizzare appositi contenitori, altrettanto antiestestici e difficili da essere assorbiti in stili di arredamento. Un esempio? Provate a vedere come si sono ridotti nella civilissima Svezia – e soprattutto così facilmente duplicabile?

L’idea che sta convincendo numerosi esperti del settore e le principali aziende dell’industria musicale parte dal principio che, nel nuovo secolo, l’ascoltatore medio e occasionale di musica badi sempre meno alla qualità, quello che gli addetti ai lavori definiscono alta fedeltà, o hi-fi. Da una parte l’evoluzione delle tecniche di compressione audio permette a chiunque di comprimere in pochi megabyte brani musicali, con una qualità sufficiente per il tipo di ascolto che normalmente viene fatto: sul web tramite i diffusori dei personal computer o su dispositivi portatili che permettono la riproduzione dei file audio, ascoltati con cuffie tutt’altro che professionali. Se non, addirittura, tramite il proprio telefono cellulare. Insomma, l’importante è che si senta. A chi non è mai capitato, poi, di ascoltare musica con il proprio partner con una cuffia in due, tenendo solo un auricolare a testa, in barba alla cura che chi ha mixato il brano in questione ha dedicato nel distribuire in tutto l’arco stereofonico le tracce dei vari strumenti musicali. Dall’altra, i riproduttori musicali personali possono disporre di hard disk e memoria sempre più elevata, permettendo la portabilità di file in formati anche non compressi, che occupano molto più spazio di mp3 e simili.

Nessuno compra più i compact disc, la diffusione della banda larga e i costi sempre più competitivi e alla portata di tutti di Internet ad alta velocità hanno permesso l’inevitabile proliferare dei programmi di file sharing. D’altronde, è possibile aggiudicarsi album interi con tanto di copertina in pochissimi minuti, spendendo l’equivalente di un paio di compact disc originali al mese di bolletta flat. I consumatori compulsivi di materiale musicale possono addirittura soddisfare la loro bulimia di tutte o quasi le ultime novità discografiche, risolvendo allo stesso tempo il problema dei discutibili raccoglitori di cd con sistemi di storage sempre più capienti e sempre più a buon mercato.

Ma davvero il disco in vinile potrà invertire questa tendenza? Secondo gli studiosi, lo farà in parte, ma sarebbe comunque già un passo in avanti per impedire che l’intero sistema economico del settore giunga al collasso. Il disco in vinile è un “mezzo” analogico, come prima cosa. Digitalizzabile come il resto dei mezzi analogici, ma con un passaggio che, per quanto sempre più sofisticato, non genera una copia fedele all’originale. Le etichette discografiche quindi potranno mettere in commercio il vinile per chi non vuole rinunciare a possedere e accumulare il supporto, alla faccia della dematerializzazione, che pare sia ormai sempre più fuori moda.

D’altronde, come biasimare chi acquista vinile? Chi ha già avuto l’opportunità di provare l’emozione di acquistarne uno, sa di cosa stiamo parlando. Le dimensioni permettono immediatamente al consumatore di soffocare il pentimento della spesa economica, in un momento di necessario controllo dei budget familiari. La copertina in cartone, se curata, offre a chi ha gusto artistico la possibilità di esporre nelle proprie librerie (già, librerie: i dischi in vinile sono facilmente impilabili nei ripiani di dimensione standard) una vera e propria mini-opera d’arte. Il materiale del supporto, comunemente nero e flessibile, soddisfa il senso del tatto. Pare che la fragranza dell’inchiostro della copertina e del vinile stesso sia in grado di generare una sorta di dipendenza.

L’esperienza sinestesica ha il suo apice, ovviamente, nella alta fedeltà della registrazione e nel conseguente ascolto sui sistemi hi-fi casalinghi. Gli apparecchi studiati appositamente per la riproduzione, già battezzati da uno zelante product manager “giradischi”, possono essere collegati a un qualsiasi amplificatore dotato di casse. La qualità sembra essere superiore a quella dei compact disc, il suono più caldo, la gamma delle frequenze percettibili dall’orecchio umano più completa. Non solo. Gli studiosi ritengono che l’ascolto tramite diffusori consenta esperienze socializzanti e ascolti di gruppo, a differenza del classico i-pod, il cui nome stesso, preceduto da quel pronome in prima persona inglese, sembra dire “io ascolto, tu fai quello che ti pare”.

La pirateria musicale può digitalizzare la musica dei dischi e diffonderli, anche a scopo di lucro, su cd o via web. Ma la qualità non è la stessa. Inoltre le case discografiche hanno già trovato la soluzione anche a questo. Per i palati, o meglio, per i padiglioni auricolari meno fini, saranno comunque disponibili i brani musicali in formato mp3, scaricabili addirittura gratuitamente. Una sorta di legalizzazione della bassa qualità che ci consentirà di non rinunciare all’ascolto dei nostri beniamimi pop sul treno, per esempio, mescolati alle suonerie dei cellulari in sottofondo, alle sempre più interessanti conversazioni telefoniche e alle reiterate lamentele dell’utenza sui frequenti ritardi. Oppure mano nella mano, due cuori e una cuffia, con i nostri cari: per gli innamorati è stata pensata anche una versione in “mono” dei file, in modo tale che su ogni singolo auricolare della cuffia si riescano ad ascoltare gli stessi suoni, e i membri di una coppia siano perfettamente allineati sulle sensazioni provate.

Ma i veri cultori, gli appassionati, i collezionisti finalmente torneranno a spendere per acquistare i lavori dei loro gruppi e artisti preferiti, come una volta. Magari uno al mese e non più decine all’ora, per scelte più critiche e oculate. I dischi in vinile saranno disponibili in due formati: i 45 giri, che conterranno il cosiddetto “singolo” più un brano sul lato b (in gergo b-side), e il 33 giri, o long playing, già ribattezzato LP, che potrà accogliere fino a 12 brani circa. Gli artisti e i gruppi più attenti hanno già dichiarato che, date le dimensioni degli LP, potranno inserire un booklet con i testi dei loro brani in un corpo più leggibile, notizia che ha già riscosso entusiasmi tra le associazioni di ipovedenti.

In conclusione: quello che aveva, in un colpo solo, affossato l’industria musicale, la creatività degli artisti (costretti a riempire i capienti CD con pezzi in esubero e ghost-track raffazzonate dai loro archivi giusto per fare numero e non deludere chi bada al rapporto qualità/prezzo), il senso critico e il gusto dei consumatori, il mercato dei selezionatori musicali per luoghi pubblici (è già stato coniato il termine “disk jokey”, o dee-jay, per definire la figura professionale che sostituirà le playlist random nei locali adibiti all’ascolto musicale e nelle sale da ballo) la stessa stampa specializzata (chi legge ormai le recensioni? In pochi minuti posso scaricare un album, se non mi piace lo cancello), e aveva dato vita a un mercato nero e illegale, sembra avere i giorni contati. Tutto è pronto affinché il compact disc diventi un oggetto di modernariato.