Una volta era impossibile sbagliare una pubblicità e i motivi dell’ineffabilità della comunicazione commerciale erano svariati. Pubblicitari professionisti parlavano a un pubblico intelligente o nel peggiore dei casi ingenuo ma tutto sommato umile, inoltre i canali sui quali veniva veicolata consentivano un ciclo di vita degli spot maggiore. Senza contare che, in caso di problemi – al massimo turbative del senso del pudore o lesione della sensibilità su temi difficili – i tempi in cui si intimava il ritiro di una campagna era lunghi e, faccio l’esempio delle provocazioni di Oliviero Toscani, comunque sortivano sempre l’effetto del messaggio giunto a destinazione, nel bene o nel male. Oggi, manco a dirlo, il teatro di ogni discussione sono i Social Network e cani e porci hanno l’opportunità di dare visibilità alla propria opinione, senza contare gli stagisti e i ragazzotti poco portati, sottopagati e vittime di corsi di studio fuorvianti che popolano le agenzie di questi tempi. Non solo. Lo scenario della comunicazione è assai più complesso perché gli italiani sono sempre più stolidi e, di conseguenza, molto più presuntuosi, con una bella spruzzata di invidia ignorante sopra. Nel giro di qualche giorno il popolo del web ha fatto – giustamente – a pezzi due campagne sbagliatissime: il ragazzino del Decathlon che gioca al pallone perché lì non ci sono libri e il caso Fertility Day del ministro Lorenzin, un vero e proprio fatal error, più che un epic fail. Non so di chi sia la colpa dell’insuccesso delle campagne e da dove siano partite le due idee creative. Se lavorate in pubblicità saprete come funziona. Ci sono i clienti che ci dicono che cosa vogliono ottenere e ci incaricano di trovare il modo più efficace, ma oggi sono una rarità. Perché i clienti chiedono anche che si faccia a modo loro. Si arrogano il diritto di scegliere il modo dimenticandosi che gli esperti in pubblicità siamo noi che la facciamo, e non loro che ce la chiedono, e se non fossimo così bisognosi di fare soldi per sopravvivere di fronte a tale stupidità dovremmo dire che no, non vogliamo prenderci la responsabilità di cose che non si sa come poi vanno a finire. E suona strano che tra tutti i cervelli dall’una e dall’altra parte non ci sia stato qualcuno che abbia sollevato la questione perché la facilità con cui i messaggi potevano essere fraintesi era palesissima. Insomma, fare comunicazione pubblicitaria è una bella gatta da pelare e, se volete un consiglio da amico, tiratevene fuori appena potete.