codice sorgente

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Se vieni da fuori e non sei abituato, partecipare a un evento in quell’hotel o motel con vista sulla tangenziale ovest fa un po’ sfigato. Nessuno pensa al vantaggio invece dell’ubicazione a ridosso di uno svincolo che quando esci dall’autostrada sei subito lì. Io e Marco ci diamo dentro con il coffee break di metà mattinata e poi lo accompagno fuori, lui fuma e io no ma resto a osservare l’ampio parcheggio all’ingresso e le conseguenze degli spostamenti d’aria causati dal passaggio di autotreni e autoarticolati (non chiedetemi la differenza) sulla strada che è proprio oltre quel dehors.

Marco ha la mia età ma è il mio datore di lavoro, uno dei tre soci della software house che mi dà da vivere, ed è stato carino a invitarmi con lui alla presentazione della nuova release dell’applicativo che utilizziamo per sviluppare i nostri prodotti. Sa tanto di investimento sulla mia professionalità e di iniziazione al vero mondo dei programmatori, anche se lui è un ingegnere e io un laureato in lettere che smanetta con il codice. Lui ha preparato una tesi su una specie di protesi, una mano virtuale completamente comandata tramite computer ed è giusto che ora faccia quel tipo di lavoro. Io ho scritto qualche centinaio di pagine sulle Metamorfosi di Ovidio e boh. Dopo la sigaretta torniamo dentro, ho ancora fame e faccio il bis con il pain au chocolat e un altro cappuccino, che è una cosa che accomuna tutte le persone agli esordi della loro carriera. Un po’ come la scusa che adducono i genitori quando ti dicono che comprano tanta roba da mangiare perché sono cresciuti in tempi di guerra e si sentono più sicuri con una scorta di genere alimentari adeguata. Si mangia gratis, e nessuno si tira indietro.

Ci sono sessioni parallele con i guru italiani che ti spiegano i loro trucchi, mentre i product manager illustrano tutte le novità e gli upgrade della versione che sta per essere immessa sul mercato. Marco si vede che ama quel lavoro e, soprattutto, la sua micro-azienda. Poche sere prima abbiamo fatto tardi come al solito, si lavora giorno e notte e fine-settimana senza nessun problema etico quando c’è una consegna di mezzo. L’ufficio dà su una piazzetta del centro storico che è il centro della movida notturna, e Marco, distratto dal vociare di quei lazzaroni alle prese con birra e mojito, si è sfilato gli occhiali da vista, ha dato un’occhiata alla moltitudine di ragazzi sotto, e massaggiandosi il solco rimasto lungo il setto nasale ha pensato di consolarmi dicendo che intanto quelli là non sanno scrivere cicli, strutture di controllo, flussi di esecuzione. Ho collegato così questa osservazione a qualche settimana prima quando la sua fidanzata, che è socia pure lei, una volta che abbiamo chiuso a mezzanotte passata mi ha chiesto se volevo fermarmi a dormire a casa sua per non perdere tempo con il viaggio per tornare a casa e poi tornare in ufficio presto la mattina dopo. Per fortuna avevo amici che mi aspettavano e sono riuscito a salvare la situazione con una buona scusa.

Quando le demo dell’applicativo finiscono, ci troviamo tra centinaia di persone che fanno il nostro stesso lavoro e che sono venute in quell’iperluogo da tutta Italia. Marco mi fa notare la rappresentanza del nostro principale competitor, uno studio molto più strutturato a cui approdo quando poi Marco, la sua fidanzata e il terzo socio – un ciccione presuntuoso con velleità artistiche che oggi è ai vertici marketing di una delle principali riviste del nulla internettiano e duepuntozero – mi fanno aprire la partita iva per regolarizzare la collaborazione ma interrompendo così la continuità retributiva mensile con il passaggio a una consulenza su progetti. Una bella fregatura, in poche parole, perché mi pagano lo stesso stipendio ma spalmato su più mesi.

E infatti tutto finisce una sera quando, aspettando la conclusione dell’interminabile back-up, lo metto al corrente del misto di sorpresa e perplessità di svolgere quel lavoro, per me che sognavo di fare altro e che tutto sommato vivo con l’ansia di fare una cosa per la quale ho una preparazione da autodidatta. Una cosa umana e normale, non trovate? Ma non è così. Certe confidenze non si fanno ai datori di lavoro, anche se li crediamo dalla nostra parte solo perché ti portano a eventi di lavoro, anche se si ha l’accortezza di rifiutare proposte dubbie per evitare complicazioni, anche se poi a forza di programmare pensi che sia sufficiente un’operazione di debug per sistemare e risolvere tutti i problemi del mondo.