da paura

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I media hanno contribuito a categorizzare i due modelli umani cavalcando i sentimenti della gente, il comandante pavido e l’ufficiale di polso, l’uno sul campo anzi in fuga da esso, l’altro nella stanza dei bottoni a gestire con fermezza l’operazione. Una dicotomia che mi ha riportato alla mente il periodo in cui prestai servizio militare, trascorso proprio a cavallo della prima guerra del golfo, nel 91. Ricordate i presidi armati intorno agli obiettivi strategici? Il comandante della piccola caserma operativa a cui appartenevo, un tenente poco più che ventenne, era nel panico per l’escalation della gravità di allarme, una situazione che probabilmente mai si sarebbe immaginato di dover gestire nel momento in cui ha deciso di intraprendere la carriera militare. O meglio, uno scenario estremo contemplato dalla stessa natura di quella professione, come il comandante di una nave rispetto a un naufragio, ma remoto in un tempo di pace. Durante un servizio presso il centro da cui la mia caserma dipendeva, mi capitò di ascoltare una conversazione tra i suoi due diretti superiori e un passaggio in particolare, in cui il più alto in grado lo apostrofò come uno dei tanti giovani militari che non sanno cos’è la guerra, ammettendo anche però che nemmeno loro, i due graduati, non avendo mai preso parte a un combattimento vero, non avrebbero saputo come affrontarla. Questo per dire che chi decide una carriera, anche se impara a tenere testa a situazioni limite attraverso simulazioni ed esercitazioni, trattandosi di un’eventualità remota – anche se possibile si tratta comunque una casualità derivante da un errore umano – non è detto che poi sia all’altezza della situazione, come risulta evidente dai fatti di questi giorni. Ma in un momento così grave in cui è la propria vita ad essere in pericolo, in cui si deve scegliere se rischiarla o meno, ecco io ci andrei piano con i giudizi, perché da qui o da una postazione al sicuro si ha un punto di vista completamente differente. Questo è il motivo per cui faccio l’impiegato.

quanto costa

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Quelle navi lì, quelle che da un paio di giorni sono su tutte le prime pagine a causa di un evento luttuoso, io le vedo ogni volta in cui vado a trovare i miei genitori. Loro vivono in una città nel cui porto le imbarcazioni da crociera fanno scalo periodicamente. Ne avevo già accennato qui: fa un po’ impressione costeggiare il porto e passare a fianco di vettori così sproporzionati, grandi quando un quartiere, giganteschi animali marini meccanici pronti a sbarcare e a raccogliere i turisti che hanno scelto una vacanza così lontana dalla mia idea di viaggio. Un tour che tocca vere perle del Mediterraneo come la città in questione (immaginate qui una faccina ironica), centinaia di persone che poi percorrono le vie del centro fermandosi dinanzi alle vetrine di artigianato cinese, o scattando foto ai monumenti dall’intonaco incrostato di salsedine o al vecchio ospedale desueto e in rovina da quindici anni proprio nel mezzo della città. Nell’insieme sembra davvero una tragedia low budget e scusatemi, non voglio fare del cinismo gratuito. Metto in linea il format, le tappe in città da seconda divisione, il finale anacronistico come un naufragio nel Mar Mediterraneo e nel 2012 causato dalla volontà di rispettare una tradizione, e chissà perché mi vengono in mente Pinocchio e Geppetto che fuggono a cavallo del tonno dalla pancia dello squalo balena, nell’adattamento televisivo di Comencini. A loro sì che era stata data una seconda possibilità.