“Ma che ci fai tu qui? Ma non dovevi essere al concorsone per gli insegnanti, non l’avevi stamattina?”. La verità è che non me l’ha chiesto nessuno, e anche se spesso scrivo le cose in differita e ora è notte ma pubblicherò questo domattina per far finta di avere un piano editoriale serio, dubito che qualcuno, verso le nove e rotti, farà capolino da quella porta e pretenderà qualche spiegazione. E l’aspetto divertente di tutto ciò è che quello di fare l’insegnante è da sempre uno dei mestieri che tutti dicono che avrei dovuto fare, tanto che da sempre ne sono convinto anche io. A partire dalle superiori quando mi presentavo alle ore di tirocinio alle elementari vestito di nero e con la cresta e le titolari delle cattedre muovevano qualche obiezione. Poi l’università e quegli esami di didattica di cui, a dirla tutta, non mi ricordo proprio nulla. E già fresco di studi avevo deciso di rimandare la mia carriera di professore al termine di altri percorsi formativi tra musica, giornalismo e progettista new media. Tanto che quella manciata di concorsi che si sono susseguiti da allora li ho poi evitati perché comunque stavo facendo altro, non avevo tempo di studiare, e però mi dicevo che era quello il mestiere che dovevo fare, per il quale avevo pianificato la mia vita. Poi è successo che hanno chiuso tutto e quel percorso professionale è divenuto inaccessibile a chi non ne facesse già parte. Senza contare che poi uno matura e sviluppa tutta una serie di competenze e una forma mentis su misura per quello che fa. Da adulti si è meno elastici, e proprio come tutti gli altri muscoli che hanno bisogno di ginnastica, sapete vero cosa succede a passare ore a macinare software, a usare Excel, ad abituarsi a spostare il testo, control c e control v ed effe due per rinominare i file. Voglio dire, tieni una penna in mano e manco sai fare più la firma, pensi solo in codice binario e interpreti la realtà secondo le periferiche che la digitalizzeranno. E quando dall’alto qualcuno riapre una porticina per rientrare nel grande meccanismo dell’istruzione pubblica nazionale, ecco che superare il test preselettivo diventa un’impresa insormontabile. Un problema tutto mio, chiaro. L’algebra che non la facevi più dal biennio, sfilze di negazioni di negazioni che sembra che ti vogliano prendere per i fondelli, l’asta di un metro con un peso da una parte e dall’altra che non capisci dove sussista il problema. Così, nel percorso di training per arrivare al giorno del test, le volte in cui superi il punteggio minimo sono davvero poche tanto che ti chiedi che cosa c’entri tutto questo. Mi spiego ma so che sapete dove voglio andare a parare. Valutare l’efficacia didattica di una persona non sarebbe nemmeno impossibile, ma non è contemplato dal nostro sistema scolastico. Valutare la sua preparazione sulle materie che dovrà insegnare è più facile, ma poi siamo sicuri che il docente sappia farsi da tramite nel contesto in cui si troverà a spiegare la lezione? Con i pc con i floppy quando in tasca hai uno smartcoso touch screen? E le complessità sociali, i figli degli stranieri, la DSA, i sindacati, i pidocchi. Se ne deduce che il test in questione, quello dell’asta con i pesi e delle equazioni con la chiocciola che io ero rimasto a x, y e z sia stato pensato con questo duplice obiettivo, no? E, sicuramente, visti i risultati dell’esercitatore, io non sono all’altezza. Punto e basta. Quindi niente, mi ero iscritto ma poi oggi sono venuto in ufficio come tutti gli altri giorni, ho mollato il colpo tanto non avrei superato il primo ostacolo. E il fatto che per un caso di omonimia ho sbagliato la data, avevo letto martedì anziché lunedì, e per una serie di cose che non sto a raccontare non mi è stato possibile più organizzarmi, non deve essere intesa come la motivazione ufficiale. Sarà il destino. Plus1gmt maestro elementare? Ma sì, magari nella prossima vita (cit).
p.s. però ho imparato cosa significa “sesquipedale”