C’è una finta bettola al porto con un proprietario fintamente rozzo e scontroso in un ambiente fintamente poco curato che per dare un tocco di contestualizzazione al suo locale ogni tanto passa vicino al bancone e tira la corda che fa suonare la campanella. Ma tutto sommato si mangia bene e soprattutto tiene aperto fino all’alba, come dev’essere una finta bettola nei pressi del porto anche se nel frattempo è diventato più un porticciolo turistico per barche da gente col grano, ed è per quello che in quella finta bettola ho trascorso numerosi momenti conviviali immerso nella puzza della cucina prevalentemente a base di pesce. Ma non è qui che volevo arrivare.
Il mio amico Ciccio – se lo chiamiamo Ciccio è perché, in effetti, un po’ ciccio lo è – ogni volta che suona la campanella si alza in piedi e si mette in posizione come se fosse sul ring, pronto a sfidare il pugile avversario riproducendo con la bocca il suono collettivo della folla, come fanno i ragazzini che giocano a calcio e vogliono sentirsi addosso l’entusiasmo del pubblico. Non so se Ciccio si comporti ancora così considerando che, come me, avrà quasi cinquant’anni, ma quella gag alla fine la facevamo tutti e – non chiedetemi il motivo, forse per il vino o forse per la stupidera di quegli anni che invece erano poco più di venti – ci scompisciavamo dal ridere. E abbiamo recitato quella scenetta decine e decine di volte, per anni e anni, tanto che ancora oggi tutte le volte in cui sento un suono di una campanella, o anche scontro qualcosa contro qualcos’altro che produce un suono simile, indipendentemente dalle persone con cui mi trovi e dal posto in cui sia e della situazione – casa, famiglia, ufficio, clienti, mezzi pubblici, a passeggio, in vacanza, al supermercato, in un seggio elettorale, alla riunione della classe di mia figlia, a una festa di compleanno, a un funerale, al mare, sulle Dolomiti, al concerto del mio gruppo preferito – ho questo riflesso per cui magari non faccio proprio il gesto serrando i pugni come io e Ciccio ai due lati di un tavolaccio fintamente rovinato della finta bettola del porto, però emetto all’istante l’inequivocabile verso della folla di tifosi sugli spalti.
Mia moglie ha assistito a centinaia di queste reazioni alla campanella. Le prime tre o quattro della nostra vita insieme sono state oggetto di ilarità, ma sia chiaro che non ho mai usato la gag del pugile come una barzelletta, non sono un tipo che dice battute piuttosto cerco di fare ironia e sarcasmo con quelle arguzie con cui poi ho iniziato a popolare i socialcosi. Semplicemente, come un cane di Pavlov qualunque, sento il DING di una campanella e subito faccio quel suono lì con la bocca (che a differenza di DING non saprei scrivere) e mia moglie le prime tre o quattro volte sono certo che si è divertita. Poi sono subentrate le centinaia di ripetizioni che lei ha lasciato amorevolmente passare senza dirmi nulla sul fatto che io mi comportassi sempre allo stesso modo ogni volta il DING mi faceva scattare quella reazione dentro, cosa che io ho equivocato – le volte in cui sono stato consapevole di aver recitato la gag del pugile – come un approccio indulgente a una mia eccentricità.
Ci sono state però poi tutte le altre occasioni in cui ho reagito con il verso della folla in delirio da stadio senza rendermene conto, quindi posso ammettere che alla lunga assistere alla stessa scenetta possa rompere i maroni. Ieri però, per la prima volta, è successo che sono stato rimproverato per questa specie di fissazione che però vi giuro, e vi esorto a spiegarlo anche a mia moglie, non manifesto per cercare ilarità nel prossimo e per accattivarmi la simpatia di qualcuno. Mi viene spontaneo, è una reazione muscolare o chiamatela come volete, come uno starnuto, un ostacolo da schivare, un prurito da placare con una grattata, un rutto.
E a differenza di quello che leggete nel titolo non ne faccio un primo segnale di crisi del nostro rapporto. Il problema è capire come evitare la gag del pugile la prossima volta in cui sentirò un suono riconducibile a una campanella. Ci vorrebbe una specie di filtro, come un compressore comportamentale che intercetta la reazione del verso con la bocca e i pugni in difensiva e trasmette al cervello un impulso a dirmi basta fare cazzate, la gag del pugile non fa ridere più nessuno. Ecco, non so se sia possibile, ma se volete sono però disposto a farla ancora qualche volta in esclusiva qui, su questo blog. Provate a scrivere DING nei commenti e vediamo se vi scappa un sorriso.