«si può essere così dispiaciuti per la morte di una persona lontana, di uno che nemmeno si conosce?» la risposta è sì. sono più dispiaciuto per la morte di clarence clemons di quanto lo sia stato per la morte di alcuni parenti che non vedevo da vent’anni, e con cui nei precedenti dieci avevo avuto relazioni che potrebbero essere annoverate, se esistesse, in un guinness dei primati della distaccata cordialità. «ma non è una cosa tremendamente stupida?» cosa? anteporre un affetto sincero, quello per la musica di clemons, o di un qualunque altro musicista, a una – quella sì – stupida semplificazione che ti vorrebbe distrutto e in lacrime per la morte del cugino di terzo grado di tuo cugino di quarto grado, o per la morte dell’amorevole vicina di casa che, quando eri ragazzino, aveva ideato un sistema infallibile per impedirti di giocare a pallone nei dintorni del suo giardino, aprendo il cancello e liberando un cane, tanto attratto dal tuo tango di cuoio appena rubato al compagno di classe ricco? no, non è stupido, è la cosa più sincera e umana che si possa provare. mi dispiace che clarence clemons sia morto perché, d’ora in poi, sarà un mondo senza di lui. il mio mondo, quello che conosco come tale dal millenovecentosettantacinque, comprende tutta una serie di persone che potrei ordinare in caselle: /famiglia /amici /calciatori /attori /registi /scrittori /musicisti. il fatto che non abbia mai avuto rapporti con il novanta percento degli incasellati, che non ci abbia mai bevuto insieme è del tutto irrilevante. tutte le obiezioni sulla assoluta immaturità di un simile atteggiamento – quasi fosse un lutto adolescenziale, degno di essere annotato sopra una smemoranda consunta – vengono seppellite dal fatto che la nostra vita di questo è fatta. la nostra vita è fatta di cose e di persone, che spesso non conosciamo, e che esercitano un’influenza decisiva sulle nostre scelte e sulle nostre azioni. libri, musica, film. ci sono cose e persone, e tra le cose ci sono le parole, i suoni, i rumori e la musica, e tra le persone ci sono quelli che la musica la fanno. cediamo loro uno spazio enorme delle nostre vite, gli apriamo le porte delle nostre camere da letto o quelle di case che ci ricordiamo a malapena, ma di cui ricordiamo stanze in cui abbiamo fatto un pezzo della nostra esistenza, luoghi in cui abbiamo fatto le cose peggiori (e a volte migliori). in quei luoghi reconditi, in quegli spazi nascosti, abbiamo lasciato entrare poche persone selezionate e tantissima musica, e quegli spazi, quelle stanze, quella musica, non sono altro che un fotogramma di una progressione disordinata di eventi che, incidentalmente, si trasformerà nella nosta vita, in cui c’erano clemons, springsteen, i beatles, i cure, gli smiths, i depeche mode, i pink floyd, mentre del cugino di quarto grado del cugino di terzo grado, nessuna traccia.
Una versione di chamberlain. La mia famiglia di origine, ultimamente, è fatta così, vero zio Miles?